martedì 29 marzo 2011

LA PRUDENZA (PARTE I)


Secondo Tommaso d'Aquino, fra queste quattro virtù, il primato spetta alla prudenza, in quanto rappresenta la retta norma di tutte le azioni. Ciò significa che un atto umano, per essere compiuto secondo la perfezione cristiana, non basta che sia in se stesso buono, se non è anche equilibrato. Facciamo un esempio. Il Vangelo chiede al cristiano la capacità della correzione fraterna in entrambe le direzioni, vale a dire, tanto di correggere quanto di essere corretto. Non c'è quindi alcun dubbio che la correzione fraterna sia un atto voluto da Dio e in se stesso è buono. Se però è compiuto da una persona priva della virtù della prudenza, rischia di creare fratture e conflitti, laddove essa avrebbe voluto portare luce ed edificazione. La virtù della prudenza, a chi sta per compiere una azione buona e difficile, suggerisce restrizioni di questo genere: "non è questo il momento opportuno, non sono queste le parole da usarsi, non è questo il tono della voce, il tuo interlocutore non è ancora in grado di dialogare serenamente, aspetta che gli passi il turbamento e poi gli parlerai…" e molte altre cose simili che conferiscono al gesto che uno sta per compiere la massima perfezione di tutti gli equilibri personali e relazionali. Allora il gesto porterà gli effetti positivi che si desiderano. Con questo intendiamo dire che se uno non ha la virtù della prudenza rischia di snaturare anche le altre virtù che potrebbe avere, appunto perché le eserciterebbe in maniera squilibrata. Il Catechismo della Chiesa Cattolica aggiunge: "Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare" (n. 1806).La Scrittura presenta la virtù della prudenza sotto diverse angolature. Innanzitutto la prudenza, anche se è una virtù umana, ha bisogno di una particolare luce dello Spirito, quando si tratta di "prudenza cristiana". Se una persona non supera mai i limiti di velocità nella guida, oppure esce sempre col cappotto quando fa freddo, diciamo che questa è una persona "prudente"; si tratta però di prudenza puramente umana. La prudenza cristiana è invece quella che un battezzato ha bisogno di applicare nelle circostanze delicate o difficili del suo cammino di fede. La prudenza "cristiana" non è quella che custodisce la vita fisica della persona, ma quella che custodisce il suo cammino di fede insieme ai suoi equilibri spirituali e morali. Questo tipo di prudenza non può esistere senza un dono di discernimento proveniente da Dio e non dal semplice buon senso umano. In questo senso va compreso i testo di Gb 12,13: "A Dio appartiene il consiglio e la prudenza". Nella stessa linea si muove anche il libro della Sapienza: "Pregai e mi fu elargita la prudenza" (7,7). Un primo modo di esercitare la prudenza, su cui la Bibbia insiste parecchio, è la prudenza del linguaggio e dell'uso della parola. L'uomo prudente è descritto, sia nell'AT che nel NT, come uno che usa la parola tanto quanto basta. Non si tratta solamente di evitare la maldicenza, ovviamente anche questo, ma si tratta anche di mantenere l'uso della parola in un regime di sobrietà. L'uomo prudente non fa mai abuso del linguaggio, così come non fa abuso di nulla, usando tutto secondo quello che serve. Il libro di Qoelet presenta la prudenza del linguaggio come una capacità di distinguere i tempi opportuni da quelli che non lo sono: "C'è un tempo per parlare e un tempo per tacere" (3,7). E più avanti aggiunge: "Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio… perché dalle molte preoccupazioni vengono i sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto" (5,1-2). L'insegnamento sulla prudenza del linguaggio abbonda nella medesima linea nel libro del Siracide: "Sii pronto nell'ascoltare e lento nel proferire una risposta… nel parlare ci può essere onore e disonore; la lingua dell'uomo è la sua rovina" (5,11.13). Il Siracide indica pure alcune circostanze in cui è opportuno che le parole siano poche: quando qualcuno ci rivolge una domanda e noi non conosciamo esattamente la risposta: "Se conosci una cosa, rispondi al tuo prossimo; altrimenti mettiti la mano sulla bocca" (5,12). Prudenza del linguaggio però non implica un totale silenzio: "Non astenerti dal parlare al momento opportuno, non nascondere la tua sapienza" (Sir 4,23). E' invece inopportuno parlare eccessivamente quando ci si trova dinanzi ai grandi della terra o a chi è rivestito da autorità istituzionale: "Non parlare troppo nell'assemblea degli anziani" (7,14), e ancora: "Non fare il saggio davanti al re" (7,5). Altre occasioni in cui bisogna controllare la parola sono inoltre quelle in cui ci si trova a discutere con un uomo irascibile o con una persona che non si conosce ancora bene (cfr. Sir 8,16.19). In questi casi bisogna saper controllare le parole e non aprire il cuore a chiunque. Altro caso del dominio della parola è quello in cui va custodito un segreto confidato dall'amico: "Chi svela i segreti perde la fiducia e non trova più un amico per il suo cuore" (27,16).

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