sabato 23 aprile 2011

La risurrezione di Cristo è un fatto reale


La risurrezione è un fatto reale. Lo fu duemila anni fa e lo è oggi. Il corpo del Signore divenne cadavere e fu il suo cadavere a riprendere vita e a mantenerla. Gesù non è più morto da allora e da risorto rimane in mezzo a noi, mentre gli altri pochi risuscitati, come Lazzaro e la figlia di Giairo, tornarono a morire e furono risepolti.
Nel corso di due millenni di storia cristiana sono stati effettuati nel mondo, in ogni continente, da parte delle più svariate categorie di persone, ai diversi livelli, tutti gli sforzi più inverosimili e mirabolanti per trovare ragioni contro la verità della risurrezione di Gesù. L’atteggiamento è spiegabile, i tentativi comprensibili, data l’importanza basilare del fatto. Ma, se ci fosse un argomento valido a negarla, prima o poi sarebbe venuto fuori. Invece no, non è venuto fuori niente. Supposizioni, cavilli, sciolti come neve al sole. Nulla di serio, ieri e oggi, da poter scalfire la solidità storica del fatto.


La morte di Cristo non fu morte apparente

Uno dei cavalli di battaglia è stato il ricorso alla supposizione della morte apparente: Gesù non sarebbe morto e, dopo un riposo ricostituente nella tomba è riapparso ai discepoli, che diffusero in giro la voce della risurrezione. È un assunto pretestuoso e ingiustificabile. Basta analizzarlo un po’ per verificarne l’assoluta inconsistenza.
Siamo d’accordo nel riconoscere la difficoltà di offrire una definizione definitiva della morte. Con tutti i progressi tecnologici operati anche nel campo della fisiologia, la scienza moderna non è ancora in grado di dire l’ultima parola in proposito, se si muore per l’immobilità del cervello o del cuore o di tutti e due. Ebbene, che il mondo scientifico continui a indagare. Sulla terra, intanto, si muore da quando sono apparse le prime forme di vita, e tutti da sempre sanno che cosa è un cadavere. Esistono pure casi di morte apparente, ma non è e non può essere quello di Gesù. A rianalizzare il processo variegato dei tormenti della sua passione, il sentimento più ovvio da ricavarne è di meraviglia che Egli non sia morto prima, lungo la strada del Calvario.
È da ritenere un miracolo di sopravvivenza che un uomo così provato, senza prendere un boccone dalla sera precedente, dopo una nottata insonne, esposto agli insulti, tra gli strapazzi subiti da un tribunale all’altro, sottoposto alla crudeltà della flagellazione e alla coronazione di spine, che gli penetravano il cranio, con una traversa pesante di legno sulla spalla, sia riuscito a farcela sino alla collina del Calvario. Mani e piedi trafitti da ruvidi chiodi, appeso sulla croce per tre ore di agonia.
Eppoi un colpo di lancia diretto al cuore da un professionista delle uccisioni è sufficiente da solo a sopprimere la fibra più sana e robusta. Basta la quantità di aromi di Nicodemo ad asfissiarla. Parlare ancora della possibilità di morte apparente in tutto questo funereo contesto significa non avere più il senso delle parole e della misura, non sapere neppure quel che si dice.
Gesù era così realmente morto che quando arrivarono i Giudei inviati dal sinedrio per verificare il decesso dei tre appesi sul Golgota, mentre si adoperarono a praticare il "crurifragio", ossia la frattura delle ginocchia, ai due ladroni crocifissi, per dar loro il colpo di grazia, lo risparmiarono a Gesù, ritenendolo superfluo. Come è possibile immaginare che i pignoli avversari del Signore, i quali avevano fatto di tutto per toglierlo di mezzo, potessero arrivare a una decisione così conclusiva senza avere la certezza della sua fine?


Si dica quel che si vuole: l’accertamento della morte di Gesù viene dagli stessi suoi più giurati nemici. I quali, per prendere ogni estremo di precauzione, ricorsero ad altre misure di sicurezza: sigillare la tomba e mettervi a guardia un plotone di soldati in armi, con la motivazione che Gesù aveva parlato della sua futura risurrezione. Così essi non si resero affatto conto di convalidare da una parte la profezia del Signore, e di renderne dall’altra più splendido l’avveramento.
Malgrado la presenza dei militari, la tomba fu trovata senza il cadavere del crocifisso. A nessuno verrà in mente di pensare che l’uomo, sbarrato là dentro, in quelle condizioni, avesse avuto tanta forza da far saltare la pesante pietra di chiusura.
Ma furono i discepoli a eseguire l’operazione... Questa, infatti, fu la diceria messa subito in giro dai capoccia del sinedrio. Già! Quei discepoli che, dominati dalla paura di fare la stessa fine, non furono in grado di salvare il Maestro da vivo, ora sarebbero stati capaci di un’incursione del genere, per salvarlo da... morto! E i soldati di guardia che facevano? Dormivano. Lo dissero essi stessi. Ma se dormivano come riuscirono a saperlo? E, se erano svegli, perché non l'hanno impedito?
Comunque la si giri, la faccenda non quadra in nessun modo. Sa d’imbarazzo e d’imbroglio a carico dei negatori. La verità è che Gesù come realmente morì così realmente risorse.



La risurrezione non fu frutto di immaginazione né di allucinazione

Dice l’antica liturgia latina: surrexit Dominus vere, "Il Signore è veramente risorto". Ciò che i discepoli vedevano non era il frutto della loro immaginazione! L’interpretazione, infatti, data da chi si rifiuta sistematicamente di riconoscere la possibilità del riprendere vita dopo morte, ricorre a stratagemmi del genere.
I discepoli di Gesù, dicono, caddero vittime di un solennissimo abbaglio. Si trattò non di una realtà, ma di un’allucinazione... Ebbene, un ragionamento simile non regge perché non può stare in alcun modo in piedi.
Non possiamo qui ovviamente addentrarci nei meandri di un esame psichiatrico non essendo la nostra sede un laboratorio scientifico. Basta però richiamare all’intelligenza alcuni elementi essenziali per mettere a nudo l’insostenibilità di una simile tesi. L’allucinazione è un fenomeno patologico verificabile in soggetti dominati da una idea fissa, che viene facilmente proiettata all'esterno dandovi corpo. Ora tali elementi non si riscontrano affatto in nessuna delle apparizioni di Gesù ai discepoli.
Innanzitutto perché degli apostoli si può dire quel che si vuole, tranne l’accusa di essere persone impressionabili, dai nervi a fior di pelle. Incolti, fifoni, istintivi, sciocchi, tardi di cuore, alienati alla realtà della vita, portavano i calli alle mani a furia di adoperare il remo. L’ipersensibilità e quindi la suscettibilità al fenomeno patologico non poteva addebitarsi a quel tipo di discepoli scelti personalmente da Gesù per diffondere nel mondo la Buona Novella.
Per parlare di allucinazione è necessario che vi sia l’idea fissa da proiettare fuori della mente. Ora proprio la risurrezione era l’idea che gli apostoli non avevano nel cervello e si rifiutavano in tutti i modi di prendere in considerazione. Se non era dentro, come potevano proiettarla fuori? Il Maestro dovette sudare le proverbiali sette camicie, accorrere di qua e di là per quaranta giorni interi, travestirsi in vari modi, per convincere della realtà della sua risurrezione prima di farla entrare nella testa dei discepoli!
Se questi fossero stati soggetti facili all’allucinazione avrebbero visto il risorto a ogni piè sospinto, alla prima ombra, e in un secondo tempo si sarebbero convinti che non si trattava di lui, ma di qualche altro. Invece avviene tutto il contrario. Al primo impatto, infatti, essi hanno la convinzione di parlare con un viandante, un vagabondo, uno straniero qualunque, e soltanto dopo aver verificato con certezza la realtà fisica dello sconosciuto, arrivano a identificare in esso la persona del Maestro risorto. Se fossero stati vittime di allucinazione, gli apostoli avrebbero gridato subito al risorto per poter poi ricredersi di fronte al controllo dei sensi. I fatti storici sono andati assai diversamente.
Gesù tornato in vita si fece da essi vedere, guardare, osservare, toccare, palpare. Mangiò con loro, diede tutte le prove possibili e immaginabili che il suo corpo, sia pure in uno stato diverso di vita, era lo stesso che il venerdì prima della Pasqua era stato disfatto, colpito dalle trapanature dei chiodi e della lancia, chiuso entro il sepolcro sigillato. I discepoli si mostrarono così poco creduloni che uno di essi, Tommaso, è divenuto il simbolo dell’incredulità.
Gesù è veramente risorto! La sua risurrezione è il fatto più importante della storia, il più ricco di speranza e di futuro per ogni cuore umano.
Attardarsi a negarlo è persistere a sostenere il ruolo di retroguardia tipico degli avvocati delle cause perse. Nel caso nostro l’incredulità presenta il lato positivo di svolgere la funzione del-l’atteggiamento di san Tommaso valida a rendere più certa e più forte la fede nella verità.
Con tutta sicurezza di mente, senza tema di essere smentiti e col cuore ripieno della gioia più grande, possiamo gridare anche noi l’alleluia pasquale: "È risorto, come aveva detto!". È tempo, perciò, anche per noi, di risorgere.


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