MODI DI DIRE
PROVERBI
NATALE
Tutti vanno alla capanna
per vedere che cosa c’è
c’è un bambin che fa la nanna
tra le braccia della mamma.
Se avessi un vestitino
lo darei a quel bambino.
Un vestitino non ce l’ho
un bacino gli darò.
GESU’ BAMBINO
Gesù Bambino
con il tuo ditino
metti un fiore nel mio cuoricino
Un fiore azzurro di bontà
Benedici la mamma e il papà.
Basta in cielo una stella
a fa la sera più bella.
Basta un canto da nulla
a dondolare una culla.
(Renzo Pezzanti)
AL GALOPPO
Oh che corse matte e strambe
fa un cavallo senza gambe,
se lo sprona e lo molesta
un bambino senza testa!
Ma c’è il rischio, bel cavallo,
che tu metta il piede in fallo,
e finiscan per cadere
il cavallo e il cavaliere.
LA PAPPA
Din,din,din, campanellino,
do’ la pappa al mio bambino.
Don,don,don, campana a fuoco,
anche al micio ne do un poco.
Din,din,din,campana a festa ,
un po’ al cane gamba-lesta.
Don,don,don campana a morto,
un cucchiaio ne do all’orco.
Din,din,din,campana doppia,
gliene diamo fin che scoppia
Don,don,don,campana d’oro,
tutto il resto al mio tesoro.
(Maria Punter)
OCCHIO BELLO
Questo è l’occhio bello,
questo è suo fratello,
questa è la chiesina
e questo è il campanello:
din don din don din don
La testina bionda,
guancia rubiconda,
bocca sorridente,
fronte innocente.
Din don din don din don.
(popolare)
BOM!
Piede,piedino
Fa male il sassolino.
Tolgo il sasso,
vado a spasso,
la legna a raccattare,
il fuoco voglio fare.
Mano mano morta,
picchia alla porta,
picchia al porton,bom!
SETTE CORVI NERI
Ci son sette corvi neri
(dico neri proprio neri)
sopra un albero di pero
nel giardino di Gualtiero.
Uno fa “crak”,
Due fa “crek”
Tre fa “crok”,
Quattro fa “crik”,
Cinque ride come un matto
Solo Sei sta zitto
Sette gracchia e fa un fracasso
da sembrare un satanasso.
(Hilarius
GATTA GATTINA
Dove sei stata gatta,gattina?
Son stata a Londra a trovar la regina.
Gatta,gattina, cos’hai fatto dopo?
Ho messo tanta paura ad un topo!
(da Mother Goose)
FILASTROCCA DELLA LANA
Filastrocca della lana
Salta e gracida la rana
Vola e trilla l’uccellino
Corre e abbaia il cagnolini
Va sul fiore la farfalla
L’anatroccolo sta a galla.
Filastrocca canta canta
La mia lana è ancora tanta
Voglio fare una vestina
Alla bella mia bambina
Due scarpette e due guantoni
Per le mani ed i piedini.
Fila fila filastrocca
Fila fila dalla rocca
Filastrocca della lana
La matassa si dipana
Il gomito lo si fa
Guai se il gatto lo vedrà.
Filastrocca lenta lenta
La piccina si addormenta
Piano piano, piano piano,
con il filo stretto in mano.
DIN DON CAMPANON
Din don campanon
Quattro vecchie sul balcon
Una che fila, una che taglia,
una che fa cappelli di paglia,
una che fa coltelli d’argento
per tagliar la testa al vento.
(popolare)
TOMBOLO DONDOLO
Tombolo Dondolo sul muro sedeva,
Tombolo Dondolo dal muro cadeva;
e non bastarono a metterlo in piè
tutti gli uomini ed i cavalli del Re.
(libera versione da Mother Goose)
PIO PIO PIO
Lunedì chiusin chiusino
martedì bucò l’ovino
sgusciò fuor mercoledì
“Pio Pio Pio” fé giovedì
venerdi fé un volettino
beccò sabato un granino
la domenica mattina
aveva già la sua crestina.
(popolare)
LA SIGNORINA ROSETTA
La signorina Rosetta
sedeva sull’erbetta.
Mangiava la merenda
quando,cosa orrenda,
un ragno lì sbucò.
Cadde la merenda e lei urlò.
(Mamma Serena)
COR CONTENTO
Io, vedete,
grazie al cielo,
non ho imbrogli
pel cervello:
che sia caldo,
che sia gelo,
che sia brutto,
che sia bello,
che sia pioggia,
nebbia o vento,
resto sempre
Cor Contento!
Non c’è caso:il malumore
Non s’annida sul mio viso;
la letizia ho sempre in core,
sulle labbra ho sempre il riso.
(Arnaldo Fucinato)
PIMPIRULIN
Pimpirulin piangeva
voleva mezza mela
la mamma non l’aveva
e Pimpirulin piangeva.
A mezzanotte in punto
passa un aeroplano
e sotto c’era scritto:
Pimpirulin sta zitto!
(popolare)
QUEL CHE POSSIEDE UN BIMBO
Due piedi lesti lesti
per correre e saltare,
due mani sempre in moto
per prendere e per fare;
la bocca chiacchierina
per tutto domandare;
due orecchie sempre all’erta
intente ad ascoltare;
due occhini spalancati
per tutto investigare
e un cuoricino buono per molto, molto
amare.
IL GATTO E L’UCCELLINO
L’uccellino sulla pianta
Ride ala cielo e lieto canta
Quando arriva di soppiatto
Per ghermirlo un grosso gatto.
L’uccellino con un trillo
Vola via felice,arzillo;
ed il gatto a muso tetro
ci rinuncia e torna indietro.
(Mamma Serena)
QUANTI PESCI CI SONO NEL
MARE?
Tre pescatori di Livorno
Disputarono un anno ed un giorno
Per stabilire e sentenziare
Quanti pesci ci sono nel mare.
Disse il primo:”ce n’è più di sette,
senza contare le acciughette”.
Disse il secondo:”Ce n’è più di mille,
senza contare scampi ed anguille”.
Il terzo disse:”più di un milione!”.
E tutti e tre avevano ragione.
(Gianni Rodari)
LA DONNINA PICCINA PICCIO’
Una donnina piccina picciò
Uno stivale un giorno trovò.
Ci mise un tetto piccino picciò,
e qui abitò,
con tanti bimbi piccini picciò
capricciosi anzichenò:
urlavan tanto che in fine andò
che la donnina si assordò.
(Isa)
ROBIN
Robin Robin il grassone
mangiava più di ottanta persone:
mangiò una mucca,mangiò un vitello,
mangiò il macellaio con tutto il macello,
mangiò la chiesa col cappellano,
il campanile col sagrestano.
E mucca e vitello
beccaio e macello,
e chiesa e curato
quand’ebbe mangiato
così si lagnò:
“Che fame che ho!”
IO SONO LA PRIMAVERA
Lucciole belle venite con me;
son principessa, son figlia del re.
Ho trecce d’oro filato fino
ho un usignolo che canta su un pino,
una corona di nidi alle gronde,
una cascata di glicini bionde,
un rivo garrulo, limpido, fresco,
fiori di mandorlo, fiori di pesco.
Ho veste verde di vento cucita
tutta di piccoli fiori fiorita;
occhi di stelle nel viso sereno,
dolce profumo di viole e di fieno
e per il sonno dei bimbi tranquilli
la ninna nanna felice dei grilli.
(Renzo Pezzani)
DIN DIN DIN
Din, din, din, gattino mio,
tutto il bene lo voglio a te,
la ciccina la mangio io,
e l’ossicino lo do a te.
(Popolare)
UCCELLINO
In cima ad un albero
c’è un uccellino
di nuovo genere…
che sia un bambino?
Felice e libero
saluta il sole
canta, s’arrampica
fa quel che vuole.
Ma inesorabile
Il tempo vola:
le foglie cadono…
si torna a scuola!
(Lina Schwartz)
GIROTONDO
Dopo il giorno vien la sera
dopo l’inverno vien primavera
dalle viti viene il vino
viene il fumo dal camino
va la mucca con il bue
van le ochette a due a due
e la vita in fondo in fondo
è un allegro girotondo.
CANTILENA
Capra capretta,
che bruchi l’erbetta,
vuoi una manciatina
di sale da cucina?
Il sale è salato,
i bimbo è nel prato,
la mamma è alla fonte,
il sole è sul monte,
sul monte è l’erbetta,
capra, capretta.
(Popolare)
MAZZO DI FIORI
Un’ortensia, una rosa, una giunchiglia
Ogni fiore è una dolce meraviglia
Di color, di profumo, di bellezza
Che nell’animo mette gentilezza.
(Mamma Serena)
LA SIGNORA MENEGHINA
Staccia staccia la farina
La signora Meneghina
Staccia bene, staccia male
Staccia prima di Natale.
Lava lava le scodella
Per mangiar le tagliatelle
Lava bene, lava male
butta l’acqua nel canale.
(Popolare mantovana)
FILASTROCCA DELLA NONNA
Filastrocca della nonna
tiene i piedi sotto la gonna,
sta in poltrona tutto il giorno
non va i giro, non va intorno.
Se c’è il sole, oppure piove,
lei sta in casa e non si muove.
Io che invece vado a scuola
non vorrei lasciarla sola
con il gatto e lo scaldino
senza neanche un nipotino
ma la saluto dalla finestra
perché mi aspetta la maestra.
IL CANE
Guarda,guarda il can che scappa,
ha portato via la pappa al mio bambino
per portala al suo cagnolino,
il cagnolino tutto contento
se la mangia in un momento
se la mangia e fa glu glu
la pappa non c’è più.
TROTTA TROTTA
Trotta ,trotta cavallone,
va in piazza col padrone,
devi dire alla Nena
che prepari ben la cena,
devono venir dei forestieri
ben vestiti da cavalieri
col fucile e la baionetta
per uccidere la passeretta.
IL GATTINO
Liscio, liscio il mio gattino,
è gentile e tanto carino
si pulisce ogni mattina
il musin con la zampina.
TUTTI I SANTI
A letto , letto voglio andare
tutti i santi voglio chiamare,
tre dalla testa, tre dai piedi
tutti santi sono miei,
la Madonna buona madre,
San Giuseppe un buon padre,
San Lorenzo un buon parente e
che io possa dormire serenamente.
I PULCINI
Tre pulcini andando a spasso incontrarono
una volpe che venendo passo passo
leggicchiava il suo giornale,
- Buonasera signorina dissero subito i
pulcini;
- O salute miei carini e di bello che si
fa;
- Già che mamma è andata fuori ,
siamo usciti dal pollaio;
- Bravi bravi miei carini voglio
stringervi la mano e con l’andar di
qua e di là, piano piano si avvicinò e
chè e chè se li mangiò.
VERSI DEGLI ANIMALI
Sui tetti il gatto miagola,
sull’uscio abbaia il cane,
crocchian nei fossi l’anitre,
e gracidan le rane.
Là nella stalla l’asino raglia
E il caval nitrisce,
tafani e mosce ronzano
ed il maial grugnisce.
I passerin garriscono.
La tortorella geme
E le colombe
tuban dall’alto insieme.
Chicchiri chì chì
Il galletto annuncia il dì
Qua.qua,qua l’ochetta fa
Ed il passero cip cip
Be be beee fa la capretta
Ed il cuculo cu cu
Ogni bestia ha la sua voce
Qua,qua ci ci cu cu be be….
IL CALABRONE
Un giorno un calabrone
andando in bicicletta
pregò la luccioletta
di fargli da lampione.
Ma il vigile maiale
che stava di fazione
gli fè la contravvenzione
scrivendo sul verbale:
“La legge non ammette
per sue ragioni interne
sui carri o biciclette
lucciole per lanterne.
GIGI
Gigi cerca il suo berretto
Dove mai l’avrà ficcato.
Nel cantuccio sotto il letto
Va e cerca tutto affannato
Gira,guarda, scruta e pensa
Poi si accorge che l’ha in testa.
FARFALLINA
Farfallina bella bianca
vola,vola, mai si stanca.
Vola qua e vola là
e la mia vita è sopra a un fiore
e la mia vita è sopra un fior.
ecco, ecco, l’ho trovata
la rosetta profumata.
Vola qua e vola là
e la mia vita è sopra a un fiore
e la mia vita è sopra a un fior
IL BABBO CARINO
L’altro giorno il mio babbo carino
portò a casa una bambola nuova.
Alla fiera del borgo vicino
L’ho veduta la bambola c’è!
Com’è bella la bambola mia!
Quasi, quasi è più bella di me!
Ha il vestito di raso celeste.
Ha il grembiule di seta turchina.
Sembra proprio la nostra Regina
quando gira in carrozzina col Re.
SOLE SOLE VIENI
Sole, sole vieni
che t’aspetta il cavaliere.
Il cavaliere di Roma
che ha perso la corona.
Corona di rubino
d’oro fino.
D’oro e d’argento
che costa più di cento.
Centocinquanta la gallina canta
canta il gallo, risponde serafina.
S’affaccia alla finestra
con due cordoni in testa.
Passa lo fante
con due cavalli bianchi.
Bianca la stella
giallo il girasole
che fa venire il Sole!
LA PIGRIZIA
La Pigrizia andò al mercato
e un bel cavolo comprò.
Mezzogiorno era suonato
Quando a casa ritornò.
Prese l’acqua, accese il fuoco,
si sedette e riposò.
ed intanto a poco, a poco,
anche il sole tramontò.
Così ormai persa la lena,
sola al buio ella restò.
Ed a letto senza cena,
la meschina se ne andò
LA PEPPINA
Uno, due, treLa Peppina fa il caffè.
Fa il caffè di cioccolata
La Peppina è ammalata.
E’ ammalata di dolor
La Peppina fa l’amor.
fa l’amor col capitano.
Capitano va al mulino.
Tira la coda al cagnolino.
Cagnolino fa bu-bu E pulcino pio- pio
STELLA- STELLINA
Stella, stellina.
La notte s’avvicina.
La luce traballa.
La mucca è nella stalla.
La mucca col vitello.
La pecora e l’agnello.
La gatta coi gattini.
La mamma coi bambini.
E tutti fan la nanna.
Sul cuore della mamma
DOMANI E’ FESTA
Din-don- Dan domani è festa
si mangia la minestra.
La minestra non mi piace
si mangia pane e brace.
La brace è troppo nera,
si mangia pane e pera.
La pera è troppo bianca
si mangia pane e panca.
La panca è troppo dura
si va a letto addirittura.
VOLTA LA CARTA
La donnetta che semina il grano
volta la carta si vede il villano.
Il villano che zappa la terra
volta la carta si vede la guerra.
E la guerra con tanti soldati,
volta la carta ci son gli ammalati.
Gli ammalati con tanto dolore.
Volta la carta si vede il dottore.
Il dottore che fa le ricette,
volta la carta si vede ariette.
Ariette che fila il lino,
volta la carta si vede Arlecchino.
Arlecchino che salta e che balla, volta la
carta si vede farfalla.
E farfalla che vola sui fiori,
volta la carta ci sono i signori.
I signori che vanno per via,
volta la carta si vede Lucia,
e lucia che ha male a un dente,
volta la carta si vede più niente.
IL NONNINO
L’altro giorno il mio nonnino
portò a casa un panierino.
Esclamai: “oh che piacere!
Saran pere? saran mele?
Non appena aperto fu,
un musetto saltò su,
un musetto birichino
era il muso di un gattino.
Apro e vedo:bianco il pelo!
Gli occhi azzurri come il cielo!
Salta, corre qua e là,va a finire sul sofà.
Ha mangiato un topolino!
Oh che birba di un gattino!!
CANE E CAGNOLINO
Guarda, guarda il can che scappi
che ha portato via la pappa.
Via la pappa del bambino
per portarla al cagnolino.
Cagnolino corre contento
e se la mangia in un momento.
Se la mangia e fa bu-bu
e la pappa non c’è più.
QUANDO SCOPPIA UN TORTELLINO
(E’ MEGLIO NON ESSERE LI’ VICINO)
In una fabbrica di tortellini,
di quelli grandi e di quelli piccini,
ci lavora un certo Riccardo,
che in tasca sua aveva un petardo.
Ogni mattina si chiedeva nel letto
“ma il mio petardo dove lo metto?
Più che un petardo è un petardino,
potrebbe stare in un tortellino!”
Così passò una settimana,
lavorando da Giovanni Rana,
e lui lavora felice e sereno:
nei tortellini mette il ripieno.
E per provare una bella emozione
Un giorno realizza un’invenzione:
allora prende un pezzetto di lardo
e dentro ci mette quel suo petardo,
poi lo richiude e dice giulivo:
“stò tortellino è proprio esplosivo!”
il caso vuole che quel tortellino
vada nel piatto del signor Gino,
perché la moglie l’ha comperato
per fare pace perché han litigato.
“Facciam la pace?Mi dai un bacino?”
“Ma certo amore, vieni vicino!”
Ma quando Gino col labbro la tocca
il tortellino ce l’ha ancora in bocca,
in quel momento il petardo scoppia,
e ciò pone fine a questa coppia.
Ora è finita la nostra storia,
studiala bene, tutta a memoria.
Non ho capito una cosa al riguardo:
di chi è la colpa? Forse del ladro?
O della peste chiamata Riccardo?
PROVERBI
• Chi si loda si sbroda
• Se vuoi al mondo viver bene prendi il
mondo come viene
• Natale con i tuoi e Pasqua con chi
vuoi
• I giorni dell’epifania ogni festa porta
via
• Mese di aprile dolce dormire
• Mese di aprile tutti i giorni un barile
• L’amore non è un calesse non lo devi
fare per interesse
• Chi dorme non piglia pesci
• Moglie e buoi dei paesi tuoi
• Ridi ,ridi che mamma ha fatto gli
gnocchi
• Buon sangue non mente
• Le apparenze ingannano
• C’ un tempo per seminare e un tempo
per raccogliere
• Stare dalla parte del frumentone
• Tutti i nodi vengono al pettine
• Can che abbaia non morde
• Lascia stare il can che dorme
• Ride bene chi ride ultimo
• Chi troppo vuole nulla stringe
• Meglio un uovo oggi che una gallina
domani
• Tentar non nuoce
• Rosso di sera bel tempo si spera
• Ambasciator non porta pena
• Paese piccolo la gente mormora
• Non dire gatto se non ce l’hai nel
sacco
• Se l’acqua scarseggia la papera non
galleggia
• Non mettere il carro davanti ai buoi
• Fidarsi è bene non fidarsi è meglio
• Chi semina vento raccoglie tempesta
• Meglio di così si muore
I RACCONTI DELLA ZIA DI CHIARA
Poco prima di Natale,nostro padre,andava
in bicicletta,a guardare al di fuori dei
boschi se sporgesse qualche ramo di abete
per poterlo tagliare nell’oscurità e quando
riusciva,si preparava una vecchia pentola
blu con terra umida e così prendeva posto
l’albero di Natale; come <addobbarlo>da
tempo, se trovavamo carte di caramelle, le
conservavamo come pure le carte dei
cioccolatini purgativi,così incartavamo le
castagne secche, chieste a nostra madre,
prima che le cocesse per fare la torta, se
rimanevano delle carte, si cercava in
strada a misura e con il filo lo legavamo ai
rami; entusiaste ammiravamo il nostro
albero di Natale.
All’avvicinarsi della vigilia del Natale (che
ora c’è tanto) rivedo quella piccola
bottiglina contenente quel liquido rosso e
ce ne veniva offerto un pochino in un
bicchierino piccolo e anche se ci venivano
gli occhi rossi lo gustavamo con piacere e
si chiamava “rinfresco di mandorle”.
La nostra cucina aveva un soffitto a curva
e non so cosa significava, da una parte
all’altra c’era un ferro rotondo e nostro
padre ci faceva passare una corda dove
legava una pentola di coccio; dopo ci
venivano bendati gli occhi e con la canella
dopo alcune piroette cercavamo di
centrare la pentola e se la centravi avevi
ciò che conteneva, castagne o al massimo
un’arancia. Dopo quei momenti allegri
veniva il momenti di essere pesate. A
quella corda veniva legata la stadera dello
zio e insieme alle cugine ci pesavano e si
scendeva in fretta,perché sedere su
quella corda non era piacevole.
Ricordo di una nostra cucina, con le pareti
annerite dal fumo della stufa a legna e
anche l’unico utensile appeso , era un’antica
padella di rame, pure lei scura e qualche
volta ci veniva suggerito di farle cambiare
colore, ma non essendoci detersivi , si
sperava in un po’ di vino acido, nella cenere
e se non c’era sabbia si sostituiva con la
polvere ai bordi delle strade e la fatica
veniva ricompensata nel vederla lucida. Ma
, quella padella, ci dava anche gioia ,
quando a Natale veniva utilizzata per una
squisita torta, che nostra madre preparava
con le castagne secche e per quell’
occasione ci si dimenticava della sua
pulizia.
Tempo fa non c’erano tanti soldi. Solo i
Signori Rangoni il giorno di tutti i Santi
aprivano il borsellino e il cuore. Per mano
del custode della villa , ai bambini veniva
offerto tra le sbarre del cancello una
monetina che noi tutte contente ,
tenevamo strette strette come ce le
avesse regalata un Re.
RACCONTO DI DON ANGELO (PRETE)
Ciao bambini quando ero piccolo volevo
andare in seminario, ma i miei genitori non
volevano farmi andare e poi sono
diventato prete a Fiumalbo, a palavano
allora mi sono trovato bene e due anni sono
stato a Fuimalbo, ho fatto insegnamento ai
seminaristi giovani.
Sono stato vestito da prete l’8 dicembre
1959, tardi, c’era poco tempo da studiare
sono andato in seminario tardi. Quando ero
piccolo abitavo in montagna. Prego per
tutti i bambini, perché crescono bravi,
buoni che abbiano voglia di studiare e
lavorare. Poi dopo sono diventato prete di
Sestola, ho fatto costruire la chiesetta
adesso è degli alpini. Il Cimone è il monte
più alto mi hanno fatto vedere il
goniometro, l’hanno condotto al posto
sicuro ( apparecchio meteorologico). Nel
1969 mi hanno fatto prete a Montefiorino
per tredici anni poi dopo nove anni alla
casa del clero a Cognento. Dirigevo il coro,
facevo le funzioni vestiti da chierichetti li
portavo a giocare a calcio a sono
riuscito a fare il campo sportivo a
Montefiorino. Alla casa del clero sono
caduto, poi sono andato a Torrepredera a
Rimini.
NONNO BRUNO: sono nato nel 1915 a
Castelfranco Emilia, fate a modo, studiate
e ubbidite a mamma e papà che vi aiutano e
fate a modo perché vi vogliono bene e vi
seguono. Non bisogna essere dei ladri,
bisogna essere bravi e dei bravi lavoratori.
NONNA EVA: vi racconto come era il mio
asilo, non era bello come il vostro: c’erano
dei tavoloni per mangiare con dei buchi
dove si metteva la tazza. Anche il
gabinetto non mi piaceva perché c’era un
buco grande e io avevo paura. Non c’erano
neanche i lettini perché non si dormiva.
37 Io piangevo perché quel posto non mi
piaceva e così mi hanno tenuta a casa, ma
voi siete più fortunati: la vostra scuola è
molto bella. La sola cosa bella che ricordo
dell’asilo è che mi hanno insegnato tante
canzoni e tante filastrocche. E tutte le
canzoni e le filastrocche pio le ho
raccontate ai miei figli e adesso le
racconto ai miei nipoti e anche a voi.
NONNO SERGIO: Sono nato a santino di
Frignano il 1940, mio padre si chiamava
elio Bretoni, mia madre Tomei Maria,
eravamo 7 figli,poi si è sposato Federico
mio fratello ed è nato un bimbo che si
chiamava Maurizio. Da bimbo giocavo
nell’aia ( cortile) al pallone con i miei
fratelli e dopo è venuta la guerra cattiva;
quando io avevo 4 anni sono andato via con
le mucche, il fieno e dopo la guerra sono
tornato a casa.
Sono andato a scuola fino alla 5
elementare , dopo ho lavorato la terra a
casa mia con mio padre e mio zio che
faceva il mercante di bestie ( tori,
cavalli,mucche,maiali). Eravamo in 11 in
famiglia abitavamo a Santino, dopo
abbiamo venduto il fondo ( terreno) e
siamo venuti in pianura, alla fossa. Poi mio
padre, portava a Modena le mucche e io ho
lavorato la terra e a Modena ho venduto
due mucche a 300 mila lire.
NONNO AFRO
A SCUOLA IN TEMPO DI GUERRA
Dei miei primi due anni di scuola
elementare, conservo pochi e vaghi
ricordi: il volto del maestro siciliano che
parlava strano, e quello piuttosto vacuo e
ridanciano di quella sua figlia che lo
seguiva ovunque, anche in classe, con mia
somma noia.
Abitavo a Montemolino, un piccolo ed
isolato borgo di 30 anime, arroccato a
1000 metri sull’ appennino modenese, la
scuola non c’era, e perciò le lezioni si
tenevano presso la casa di una famiglia
abbastanza fortunata da possedere una
stanza libera, dove noi bambini
frequentavamo prima e seconda
elementare, tutti assieme.
Le classi successive invece, si tenevano
presso una scuola “regolare”, nel comune
principale, a 3 chilometri di distanza, da
fare a piedi, naturalmente,… e qui
cominciano i miei ricordi più vivi.
D’inverno, la mattina, mi alzavo presto e di
malavoglia, perché c’era un freddo tale che
le finestre della mia stanza, all’interno
però, erano ricoperte da quelle che
sembravano delicate tendine di candido
pizzo, ma che, invece, si formavano ogni
notte ed erano fatte di crosta di ghiaccio.
Superato con frenesia lo choc di lavarsi e
vestirsi, correvo finalmente nell’unica
stanza riscaldata, la cucina, dove mia
madre mi faceva trovare una buona
colazione con pane e marmellata fatti in
casa, e poi via, quando i miei due amici
chiamavano dalla strada, scendevo giù e
partivamo a rotta di collo, di corsa, in
discesa verso Palagano, perché non
volevamo arrivare in ritardo al cospetto
della nostra nuova maestra, una di città, un
essere alieno dunque, che chissà cosa
avrebbe preteso da noi…
Verso fine Ottobre veniva già giù la prima
neve, e ne faceva tanta in quegli anni! Era
il 1940, vestivamo con quello che avevamo,
le calze di lana sferruzzate dalla mamma,
le scarpe, beh… di vere non ce n’erano, ma
solo zoccoli chiodati che mi faceva mio
nonno, che era commerciante di legname,
sì, ma sapeva fare veramente tutto con
quelle sue mani esperte!. I pantaloni erano
corti al ginocchio, e quello lo ricordo bene,
perché scendendo verso la scuola per il
sentiero, sprofondando nella neve fresca,
dopo poco ero completamente fradicio fin
su alle cosce, che diventavano viola e dure.
Arrivato a scuola, con i piedi che mi
dolevano per i geloni, non riuscivo affatto
a scaldarmi poiché c’era una sola misera
stufetta di terracotta, e la maestra la
teneva ben stretta vicino a sé, addirittura
sotto la sua cattedra, a scaldarle le
cosce…! E io battevo i denti in fondo
all’aula, con una corrente maligna che
penetrava dagli spifferi larghi un dito
delle malconce finestre; se mi volevo
alzare dovevo prima staccare dalla sedia i
pantaloni che vi si erano nel frattempo
incollati sopra, gelandosi, mi ricordo
ancora il rumore che facevano, come un
crepitio secco, altrimenti mi sarei tirato
dietro anche la sedia!
Francamente cosa mi insegnassero non me
lo ricordo, dopo 4 ore di sofferenza mi
fiondavo fuori dalla scuola, libero
finalmente, e in movimento,… e nevicava
sempre! Io e gli altri ci incamminavamo
subito, ma di corsa, per scaldarci, e poi
cominciavamo a sfidarci a chi faceva i
passi più lunghi e i buchi più profondi nella
neve, e a salti e a passi e scommesse
finivamo per ritrovarci di nuovo vicino al
punto di partenza…
Quando finalmente giungevo a casa, c’era
mia madre ad aspettarmi, con le mani sui
fianchi, lo sguardo severo e l’imminente
castigo: restare in casa fino a sera! Era
troppo!
Ricordo un tema che mi fece guadagnare
un bel voto e che raccontava della sera
dell’Epifania, tutti radunati intorno al
fuoco a sentire racconti di paura e
mistero, dopo tre giorni interi di nevicate
fittissime e di strade impraticabili,
nessuno arrivava e nessuno partiva, quando
improvvisamente, proprio intorno alla
mezzanotte, giunsero come dal nulla due
pattuglie di tedeschi, una visione quasi
surreale e incredibile, mi sembrarono
cavalieri del male usciti da chissà
dove…l’inferno forse! Subito ci ordinarono
con strani latrati di tenere le mani in alto,
mentre la canna nera dei loro fucili
minacciosi era fissata a pochi centimetri
dai nostri visi: quella paura la ricordo
ancora, mi si fermarono tutti i pensieri e
forse anche il cuore… Fortunatamente
tutto si concluse quando, finalmente
soddisfatti, se ne andarono con le nostre
frittelle appena fatte, più un salame ed un
formaggio di quelli buoni
Terminate le elementari i miei genitori mi
portarono a Modena al Collegio del Sacro
Cuore per continuare gli studi, e, per vari
motivi, la cosa non mi piacque per niente!
Essendo ancora tempo di guerra, si pativa
la fame, mentre noi a casa fortunatamente
non soffrivamo di eccessive privazioni; i
miei genitori allora mi mandavano delle
belle pagnotte di pane
fatto nel forno di casa, e così potevo
evitare di mangiare il cibo della scuola,
spesso riso…che si muoveva! Dividevo il
pane con i miei amici e alla sera, con il buio,
andavamo a rubare le mele ancora acerbe
di un orto lì vicino: avevamo fame!
Si studiava, si pregava, si giocava, si
stringevano amicizie preziose e si
provavano anche violente antipatie. Un
giorno venni incolpato ingiustamente da un
insegnante di aver partecipato ad una
zuffa fra ragazzi, non era vero, e glielo
dissi, e… perciò mi mise in castigo sotto il
solleone estivo del mezzogiorno, al muro,
come un condannato! Dovevo restarci per
un ora, e già cocevo per l’ingiustizia subita
quando mi mossi, e lui mi vide…si avvicinò,
cattivo, e mi diede uno schiaffone in pieno
viso che mi ribaltò. Ero un ragazzo
orgoglioso ed anche pieno di forza, mi alzai
col viso asciutto, di scatto, e alla muta
piantai un calcione negli stinchi al
prete…successe un finimondo, uno
scandalo, ma, a dire la verità, non mi
pentii mai.
Verso la fine della guerra, a causa dei
bombardamenti, finimmo sfollati fuori
città, ma anche lì eravamo a rischio. Gli
americani vennero a bombardare un ponte
lì vicino, proprio mentre noi eravamo tutti
in un prato, allo scoperto, vestiti con la
mantellina d’ordinanza, con il terrore di
essere un facile bersaglio per chi ci poteva
anche credere soldati nemici!
Non capivo perché dovessi rimanere lì, in
pianura, lontano dai miei, sotto i
bombardamenti, solo per andare a scuola…,
così quel pomeriggio presi la decisione:
sarei scappato per tornare in montagna, a
casa mia. Non dissi niente a nessuno, era
un piano mio, al momento giusto scavalcai il
muro di due metri e poi corsi, corsi, corsi
come in un sogno, quasi senza fatica e
senza pensieri, era la volontà che mi
guidava. Poi, quando fui secondo me
abbastanza lontano da lì, camminai
lungamente, finché ebbi la fortuna di
ottenere un passaggio sul cassone di un
camion di un conoscente, che andava verso
casa. Mi lasciò a circa 10 chilometri da
Montemolino, ed io per scortoni nei campi
e nei boschi riuscii a giungere a casa prima
che facesse buio, inatteso, col cuore in
tumulto.
-“Beh? Cosa fai qui? Cos’è successo?” –
chiese mio padre senza tanto scomporsi.
Spiegai la mia storia, le paure soprattutto,
ma con poche parole guardinghe. Il giorno
dopo mio padre mi riportò all’odiato
collegio.
Non capii perché per lui fosse tanto
importante e perché mi facesse questo, le
spiegazioni a quei tempi non erano dovute,
fatto sta che tornai a scuola, a studiare.
Per poco però, perché la mia indole mi
spingeva verso altre cose: ad una vita più
attiva, all’esperienza pratica, a toccare
con mano, a fare, e dunque infine anche al
lavoro vero, e devo dire che in fondo non
me ne pento, tutto quello che ho imparato
in quell’ età precoce mi ha molto aiutato e
lo porto per sempre dentro di me.
Pollicino raccontato dalla nonna di Giulia
C’era una volta una mamma e un papà che
facevano i boscaioli, ma erano tanto poveri
e avevano tanti bambini. Il più piccolo si
chiamava Pollicino perché era piccolo come
un pollice.
A casa si mangiava poco e allora una sera il
papà disse che dovevano portare i bimbi
nel bosco . Pollicino sentì e uscì a trovare
dei sassolini bianchi. Il mattino presero i
bimbi e andarono nel bosco e la sera li
lasciarono . Ma Pollicino disse,non piangete
che torniamo a casa. Trovò i sassolini
lasciati il mattino e tornarono a casa. La
mamma era molto contenta, ma purtroppo
li dovettero lasciare di nuovo, ma questa
volta non fece in tempo a prendere i sassi
e lasciava cadere dei pezzettini di pane ,
ma gli uccellini li mangiarono tutti e così la
sera non riuscirono a trovare la strada di
casa. Cominciarono a piangere, ma Pollicino
li rassicurò e si incamminarono nel bosco.
ad un tratto videro una luce e si diressero
in quella direzione, ma quando arrivarono
videro che era la casa dell’orco. La moglie
dell’orco li accolse e gli diede anche da
mangiare e li mise a letto con i suoi
bambini in fondo perché l’orco non li
vedesse. Ma Pollicino mentre l’orco
dormiva gli prese gli stivali e andò nel
bosco a trovare una grotta dove c’erano
tanti soldi, poi ritornò a prendere i fratelli
e ritornarono da mamma e papà e vissero
felici e contenti tutti insieme.
FATTI DI VITA