venerdì 26 ottobre 2012
giovedì 25 ottobre 2012
No Halloween!!! «IL MIO POPOLO PERISCE PER MANCANZA DI CONOSCENZA»
Il 31 ottobre, è una data importante non soltanto nella cultura celtica, ma anche nel satanismo. E’ uno dei quattro sabba delle streghe. I primi tre segnavano il tempo per le stagiono “benefiche”: il risveglio della terra dopo l’inverno, il tempo della semina, il tempo della messe. Il quarto sabba marcava l’arrivo dell’inverno e la “sconfitta” del sole, freddo fame, morte. La festa cattolica di Tutti I Santi non è legata ad Halloween, è stata instaurata da Papa Gregorio IV nell’anno 840; originariamente si celebrava nel mese di maggio e non il 1° novembre. Fu nel 1048 che Odilo de Cluny decise di spostare la celebrazione cattolica all’inizio di novembre al fine di detronizzare il culto Samhain. In inglese la vigilia si chiama “All Hallowed Eve”, che divenne poi Halloween.
“Halloween è un fatto di cultura, è una forma di colonizzazione economica del nostro Paese, (e di tutti gli altri). è un espediente commerciale, è voglia di divertirsi, è la notte dove tutto è permesso, è un modo per intrattenere i bambini, quindi… HAPPY HALLOWEEN!
Con queste espressioni o con chissà quali altre e con questo augurio ci si accinge ad addobbare negozi, organizzare feste, insegnare l’inglese ai bambini in modo divertente, o improvvisare qualche mascherata a scuola, o in ufficio”. Intanto… «IL MIO POPOLO PERISCE PER MANCANZA DI CONOSCENZA» (Osea 4,6), come accade per la magia e tutto quanto gli ruota intorno tra cui anche la new e next age (pranoterapia, fiori di bach, piramidi, profumoterapia, musicoterapiea, corsi reiky, ecc): la maggior parte delle persone anche cattoliche, non sanno che si viola l’A,B,C delle regole fondamentali del rapporto con Dio: il primo comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.
PRIMA DI AGIRE, CONOSCI!
1. Il significato – Halloween è la forma contratta dell’espressione inglese “All Hallows’Eve day” che letteralmente significa vigilia d’ognissanti.
2. La ricorrenza – Halloween, nonostante non lo si dica come invece si dovrebbe, è una ricorrenza magica (di fatto, la magia è esercitare potere, in modo occulto, nei confronti di qualcuno). Il mondo dell’occulto così lo definisce: “è il giorno più magico dell’anno, è il capodanno di tutto il mondo esoterico”, “è la festa più importante dell’anno per i seguaci di satana”.
La Bibbia invece afferma: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il,dolce in amaro» (Isaia 5,20).
3. La leggenda – L’antica leggenda irlandese racconta che Jack, un fabbro malvagio, perverso e tirchio, che una notte d’ognissanti, dopo l’ennesima bevuta viene colto da un attacco mortale di cirrosi epatica. Il diavolo nel reclamare la sua anima viene raggirato da Jack e si trova costretto ad esaudire alcuni suoi desideri, tra i quali di lasciarlo in vita, giungendo al patto di rinunciare all’anima del reprobo. Jack, ignaro dell’effetto della malattia, muore un anno dopo. Rifiutato in Paradiso, Jack non trova posto nemmeno all’inferno a causa del patto con diavolo. A modo di rito il poveraccio intaglia una grossa rapa mettendovi all’interno della brace fiammante a luogo della dannazione eterna. Con questa lanterna, Jack, fantasma, torna nel mondo dei vivi.
4. La tradizione- Gli irlandesi, colpiti dalla carestia, immigrarono in America verso il 1850. Approdati nel nuovo mondo, trovarono un’enormità di zucche che, a differenza delle piccole rape indigene, erano sufficientemente grandi da essere intagliare. Così le zucche sostituirono le rape e divennero le Jack o’ lantern. Utilizzate la notte d’ognissanti perché si pensava di tenere lontani gli spiriti inquieti dei morti che tentavano, come Jack, di tornare a casa.
I bambini oggi si travestono da spiriti inquieti, che non trovano “pace” né all’interno del Paradiso e fanno visita alle famiglie guidati dalla lanterna zucca e ottengono dolci in cambio della loro “benevolenza”. Trick-or-treat è l’usanza del “dolcetto o scherzetto”. Trick or treat letteralmente significa: “trucco o divertimento”, “stratagemma o piacere”, ma che ha il significato originale di “maledizione o sacrificio”.
5. Fatti storici – La cupa leggenda di Jack occulta dei fatti storici e, in modo magico, mira a rievocarli. Alcuni secoli prima di Gesù Cristo, una setta segreta teneva sotto il suo impero il mondo celtico. Ogni anno, il 31 ottobre, giorno di Halloween, questa celebrava, in onore delle sue divinità pagane, un festival della morte. Gli anziani della setta andavano di casa in casa reclamando offerte per il loro dio e capitava che esigevano sacrifici umani. In caso di rifiuto, proferivano delle maledizioni di morte sulla casa, da qui è nato il “trick or treat”.
6. Considerazioni riguardo la…
…Leggenda: questa è montata sulla duplice menzogna che l’uomo può essere più furbo del diavolo e che le porte degli inferi si chiudono a qualcuno. Inoltre si sviluppa secondo pratiche sataniche: chiedere al diavolo l’esaudimento di desideri, fare un patto col diavolo, il mandato satanico a manifestarsi agli uomini, ritualità esoterica.
…Tradizione: il fenomeno Halloween, nella tradizione, nei costumi e nel commercio, è un insieme di rituali e una pratica di stregoneria sia che chi lo faccia consapevolmente o no.
…Storia: la storia rivela come dietro il fenomeno Halloween ci sono stati rituali e sacrifici satanici, Ai nostri giorni sappiamo che i satanici praticano dei sacrifici umani durante questa notte.
7. Attenzione: HALLOWEEN È SOSTANZIALMENTE MAGIA – S’impone un’irremovibile presa di posizione riguardo tutto ciò che ci viene propinato di Halloween e di magico in genere. Consideriamo che le parole che proclamiamo, i gesti che facciamo, gli sguardi che diamo non sono neutri ma significano la realtà spirituale che rappresentano.
Genitori, stiamo attenti a permettere che i nostri bambini si abituino, o ancor peggio, si educhino all’occulto.
Insegnanti, informiamoci sulle verità nascoste dietro la macabra creatività, potremmo scandalizzare, a nostra e a loro insaputa, gli alunni che ci stanno davanti. Certe filastrocche che i bambini devono imparare sono evocazioni dello spirito di morte.
Giovani e meno giovani, siamo accorti a non avvinghiarci al mondo esoterico attraverso i rituali di massa che, nelle feste come quelle dedicate ad Halloween, ci vengono proposti. Alcuni balli di gruppo sono rituali di iniziazione satanica.
Commercianti e venditori, abbiamo il coraggio di dire no a promuovere articoli che, dietro l’apparenza della mascherata, diffondono e creano mentalità esoterica. Molti oggetti venduti tra i prodotti di consumo sono amuleti, o loro riproduzioni, usati nelle pratiche di stregoneria.
Cristiani non lasciamoci fuorviare da apparenti tradizioni e mode, ma teniamo alta la vittoria che ha sconfitto il mondo, la nostra fede (cfr 1Giovanni 5,4). Non dimentichiamo che le disastrose conseguenze dell’inalazione magica non sono immediate, ma si manifestano a distanza di anni in depressioni, crisi e violenze.
8) I simboli – Pipistrelli, gatti neri, la luna piena, streghe, fantasmi…questi simboli hanno poco a che vedere con la vigilia di Samhain. Si tratta però di simboli usati nel mondo dell’occulto che hanno trovato un posto “naturale” alla “festa di Hallowen”. Le notte di luna piena sono il momento ideale per praticare certi riti occulti. I gatti neri vengono associati alle streghe per superstizione, si credeva infatti che le streghe potessero trasferire il loro spirito in un gatto, e per questo ne avevano sempre uno. Ai pipistrelli vengono attribuite capacità occulte perché hanno caratteristiche di uccello (che non mondo occulto sono simbolo dell’anima) e di demonio (perché vivono nelle tenebre). Nel medioevo si credeva che spesso il diavolo si trasformava in pipistrello. Diviene così chiara la ragione per cui il pipistrello è diventato parte di Hallowen. Le origini di Hallowen sono strettamente connesse alla magia, alla stregoneria e al satanismo. Gli adepti del satanismo e della magia riconoscono nel 31 dicembre uno dei giorni più importanti dell’anno: la vigilia di un nuovo anno per la stregoneria. A causa delle sue radici e della sua essenza occulta Halloween apre una porta all’influsso occulto nella vita delle persone. L’enfasi di Hallowen è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, la stregoneria, la violenza, i demoni. E i bambini sono particolarmente influenzabili in questo campo. Molti simboli sono chiarissimi in diversi prodotti anche alimentari, in questo periodo: svastiche, diavoli, ecc. La Parola di Dio, gli insegnamenti di tutta la tradizione cattolica, dalle prime comunità cristiane fino ad oggi sono chiarissimi, 150 sono i passi della Sacra Scrittura che dall’Antico (mai abolito da Gesù Cristo!) al Nuovo Testamento, vietano in ricorso più o meno inconsapevole a pratiche magiche, esoteriche, occultistiche, spiritiche e via dicendo. Ad esempio il Deuteronomio, al capitolo 18, versetti 9-14 dice: “Quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini delle nazioni che vi abitano. Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti e gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore….tu sarai irreprensibile verso il Signore tuo Dio, perché le nazioni di cui tu vai ad occupare in paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore tuo Dio”. In sostanza nella notte di Hallowen, chi partecipa ai vari “festeggiamenti” che in un modo o in un altro più o meno inconsapevolmente sono veri e propri riti che mettono in contatto con glio spiriti che altro non sono che gli angeli decaduti: i demoni. Las struttura spirituale che circonda l’uomo, come creatura, infatti è molto semplice: c’è Dio, il Figlio unigenito Gesù Cristo, lo Spirito Santo (Dio uno e Trino), gli angeli (nelle varie gerarchie) e gli angeli decaduti, cioè i demoni con il loro capo: Lucifero, poi divenuto Satana. Poi ci sono le anime dei beati-santi; purganti e quelle dannate, all’inferno. L’uomo è uno spirito incarnato, composto da tre componenti distinte: anima, corpo e spirito.
LA SPERANZA
Nonostante l’amara realtà di fenomeni come quello di Halloween, dobbiamo dire della grande speranza che viene dalla fede cristiana: la sua Chiesa articolata in tante realtà anche nuove ed emergenti, lo Spirito Santo sta anche suscitando la nascita, la formazione e la crescita di comunità cristiane in seno alla chiesa Cattolica. Comunità che collaborano con Parrocchie portando nuova vitalità evangelica. Sempre più giovani, anche se questo i notiziari non lo dicono, sì, stanno scoprendo e accogliendo Gesù, Signore Salvatore e Messia e vogliono dedicare a Lui la loro vita. Sempre più famiglie, dopo aver fatto esperienza dello Spirito Santo, desiderano vivere esperienze dove trovare nutrimento alla fame di comunione che oggi, il mondo denuncia.
La fede è necessaria per vivere l’Amore di Dio ma non è sufficiente, ci vuole la Comunità, la Chiesa nelle sue articolazioni e varietà di carismi e chiamate.
“Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, piuttosto denunciatele apertamente”. I VERI CRISTIANI vogliono fare la volontà di Dio e quindi fanno questa opera di informazione, doverosa, e crediamo utile, anche per le strutture stesso della Chiesa, spesso ignare di quanto sopra illustrato.
Anche diversi vescovi nelle Diocesi italiane stanno diffondendo le informazioni riportate.
Molti gruppi, movimenti, associazioni cattoliche, la notte del 31 ottobre si riuniranno in preghiera o organizzeranno feste cristiane alternative con la partecipazione di gruppi, cantanti o cantautori della musica cristiana contemporanea dei vari generi musicali e particolarmente, in quella occasione, di Lode e Adorazione contemporanea.
sabato 20 ottobre 2012
Breve vita di san Giuseppe da Copertino
San giuseppe da Copertino
Giuseppe Desa nasce il 17 Giugno
1603 in una stalla, perché il padre, Felice, custode del castello dei marchesi
diCopertino, provincia di Lecce, si era dato alla macchia per aver firmato
troppe cambiali in favore di alcuni amici.
Sua Madre, Franceschina Panaca, era una
donna forte e rigorosa, tanto che Giuseppe, diventato frate, ricordando gli
anni della sua infanzia disse che "il primo
noviziato glielo aveva fatto fare lei".
L'ambiente poco sereno e inadatto per un
bambino lo fece crescere un po' trasognato, distratto, tanto da meritargli il
nomignolo di "boccaperta" per essere rimasto incantato all'ascolto
del suono dell'organo durante le prove di canto.
A sette anni fu mandato a scuola, ma dovette presto lasciarla perché un
tumore cancrenoso lo costringerà a letto per 5 anni. In questo tempo,
ascoltando i racconti di mamma Franceschina maturò il desiderio di vedere Assisi
e di camminare alla sequela di San Francesco.
Un giorno la mamma lo condusse presso il
Santuario di Santa Maria delle Grazie, nel vicino paese di Galatone. Ricevuta
l'unzione con l'olio della lampada votiva Giuseppe guarì all'istante e tornò a
Copertino con le proprie gambe.
Sui 16 anni cominciò a fare il
calzolaio, ma si rivelò un vero fallimento. Chiese in questo periodo di entrare
tra i Frati Minori Osservanti ma ebbe poca fortuna e fu giudicato inadatto atutto. Fu accettato come "fratello
laico" tra i Cappuccini e nell'agosto 1620 fu inviato a Martina Franca per
l'anno di Noviziato col nome di fra Stefano, ma qualche mese dopo fu rimandato
perché "inetto a qualsiasi mansione".
Uscito dai Cappuccini si vergognò di
tornare a Copertino e andò presso uno zio Conventuale che lo avvisò della
avvenuta morte del padre, e dei soldati che ora cercavano lui, come erede dei
debiti da pagare. Fu necessario nasconderlo e il luogo più adatto sembrò la
Grottella, una chiesetta dedicata alla Madonna. Con la provvidenziale
complicità di un frate sacrista che gli passava il cibo, trascorse circa sei
mesi come "clandestino di Dio" in un bugigattolo addossato al Convento
della Grottella. Visse così finché il sacrista stesso si presentò allo zio e
diede buona relazione sul giovane, sempre applicato alle cose di Dio. Fatto sta
che gli zii, entrambi francescani, mossi a compassione gli concessero l'abito
da terziario, che godeva allora dell'immunità del "braccio secolare":
avrebbe fatto il servo in quel convento di campagna.
A 22 anni fu ammesso tra i
"fratelli laici", tra i frati cioè che emettono i voti, ma non sono
ammessi al sacerdozio. Fra Giuseppe fece il suo anno di Noviziato da solo sotto
la guida dello zio, padre Giambattista
Panaca: superando qualche ostacolo nell'apprendimento del latino e della Regola
di San Francesco a memoria. Spesso lo sorprendevano di notte a leggicchiare di
nascosto o a farfugliare qualche frase in latino. Non gli mancava la buona
volontà di curare lo studio, per il dovere che avvertiva di riempire i vuoti
del tempo passato. Studiava di nascosto e si esercitava nello scrivere anche di
notte.
Gli zii, al vederlo così pieno di buona
volontà, decisero di presentarlo ai frati come possibile chierico. Tanto
evidente fu l'intervento della Provvidenza che fu ammesso a continuare gli studi.
Nell'anno di prova egli seppe sempre corrispondere, pur nei limiti delle sue
possibilità, all'obbedienza e fu capace di condurre vita austera. "Per la
sua bontà" fu ammesso alla Professione. Ad essa non venne mai meno e non
si concesse mai "sconti", continuando con fedeltà il cammino che si
faceva ancora più arduo.
Scherzi della Provvidenza: Fra Giuseppe,
riconosciuto come una persona scarsa di doti umane intellettuali e di una
scienza adeguata, si prepara al sacerdozio. Fu presentato per ricevere gli Ordini
Minori e ricevette la prima tonsura il 3 gennaio 1627; si predispose poi a
ricevere il Diaconato. I candidati erano sottoposti ad un piccolo esame:
leggere, cantare e spiegare il Vangelo. Fra Giuseppe si era preparato al limite
delle sue forze, imparando a memoria il brano più breve dell'anno liturgico:
"Beato il ventre che ti ha portato" a cui Gesù
replica: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la
Parola di Dio e la mettono in pratica".
Nell'imprevedibilità del disegno divino
il Vescovo aprì la Bibbia a caso e a Fra Giuseppe capitò proprio proprio quel
Vangelo, l'unico che sapeva bene a memoria! Fu lodato dal Vescovo anche per il
suo buon canto e ricevette il Diaconato il 20 Marzo 1627.
Rimaneva l'esame di ammissione al
sacerdozio: i candidati erano 5 per la Provincia di Puglia. I primi quattro
avevano un curriculum regolare e conseguirono un buon risultato. Mentre stava
per arrivare il turno di Fra Giuseppe un messaggero trafelato portò un
ambasciata urgente al Vescovo: il trasferimento alla Diocesi di Anglona-Tursi.
Fatto sta che la tensione del vescovo
sugli esami si allentò e così pensò di allargare anche all'ultimo candidato il
giudizio positivo dato agli altri. Immensa fu la gioia di Giuseppe che si
ritenne "miracolato" e fu ordinato sacerdote il 28 Marzo 1628.
L'intervento divino, segno di una predilezione tutta particolare era ben
chiaro: la consapevolezza di aver ricevuto veramente tutto da Dio diventerà per
Fra Giuseppe uno stimolo a perseguire la santità.
I superiori lo lasciarono al Convento
della Grottella anche per farlo sfuggire ad un controllo troppo evidente della
sua miseria naturale. I dieci anni di apostolato che gli fu concesso
dall'obbedienza di trascorrere alla Grottella (1628-1638), furono veramente
ricchi di frutti spirituali, sia per Giuseppe, sia per i numerosi pellegrini e
devoti che ricorrevano a lui, "il Santo della Grottella".
Egli invitava tutti a ringraziare Maria,
a chiedere la sua materna intercessione, ad abbandonarsi con fiducia tra le sue
braccia. Quando dovette partire per Napoli per la denuncia all'Inquisizione,
dovette staccarsi per sempre da quella Madonna. Ma dovunque si trovasse, sino
alla morte a Lei rimase sempre unito col cuore e con la mente.
P. Giuseppe si distingueva per lo
spirito di preghiera alla quale dedicava molte ore del giorno: il Signore gli
concesse doni straordinari come estasi e levitazioni che confondevano l'umiltà
del nostro santo il quale per parte sua evitava quanto più poteva di farsi
vedere. Bastava un solo richiamo alle cose divine, attraverso una lettura, un
salmo, un'immagine religiosa per essere a volte lanciato fuori di sé: Confidò a
un confratello: "Quando nello schioppo la polvere
da sparo si accende manda fuori quel boato e fragore. Così il cuore estatico
acceso di amore di Dio".
Il popolo cominciò a conoscere questi
fenomeni, e spesso il nostro frate si ritrovava con l'abito tagliuzzato
dai devoti, gli oggetti da lui usati facevano miracoli. Il P. Provinciale pensò
di mandarlo a visitare tutti i conventi della Provincia religiosa per
accrescere la devozione e la preghiera dei frati.
Fu l'inizio della sua Via Crucis. Al
ritorno a Copertino trovò l'ordine del Sant'Uffizio di presentarsi a Napoli al
tribunale perché accusato di messianismo.
Giuseppe obbedì, pur con fatica e superò
tutte le prove previste, perché i suoi costumi e la sua dottrina erano
ineccepibili. Tuttavia ricevette l'ingiunzione di essere trasferito in un
conventino appartato e di regolare osservanza. Così venne mandato in Assisi,
dove, al contrario, la sua popolarità aumentò.
Padre Giuseppe vivrà ad Assisi quindici
anni: chiuso in tre stanzette a ridosso della selva, la sua giornata era un
lungo colloquio con Dio, culminante nella Celebrazione Eucaristica nella
cappella del vecchio noviziato: "Col mistero del
Santissimo Sacramento -diceva - Dio ci ha donato tutti i tesori della
divina onnipotenza e ci ha fatto palese l'eccesso del suo divino amore".
Era nella Messa che Dio mostrava in lui
lo splendore della sua potenza e dei suoi misteri rivelati ai piccoli. Giuseppe
si sollevava in alto, cadeva con la faccia a terra, ballava, piangeva, gridava.
A chi si meravigliava di queste strane manifestazioni spiegava: "Le persone che amano Dio sono come gli ubriachi, che non stanno in
sé, e perciò cantano, ballano e fanno cose simili". Giuseppe non
amava queste manifestazioni esteriori della grazia che lo esponevano alla
curiosità della gente e quasi si scusava dicendosi affetto da una malattia
ignota, mentre pregava il Signore di togliergli ogni manifestazione esterna, ma
non fu esaudito.
La mattina del 23 Luglio 1653, al
termine della Messa fu chiamato dal suo superiore in portineria, dove lo
attendeva l'Inquisitore generale dell'Umbria che gli annunciava solennemente il
suo trasferimento: rimase impietrito finché il suo superiore non gli
ricordò i meriti della Santa Obbedienza: allora P. Giuseppe si gettò in
ginocchio per baciare i piedi del domenicano, ascoltò rassegnato il proclama
del tribunale e quasi volò verso la carrozza, tra quattro soldati. Non aveva
nulla con sé. Un ultimo sguardo all'amata Assisi e la carrozza si mosse per una
destinazione ignota.
Pietrarubbia, un paesino nascosto tra i
boschi di Carpegna, nelle Marche accoglierà P. Giuseppe nel convento dei
Cappuccini: così avevano stabilito i superiori. Non potrà parlare con nessuno,
scrivere a nessuno, non rivelare la presenza; le relazioni personali erano
riservate ai soli Cappuccini del Convento; gli ordini sarebbero stati affissi
sulla porta del refettorio e della celletta di fr. Giuseppe. Chi tentasse di
contravvenire a questi ordini sarebbe stato scomunicato!
Nonostante l'accaduto P. Giuseppe era
sereno e ai Cappuccini marchigiani non sembrava vero di avere tra loro quel
Giuseppe da Copertino di cui tanto avevano sentito parlare. La cella di P.
Giuseppe diventò ben presto un luogo di incontri spirituali in cui si
trattavano argomenti di comune edificazione. Lui non accusava mai, non si
lamentava, semmai si rallegrava che Iddio lo avesse sequestrato dal mondo e
levato dalla curiosità che egli tanto aborriva.
La notizia che P. Giuseppe era a
Pietrarubbia non tardò a circolare e molta gente si riversò nel piccolo paese
tra le colline Marchigiane. Grazie e miracoli erano profusi con dovizia:
l'Inquisizione, d'altra parte, non aveva dato disposizioni a riguardo della
Messa, che egli continuò a celebrare in pubblico. Ma anche questo periodo ebbe
termine. Il Vicario generale del Vescovo di Urbino arrivò a Pietrarubbia
con l'ordine di condurlo in altro luogo.
-"Dove mi
porterete?" chiese P. Giuseppe.
- "Mi è stato vietato di manifestarvelo" rispose il Vicario.
- "Ci sarà Dio nel luogo dove mi portate?"
- "Padre, sì,
senza dubbio"
- "E allora andiamo tranquillamente: il Crocifisso ci aiuterà".
Ecco la fede di Giuseppe da Copertino:
la grazia lo aveva plasmato fino a farlo giungere alla perfetta assimilazione
con la volontà di Dio. La sua ascesi era tutta volta a purificare e
trasfigurare l'intera esistenza per evitare il ripiegamento su di sé. Alla
scuola di Francesco assunse il Cristo come centro attorno al quale far ruotare
tutta la sua esistenza e ordinare ogni aspetto della propria personalità. Viveva
un amore incondizionato alla Chiesa, sempre disponibile alla pronta obbedienza
ai pastori, accettando anche l'incredulità e il sospetto di alcuni ministri di
Dio.
Grande era la sua devozione e tenerezza
per la Madre di Dio, da lui contemplata nell'immagine della Grottella;
devozione discreta, semplice: alle feste della Madonna si preparava con fervore
e seguendo la sua fantasia con canzoncine e poesie.
Copertino, la Grottella, Napoli, Assisi,
Pietrarubbia, poi ancora Fossombrone e infine Osimo tra i suoi confratelli
conventuali: "Signore, voi sapete che la
stanza di Osimo non fu né desiderata, né procurata affatto da me: Se volete che
io vi vada voi disporrete in modo che in qualunque luogo io faccia il vostro
servizio". E così partì, con quello che aveva addosso, per quella che sarebbe stata
la sua ultima dimora.
Vedendo in lontananza la Basilica di
Loreto disse. " Oh, che vedo? Quanti angeli vanno e
vengono dal cielo! Non li vedete? Guardateci, guardateci bene!" E volò anche lui
fino ad un mandorlo nella campagna: era traboccante di gioia e ritornato in sé,
cominciò a cantare e pregare.
Arrivarono la sera del 9 Luglio al
Convento di San Francesco in Osimo; entrarono e il Santo sussurrò "Haec
requies mea": aveva trovato la sua sede terrena definitiva e il Signore
stesso glielo aveva fatto capire.
Rifulgono nella figura di questo santo
le meraviglie che Dio opera con coloro che si consegnano completamente nelle
sue mani senza opporre resistenza sicuri della Providenza del Padre Celeste.
Giuseppe era affabile, il santo della gioia che esprimeva nel canto, nella
danza, nelle composizioni musicali o poesie: in punto di morte chiese ai frati
che cantassero con lui.
Un uomo tutto donato e libero, liberato
dalla grazia di Dio dalla quale si era lasciato lavorare, libero
nell'Obbbedienza: "Io che prima non conoscevo la
volontà di Dio e bramavo di tornare al mio paese, adesso la conosco molto
chiara!"
Visse in Osimo e vi morì il 18
settembre 1663: un quarto prima di mezzanotte il volto si illuminò e concluse
la sua vita terrena con un lungo e ineffabile sorriso.giovedì 18 ottobre 2012
Evangelizzare
Evangelizzare
La Chiesa non
comincia con il “fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio
attraverso di essa: è il Vangelo cioè la notizia che Dio ha parlato e quindi
parla e parlerà, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, è in
continuità con noi, ci rende partecipi della sua vita come figli nel Figlio
“La grande sofferenza
dell’uomo – in quel tempo, come oggi – è proprio questa: dietro il silenzio
dell’universo, dietro le nuvole della storia c’è un Dio o non c’è? E, se c’è
questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo Dio è buono, e la realtà
del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda oggi è così attuale come lo
era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è una ipotesi o no? È
una
realtà o no? Perché non si fa sentire?
“Vangelo” vuol dire: Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato, Dio
c’è. Questo fatto come tale è salvezza: Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato
nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci
ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge. Questo è il vangelo stesso.
Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso e
questa è la salvezza.
La questione per noi
è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è
mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di
oggi, affinché diventi salvezza? Di per sé il fatto che abbia
parlato è la salvezza, è la redenzione. Ma come può saperlo l’Uomo? Questo
punto mi sembra che sia un interrogativo, ma anche una domanda, un
mandato per noi: possiamo trovare risposta meditando l’Inno dell’Ora
Terza “Nunc,Sancte, nobis Spiritus”. La prima strofa
dice: “Dignare promptus ingeri nostro refusus,
pectoris”, e cioè preghiamo affinché venga lo Spirito Santo, sia in
noi e con noi. Con altre parole: noi non possiamo fare la Chiesa,
possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il
“fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio. Così gli Apostoli non
hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la
forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno
pregato e in preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può
creare la sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre
cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è
Lui che parla e ha parlato. Pentecoste è la condizione della nascita della
Chiesa: solo perché Dio prima ha agito, gli Apostoli possono agire con Lui e
con la sua presenza e far presente quanto fa Lui. Dio ha parlato e questo “ha
parlato” è il perfetto della fede, ma è sempre anche un presente: il perfetto
di Dio non è solo un passato, perché è un passato vero che porta sempre in sé
il presente e il futuro. Dio ha parlato vuol dire: “parla”. E come in quel
tempo solo con l’iniziativa di Dio poteva nascere la Chiesa, poteva essere
conosciuto il vangelo, il fatto che Dio ha parlato e parla, così anche oggi
solo Dio può cominciare, noi possiamo solo cooperare, ma l’inizio deve venire
da Dio. Perciò non è una mera formula se cominciamo ogni giorno la nostra
Assise con la preghiera: questo risponde alla realtà stessa. Solo il precedere
di Dio rende possibile il camminare nostro, il cooperare nostro, che è sempre
un cooperare, non una nostra pura decisione. Perciò è importante sempre sapere
che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio
e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa
iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui
–evangelizzatori. Dio è l’inizio sempre, e sempre solo Lui può fare Pentecoste,
può creare la Chiesa, può mostrare la realtà del suo essere con noi. Ma
dall’altra parte, però, questo Dio, che è sempre l’inizio, vuole anche il
coinvolgimento nostro, vuole coinvolgere la nostra attività, così che le
attività sono teandriche, per così dire, fatte da Dio, ma con il coinvolgimento
nostro implicando il nostro essere, tutta la nostra attività.
Quindi quando facciamo
noi la nuova evangelizzazione è sempre cooperazione con Dio, sta nell’insieme
con Dio, è fondata sulla preghiera e sula sua presenza reale” (Benedetto XVI, Meditazione
del Santo Padre nel corso della Prima Congregazione Generale, 8
ottobre 2012).
Questo tema Benedetto
XVI l’aveva trattato il 22 dicembre del 2005 affermando che si fraintenderebbe
la natura del Concilio, tanto più quella di un Sinodo come tale ritenerli,
agire come fossero o una Costituente. Non possono essere considerati come un specie
di Costituente, che eliminerebbe una costituzione vecchia della Chiesa,
una Chiesa pre-conciliare, pre - sinodale e ne creerebbe una nuova.
Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del
mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri
conciliari non avevano, come non ce l’hanno i Padri sinodali, un tale mandato e
nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto, poteva darlo, perché la
costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data
affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa
prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la nostra vita nel tempo e il
tempo stesso. I Vescovi, mediante il sacramento che hanno ricevuto,
sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio”
(1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (Lc 12,
41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo
giusto, affinché non resti occultato in qualchenascondiglio, ma porti
frutto e il Signore, alla fine, possa dire all’amministratore: “Poiché sei
stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (Mt 25,14-30; Lc 19,11-27).
In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che
interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in
un Concilio, e tanto più in un Sinodo, dinamica e fedeltà debbano diventare una
cosa sola. Lo strumento più grande della comunicazione del vero vivente nella
vita della Chiesa è la sua stessa continuità dinamica: si chiama Tradizione.
martedì 16 ottobre 2012
Conversazioni con Dio..
il tuo scopo nel divenire umano è...
decidere, dichiarare, creare, esprimere, sperimentare e realizzare chi sei realmente.
E' ri-creare te stesso in ogni momento secondo la più grande visione della più grande visione
che tu abbia mai avuto di Chi Sei Realmente
che tu abbia mai avuto di Chi Sei Realmente"
domenica 14 ottobre 2012
Anno della Fede
Papa Benedetto XVI
nella Lettera Apostolica Porta fidei,con la quale indice l’Anno della fede, scrive: “Desideriamo
che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la
fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà
un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della
fede nella liturgia, e in particolare nell’eucaristia, che è ‘il
culmine verso cui tende l’azione
della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel
contempo auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti
cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti
della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere
sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare
proprio, soprattutto in questo Anno” (n.9).
Nell’anno della fede è
raccomandato il pellegrinaggio alla tomba di Pietro e nei luoghi santi.
Occorre ravvivare poi
la preghiera personale e comunitaria soffermandosi soprattutto sull’importanza
del Credo. Come afferma il Santo Padre sempre
in Porta fidei: “Nei primi secoli i cristiani erano
tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro
come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il battesimo” (n.9), quando ci è stata data quel germe di vita da
risorti nella quale godremo ogni bene senza più alcun male: è il nuovo
orizzonte e la direttiva per le scelte morali conseguente alla fede. Sarebbe un
frutto importante dell’Anno della fede se i cristiani riprendessero questa
antica prassi. Pregare con il Credo, infatti, aiuta ad entrare
maggiormente nel cammino di fede perché chiede di conoscere sempre di più chi
si ama, e così divenire nuovi evangelizzatori: ecco l’importanza del Catechismo
della Chiesa Cattolica e del suo Compendio. E’ importante e decisivo
partecipare ad altri la gioia di aver incontrato Gesù Cristo, il Risorto
presente e avere creduto alla sua parola e riceverlo in persona
nell’eucaristia: cambia la vita personale, familiare e sociale. La fede ha
bisogno di essere ripensata e vissuta con sempre maggior convinzione, coraggio
ed entusiasmo perché a quanti incontriamo sia offerta una parola di speranza e
uno sguardo di amore.
Gesù di Nazareth, il
Figlio di Dio, nato da Maria, proclamato nella fede il Signore e Cristo, nel
corso della sua esistenza ha rivolto diverse domande. I Vangeli ne sono fedeli
testimoni. Mentre camminava lungo il lago di Tiberiade, Giovanni Battista lo
indicò ai suoi discepoli comel’Agnello di Dio. Due di loro lo seguirono.
Accortosi Gesù chiese loro: “Che cosa cercate?” (Gv1,38). Pochi giorni dopo, mentre partecipava con sua madre a un pranzo di
nozze, sollecitato da lei ad intervenire per la mancanza del vino, le chiese: “Donna,
che vuoi da me?” (Gv 2,4). Nel periodo successivo, già
più conosciuto per alcuni segni da lui compiuti in un villaggio della Galilea,
fu chiamato dalla disperazione di un padre angosciato per la strana malattia
del figlio posseduto dal Demonio. A quel padre Gesù chiese: “Da quanto tempo
gli accade questo?” (Mc 9,21). Poco prima di compiere
il suo segno, forse il più grandioso, nel villaggio di Betania, ben
sapendo ciò che stava per fare, si rivolse a Marta, la sorella del defunto
Lazzaro: “Chiunque vive in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11,26). E, tuttavia, una tra
tutte queste domande rimane come la più importante. E’ stata quella rivolta ai
suoi discepoli in una regione lontana da Gerusalemme, a Cesarea di Filippo: “La
gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” Alla genericità delle
risposte ricevute, Gesù incalzò di nuovo i discepoli: “Ma voi, chi dite
che io sia?” La risposta chiara e decisa di Pietro anche a nome degli altri fu: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente!” (Mt 16,13-16).
L’11 ottobre inizia
l’Anno della fede. Se è vero che nella vita bisogna far sintesi in tante cose,
lo stesso si deve dire per la fede. Essa consiste nel lasciarsi interpellare e
per tante volte da Gesù nello stesso modo e con le stesse parole: “Voi, chi
dite che io sia?”. Dovremmo anche noi rispondere come i
discepoli: “Tu sei il Cristo!” E’ da questa risposta, e soprattutto
da questa consapevolezza, da questo innalzare tutto il giorno mente e cuore a
Lui, che certamente risale al tempo storico nel quale nacque, visse, morì e fu
risuscitato Gesù di Nazareth, che è nata la fede cristiana, l’umanesimo nel
mondo con al centro il valore e la libertà di
ogni persona, senza discriminazioni tra uomo e donna, tra ebrei e greci, tra
tutte le nazioni. Se morto l’ultimo apostolo, la già vivace comunità dei
credenti in Cristo non avesse saputo di questa domanda e non avesse fondato la
sua esistenza in essa, non si sarebbe sviluppato quel rapido e consistente crescere di un movimento, giunto fino a noi e chiamato Cristianesimo. Questa
comunità che tramanda in continuità la presenza, la verità dei Gesù Cristo,
voluta da Gesù stesso, si chiamò Chiesa per indicare la
raccolta, il convenire di tanti nell’unità del Dio con noi. Nel corso della
storia ha vissuto momenti decisivi con il dono dello Spirito del risorto momenti decisivi come l’avvenimento più importante
della Tradizione cioè i libri ispirati del Nuovo Testamento,
con al centro i Vangeli, con cui il Risorto, Dio continua a parlare e come
i 21 grandi Concili dopo quello di Gerusalemme, ultimo il Vaticano II,
di cui celebriamo il 50° del suo inizio e il ventesimo del suo Catechismo.
Insomma, da questa
domanda iniziale di Gesù e dalla decisa risposta di Simone con tutti gli
apostoli, che continua nel Papa con tutti i Vescovi, sarà necessario lasciarsi
guidare soprattutto quest’anno: a gennaio l’Enciclica sulla fede dopo quella sulla Carità e sulla Speranza. Sembra poco, ma non lo è per ché la
fede e fondamento della morale e dell’etica, così urgenti. Quella domanda,
infatti, ne veicola altre che dobbiamo porre con sincerità a noi stessi: Credo
in Gesù Cristo come il tutto per la mia vita personale, familiare, ecclesiale,
sociale cui innalzare in ogni momento mente e cuore e da cui tutto attingere?
Credo che nell’attuale presenza sacramentale da Risorto rivivo tutta la sua esistenza storica per lasciarmi assimilare a Lui, per
poter amare con il suo amore? Credo che egli sia venuto da Dio, come ognuno di
noi, per essere Dio insieme a noi e giungere con Lui al di là della morte in
anima e corpo? Credo che la sua parola è Dioche parla, è Parola di Dio che porta con sé la risposta alle domande sul
senso della vita: chi sono? Da dove vengo con il concepimento e dove vado con
la morte? Chi mi libera dal peccato e dalla morte. Come da tutti i mali?Nell’incertezza
di questo periodo storico e di questa società è un dono la certezza della fede
completa della Chiesa come è presentata dal Catechismo della Chiesa Cattolica e
dal suo Compendio, interpretazione sicura del Concilio Vaticano II? La chiarezza
e la bellezza della fede cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita
dell’uomo anche oggi. Questo in particolare se viene presentata da testimoni
entusiasti ed entusiasmanti! Credo che nulla di più bello poteva capitarmi che divenire cristiano fin da bambino con il
Battesimo? Credendo questo , la mia vita è
più sicura anche quando il quotidiano è messo alla prova? E’ più equilibrata?
E’ più consapevole del suo senso? Vive meglio il dolore? E’ una vita che spera
sempre? E’ una speranza che si vede? E’ una speranza che contagia? Se il mio
corpo, come di fatto avviene, può
invecchiare o perdere un po’ di salute, è forse accaduto qualcosa di simile
alla mia fede? Ha bisogno di terapia, la mia fede? E’ ancora capace di
costituire un organismo nel quale vive le difese immunitarie? E’ ancora capace
di rimandare al mittente tutte le lettere esplosive che mi arrivano dai non
pochi nemici della fede stessa attraverso i potenti mezzi di comunicazione, uno
dei nemici è sicuramente la superficialità e la pigrizia?
Questi interrogativi,
queste domande, che la coscienza ci pone, già illuminata dalla nostra fede,
devono diventare occasione di risposta a tutti quelli che, con fatica di
credenti o con comprensibile sfida di lontani dalla fede, in crisi, chiedono –
forse inconsciamente – a Cristo stesso: “Tu chi sei?” (Gv 8,25). A volte quella domanda è più dura: “Chi pretendi di essere?”
(Gv 8,53). In realtà l’esperienza ci fa
sapere che dietro simili modi di atteggiare la propria ricerca si
nascondo dolori, rivalse, rancori, problemi che la vita ancora non ha
placato. Ebbene, l’Anno della fede parte proprio da questa consapevolezza: se è
Dio che custodisce la fede, noi ne siamo gli amministratori e, come buoni
operai del Vangelo, occorre entrare in quella sana “ansia” che accende la
nostra mente e dà vigore alle nostre iniziative. L’anno della fede proposto dal
Papa è paradossalmente l’iniziativa più semplice, certamente la più naturale
che si possa proporre, non solo in tempi come questi di una certa calamità per
la fede, ma tutto sommato sempre. Da ottobre in poi, al contrario,
viene chiesto di prendere con più appassionata considerazione il caso serio
della fede.”Mentre nel passato – Porta fidei 3,4
- era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto
nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non
sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una
profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. Non possiamo
accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (Mt 5,
13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire d nuovo il bisogno di recarsi come la
samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad
attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio,
trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del pane della vita, offerto a
sostegno di quanti sono suoi discepoli (Gv 6, 51). Occorre incontrare Gesù in un rapporto io – Tu, io noi.
Incontra Gesù Cristo:
1. partecipa alla
Santa Messa almeno ogni Domenica. L’Anno della Fede intende
promuovere l’incontro personale con Gesù Cristo da cui la fede e ogni
testimonianza cristiana. Nel modo più immediato nell’Eucaristia. Una
partecipazione regolare alal Messa rafforza la propria fede
attraverso l’ascolto di Lui nelle Scritture e la risposta nella Chiesa con il
Credo, l’accoglienza di Lui in persona nella consacrazione e la recezione nella
comunione aiutati dalle orazioni, dalla musica sacra.
2. confessati
mensilmente. Come per la Messa, i credenti sanno che il Padre non
guarda quante volte cadiamo, ma quante volte, attraverso l’incontro
sacramentale con Cristo e il dono del suo Spirito ci risolleviamo, sapendo che
lui ci ama non perché siamo buoni, ma perché Lui è buono e vuole
progressivamente condurci all’amicizia con Lui.
3. prega
con il Rosario.
Conosci Cristo:
1. attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio. Nell’incertezza di
questo periodo storico e di questa società esso offre agli uomini la certezza
della fede completa della Chiesa! La chiarezza e la bellezza della fede
cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi! Questo in
particolare se viene presentata da testimoni entusiasti ed entusiasmanti.
2. rifarsi ai testi del Concilio Vaticano (1962 – 1965) che ha
portato un grande rinnovamento nella Chiesa. Un rinnovamento nella celebrazione
della Santa Messa, nel ruolo dei laici, nell’auto comprensione della chiesa e
nella relazione con gli altri cristiani, con gli ebrei, con chi appartiene ad
altre religioni e perfino con i non credenti. Per portare avanti il
rinnovamento, i cattolici devono conoscere ciò che insegna veramente il
Concilio, aiutati dal magistero post – conciliare, con il Catechismo.
3. Conoscere le vite dei
santi. I santi sono sempre validi per tutti i tempi come vivere una vita
cristiana, come pensare cristianamente, e suscitano una speranza affidabile con
cui affrontare il quotidiano, facile o difficile. Non solo essi erano die peccatori che incessantemente cercavano di camminare verso Dio, ma
esemplificano anche le modalità con le quali servire Dio: l’insegnamento, il lavoro missionario consci che la fede si rafforza donandola,
la carità e la disponibilità al bene, la preghiera e semplicemente sforzandosi
di piacere a dio nelel azioni e nelle decisioni ordinarie
della vita feriale.
4. Incarnare le
Beatitudini nella vita di tutti i giorni. Le Beatitudini (Mt 5,3-12)
forniscono un ricco programma per la vita cristiana. Averle presenti aiuta ad
essere più umili, più piccoli, più giusti, più trasparenti, più misericordiosi
e più liberi. E’ precisamente attirare alla fede
attirando alla Chiesa nell’Anno della fede.
Fede vissuta:
1. Volontariato in
parrocchia. L’Anno della Fede non può limitarsi alla fede professata, celebra, vissuta
ma anche testimoniata. Un ottimo ambiente è la parrocchia, poiché i carismi
particolare di ognuno e delle associazioni, movimenti, aiutano a costruire
globalmente la comunità. Chiunque è benvenuto per l’accoglienza, come musicista
liturgico, lettore, catechista e tanti altri ruoli della vita parrocchiale.
2. Aiutare i bisognosi e
l’impegno laicale per l’animazione cristiana della società puntando ad una economia sociale. La Chiesa sollecita i cattolici a donazioni di carità e a soccorre i bisognosi durante l’Anno della fede, poiché nel povero,
nell’emarginato e nel vulnerabile si incontra Cristo personalmente. Aiutarli
anche culturalmente, socialmente e politicamente ci conduce a faccia a faccia
con Cristo e costituisce un esempio per tutti gli altri.
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