domenica 9 giugno 2013


IL CORAGGIO DI CAMBIARE
INCONTRI CHE CAMBIANO o quasi...







a. Perché cambiare?
b. Il bel tempo antico
c. Il Dio incompleto
d. L'incontro con Gesù
e. Il ricco
Il teologo
Il funzionario reale
f. Quale conversione?
g. Rischi... spirituali.


A. PERCHE' CAMBIARE ?
Per voler cambiare occorre convincersi che il NUOVO che ci viene proposto sia migliore del VECCHIO che già abbiamo collaudato, perché "Nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: il vecchio è buono!" constata amaramente Gesù (Lc 5,39; cfr Mc 2,22).
Si cambia volentieri solo quando ci si accorge che il
NUOVO PROPOSTO E' MIGLIORE DEL PRESENTE VISSUTO E GIA' SPERIMENTATO NEL PASSATO
Per questo è necessario ben presentare il nuovo per vincere la naturale diffidenza verso lo sconosciuto da sperimentare.
Ma prima di presentare il nuovo, uno dei luoghi comuni da sfatare è il mito del "C'ERA UNA VOLTA..."

B. IL BEL TEMPO ANTICO
"C'ERA UNA VOLTA..."
C'è - da sempre - nell'uomo un grande rimpianto per il "paradiso terrestre", il passato, l'antico, "i bei tempi di una volta". Questa nostalgia nasce dal disagio che accompagna vivere il momento presente e il pessimismo per un futuro imminente che ci obbliga a lasciare abitudini ormai acquisite e tradizioni consolidate che ci hanno dato sicurezza.
E così abbiamo tutti la tentazione - perché è tale - di essere "conservatori", di chiuderci, di tentare a far entrare il nuovo nella nostra limitata esperienza. Conservatore è colui che pretende mettere il vino nuovo negli otri vecchi e così perde l'uno e l'altro (Mc 2,18-22). Il conservatore mutila tutto quel che non rientra nella propria visione: il nuovo per essere accolto deve assolutamente entrare nelle categorie già conosciute. Chiudendosi al nuovo si pone automaticamente al di fuori del flusso normale della vita che vuole sempre crescere, spandersi, rinnovarsi. Si mette al di fuori dello Spirito che mantiene in vita l'universo e "che fa nuove tutte le cose" (Ap 21,5) privandosi delle meravigliose novità che la vita produce.
Probabilmente questa tendenza ad essere conservatori ce l'abbiamo tutti quanti; basta dare uno sguardo al linguaggio che abitualmente usiamo:
-"Come erano belle le feste di una volta!" -"Una volta sì che la gioventù si sapeva divertire! guarda oggi invece!" -"Una volta c'era più rispetto! Più educazione! Più morale!" -"Un volta sì che i genitori sapevano farsi rispettare!" -"E ché questa è moda? Una volta neanche i pagliacci si sarebbero conciati così..." -"Ah, le belle canzoni di una volta..."
E potremmo pure essere tentati d'esser d'accordo con queste espressioni. Il guaio è che andando a leggere libri e documenti del passato ci accorgiamo che un secolo o dieci secoli fa si lamentavano delle stesse cose!
Forse alcuni si ritrovano d'accordo con questo quadro del mondo contenuto nell'affermazione del Sinodo dei vescovi italiani riuniti a Pistoia nell'anno 1794: "... in questi ultimi secoli si è prodotto un generale oscuramento delle verità di più grande importanza, che riguardano la religione e che sono a base della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo..." (Const. Auctorem Fidei). Eppure il papa di allora, Pio VI, condannò come eretica questa visione pessimistica, e dire che erano tempi veramente brutti: Pio VI è uno dei pochi papi che hanno esperimentato la prigionia e che travolto dalla grande bufera della rivoluzione francese morì deportato.
Ogni generazione si lamenta del presente "così non si va più avanti!", rimpiange il passato "una volta sì..." ed è angosciata dal futuro: "Dove andremo a finire!" Ma la storia dell'umanità, per usare le parole di Sant' Ireneo di Lione "non è quella di una penosa risalita dopo una caduta, bensì un cammino provvidenziale verso un futuro pieno di promesse". Il racconto della creazione alla quale tante volte ci si rifa' come ad un paradiso perduto non è il rimpianto per un eden irrimediabilmente perduto, ma una profezia per il mondo che sarà e che dobbiamo contribuire a costruire, e il messaggio del vangelo è un continuo invito ad aprirsi al nuovo, un "ricondurre i cuori dei padri verso i figli" (Lc 1,17), e non quello dei figli verso i padri: è il vecchio che deve aprirsi ed accogliere il nuovo non il contrario.
Duemila anni fa si lamentavano della moda, del traffico e della gioventù esattamente come facciamo noi oggi!
Ben settecento anni prima di Cristo così si lamentava il profeta Michea:
"L'uomo pio è scomparso dalla terra, non c'è più un giusto fra gli uomini: tutti stanno in agguato per spargere sangue; ognuno da la caccia con la rete al fratello. Le loro mani sono pronte per il male; il principe avanza pretese, il giudice si lascia comprare, il grande manifesta la cupidigia e così distorcono tutto.
Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suocera e i nemici dell'uomo sono quelli di casa sua" (Mi 7,2-6)
In un papiro egizio di 5000 anni fa si legge: “Nemmeno i tempi sono più quelli di una volta. I figli non seguono più i genitori” e in un frammento d’argilla babilonese di 3000 anni fa è scritto: “Questa gioventù è gusta fino al midollo; è cattiva, irreligiosa e pigra. Non sarà mai come la gioventù di una volta. Non riuscirà a conservare la nostra cultura”.
Esiodo, poeta del 700 ac.C:, così descriveva il suo pessimismo: “Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo, se deve dipendere dalla gioventù superficiale di oggi, perché questa gioventù è senza dubbio insopportabie, iriguardosa e saputa. Quando ero ancora giovane mi sono state insegnate le buone maniere e il rispetto per i genitori: la gioventù d’oggi invece vuole sempre dire la sua ed è sfacciata”.
Pietro l’Eremita, predicando la necessità della prima crociata nel 1095 diceva: “Il mondo sta attraversando un periodo tormentato. La gioventù di oggi non pensa più a niente, pensa solo a se stessa, non ha più rispetto per i genitori e per i vecchi; i giovani sono intolleranti di ogni freno, parlano come se sapessero tutto. Le ragazze poi sono vuote, stupide e sciocche, immodeste e senza dignità nel parlare, nel vestire e nel vivere”.
Platone, circa quattro secoli prima di Cristo si lamenta che "il padre si abitua a rendersi simile al figlio e a temere i figlioli, e il figlio simile al padre e a non sentire né rispetto né timore dei genitori, per poter essere libero... il meteco si parifica al cittadino e il cittadino al meteco, e così dicasi per lo straniero... il maestro teme e adula gli scolari, e gli scolari s'infischiano dei maestri e così pure dei pedagoghi. I giovani si pongono alla pari degli anziani e li emulano nei discorsi e nelle opere, mentre i vecchi accondiscendono ai giovani e si fanno giocosi e faceti, imivtandoli, per non passare da spiacevoli e dispotici..." (Repubblica VIII,562-563.)
Il poeta Giovenale (I-II sec. d.C) così si lamentava dei mali di Roma, del rumore, della delinquenza, del costo della vita:
"Nelle case d'affitto non si dorme, il sonno a Roma costa orribilmente, alla radice dei nostri mali è l'insonnia". (Giovenale, Satirae, III, vv. 232-236).
"Case sprangate, botteghe lucchettate dappertutto. Nelle paludi Pontine, nella foresta Gallinaria, regnano l'ordine e la sicurezza garantiti da truppe: ma di là i briganti profughi si sono abbattuti sulla loro nuova riserva: Roma. In tutte le fucine, su tutte le incudini si fabbricano catene su catene. La maggior parte del nostro ferro è adoperato in ceppi da galera. Finiranno per scarseggiare gli aratri, per mancarci i badili e le zappe. Felici i padri dei nostri bisavoli! Beati i tempi dei re e dei tribuni quando bastava a Roma una prigione". Giovenale Satirae, III, vv. 302-314)
"A Roma di un mestiere onesto non è il caso di parlare. Fatichi e non sei pagato. La roba che oggi hai, è più scarsa di quella che avevi ieri, e sarà peggio domani. Perciò io me ne vado..." (Giovenale Satirae, III, vv.21-29)
* * *
"Se puoi strappati dai giuochi del Circo, a Fabrateria, a Sora, a Frosinone, con quel che paghi a Roma di pigione per un ignobile buco, ti compri una casa incantevole, con un piccolo orto..." (Giovenale Satirae, III, vv. 223-231).
e Marziale a sua volta lamenta che a Roma diventata ormai troppo grande è faticoso viverci (Epigr. X,58,6-14) e non si sopportano più i rumori del traffico (Epigr. XI, 57, 1-5). Forse invidiava la soluzione presa da il Dio Enlil ai primordi del'umanità: "Troppo pesante è per me il clamore dell'umanità, per il gran baccano che fanno sono privato del sonno. Che una peste li faccia tacere." (Epopea di Atrahasis)
Secoli fa si lamentavano del presente come noi oggi e fantasticavano di un bel tempo passato... quando a Roma una prigione bastava e avanzava!
La scontentezza con la quale guardiamo e viviamo il presente non è certo esente dall'influsso di certe devozioni intrise di pessimismo: citiamo solo il "gementi e piangenti in questa valle di lacrime" della "Salve regina"! Tanto contrario alla "pienezza della gioia" desiderata e augurata da Gesù (Gv 15,11; 17,13; 1 Gv 1,4). Lo stesso Antico Testamento insegna che sragionano quanti pensano che "la nostra vita è breve e triste" perché "non conoscono i segreti di Dio" (Sap 2,1.21). Ed è proprio non conoscere "i segreti di Dio" aver trasformato la vita da dono di Dio in penoso esilio!
Lasciando da parte un passato che è bello solo perché è passato e quindi in parte dimenticato o idealizzato, vediamo i motivi "teologici" che giustifichino perché cambiare e una serie di ritratti di personaggi che l'incontro con Gesù ha cambiato, ha aperto al nuovo, di alcuni che hanno fatto un piccolo cambiamento e anche di quelli che non solo non sono cambiati ma la cui situazione è peggiorata dopo l'incontro con Gesù.

C. IL DIO INCOMPLETO
Dio, secondo l'autore dell'Apocalisse è "Colui che è, che era e che viene" (Ap 1,4).
L'apertura al nuovo è indispensabile per rimanere in sintonia con questo Dio "che viene". Lui stesso ammonisce "Non ricordate più le cose passate! non pensate più alle cose antiche!"!" (Is 43,18). Se non si cambia continuamente c'è il rischio di diventare i guardiani di un mausoleo anziché i credenti di un Dio sempre in movimento e che continuamente crea: "Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (Is 43,19), un Dio in continua manifestazione di se stesso.
Noi pensiamo di conoscere chi era Dio, e anche chi è ora, e già vediamo un profondo mutamento nell'immagine del Dio dei nostri nonni o dei nostri genitori e quello nel quale crediamo oggi. Ma, dobbiamo domandarci: quale sarà il "Dio che viene", quello che conosceranno la generazioni future e che già si offre alla nostra conoscenza?
Un solo esempio per comprendere la differenza esistente tra un Dio che era e quel che è: Il Concilio di Firenze, nel 1442, dichiarava solennemente che:
"La sacrosanta Chiesa Romana... fermamente crede, professa e predica che nessuno al di fuori della Chiesa Cattolica, né pagani, né ebrei né eretici o scismatici, parteciperà alla vita eterna, ma andrà al fuoco eterno preparato per il diavoli e i suoi angeli, se prima della morte non aderisce a essa [alla Chiesa cattolica]... e nessuno, per quante elemosina possa fare, e anche versando il suo sangue per il nome di Cristo, può salvarsi se non rimane nel seno e nell'unità della Chiesa cattolica". (Bulla unionis Coptorum Aethiopumque "Cantate domino". Decretum pro Iacobitisi).
Ci vorranno più di 5 secoli perché un altro Concilio, il Vaticano II nella Lumen Gentium allarghi la salvezza a tutti quelli che il Concilio di Firenze mandava invece allegramente all'inferno:
"Dio, come salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi. Infatti, quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna" (LG 16).
Dio chiaramente è quel di sempre, ma la comprensione da parte degli uomini cresce col tempo: quelli che in nome dello stesso Dio nel sec. XV venivano spediti all'inferno, oggi sempre in nome di Dio si salvano: non ha cambiato Dio, certamente, ma la sua comprensione da parte dell'uomo, che man mano che diventa più uomo riesce a scorgere meglio il volto di quel Dio dal quale è stato creato ad immagine e somiglianza (Gen 1,27).
Potremmo chiederci quanti di quelli che attualmente riteniamo peccatori, miscredenti ecc., degni tuttora del castigo infernale, tra qualche secolo ritroveremo tra i beati del paradiso?!?!
Cambiando l'immagine di Dio, paradossalmente cambia pure quella del... diavolo, che diventa pure lui un pò più buono o per lo meno rende un pò meno brutto l'inferno! Certo che oggi non credo sia più possibile ascoltare descrizioni dell'inferno come quella che fece San Leonardo da Porto Maurizio (l'inventore della Via Crucis) aprendo una predica sulle pene dell'al di là:
"Vedeteli come tutti sono involti nel fuoco. Abissi di fuoco a sinistra, abissi di fuoco a destra; abissi di fuoco al disopra, abissi di fuoco al disotto; fuoco negli occhi, fuoco nelle orecchie, fuoco nelle vene, fuoco nelle viscere, dappertutto fuoco!" (Prediche, vol. II, p. 167).
Noi sappiamo (o almeno crediamo di sapere) chi era Dio, chi è per noi. Ma dobbiamo pure cercare di conoscere il Dio che viene, quella "bellezza tanto antica e tanto nuova" che cantava Agostino per non rischiare come i contemporanei di Gesù che sapevano tutto su chi fosse Dio ma non l'hanno accolto quando si è reso presente: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11).
L'accusa dell'evangelista Giovanni è tremenda: i dirigenti del popolo, per restare tenacemente attaccati all'idea del Dio di sempre del quale si ritenevano legittimamente figli: "noi abbiamo un solo padre, Dio!" (Gv 8,41) avevano finito per trasformarsi nei mortiferi seguaci del nemico di Dio: Satana.
"Voi avete per padre il diavolo!", li accusa Gesù (Gv 8,44). Distorsione terribile che finirà per ritorcersi sui veri credenti: "verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me." (Gv 16,2-3)
Si comincia con l'erigersi a paladini di Dio e si finisce per diventare emissari del diavolo, e come lui persecutori e assassini dei veri credenti! (Cfr Gv 9,44). "Io vi mando i profeti e voi li uccidete!" (Mt 23,34).
Si impongono rigide regole per essere ammessi nel Tempio ma lo si converte in un covo di banditi! (Mc 11,17).
Ci si dichiara strenui difensori dell'ortodossia e si diventa trasgressori della giustizia: "Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito!" (Mt 23,4). ci si richiama alla tradizione e in nome suo si svuota la Parola di Dio (Mc 7,8-13).
Si può come San Bernardo di Chiaravalle perdersi nella contemplazione di un Dio solo immaginato e scrivere sdolcinati trattati sull'amore di Dio ed essere un fanatico predicatore di quel massacro di innocenti che va sotto il blasfemo nome di crociata e quindi asserire che uccidere un ebreo non può venire considerato un omicidio ma solo "l'eliminazione di un male [malicidium]" (Regola per i Templari).
E un altro santo come Bernardino da Siena può confondere per rigore morale la sua patologica misoginia e arrivare ad affermare con ispirata sicurezza che: "di mille unioni coniugali, novecentonovantanove appartengono al diavolo" (Prediche volgari, vol. II, p.95) Oppure come prova del suo ottimismo sull'umanità affermare che : "Doh, s'io fusse sanese, come io sò, e avesse figliuoli, come io non ho, io farei di loro quello ch'io vi dirò: che come e' fussero in età di tre anni, subbito li mandarei fuore di Italia, né mai tornassero se non avessero almeno quaranta anni. Oh!... Fuore d'Italia? Perché Perché è tanto corrotta questa Italia, che non possono appena camparne per la mala consuetudine". (Prediche vulgari, XXXIX).
"Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi" afferma con forza Gesù (Mc 12,17). Solo chi è capace di rinnovarsi continuamente può rimanere in sintonia con un Dio sempre nuovo. Chi non lo fa non è altro un morto che seppellisce altri morti! (Mt 8,23). Appartiene al mondo del passato, il mondo di morte che genera morti: il Sommo sacerdote per difendere l'onore della divinità dichiara bestemmiatore e meritevole di morte il Dio fatto uomo (Mt 26,65ss).
Saul per difendere l'immagine del Dio "che era" si era messo a perseguitare quella del "Dio che viene"! "Saul... Saul perché mi perseguiti!" E lui deve chiedere: "Chi sei?" (At 9,1). Conosceva il Dio che era e non quello che veniva!
E sarà proprio questa drammatica esperienza a far formulare a Paolo nella lettera ai Corinti (1 Cor 15,28) un'enigmatica espressione: "E quando l'universo gli sarà sottomesso [al Figlio], allora anche il figlio si sottometterà a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, e Dio sarà tutto in tutti".
Paolo scrive pure che "... la chiesa che è il suo [di Gesù] corpo pienezza di colui che riempie tutto in tutti" (Ef 1,23). La Chiesa, la comunità dei credenti è per Paolo la pienezza di Gesù... Quindi Gesù senza chiesa non è completo.
Dio sarà tutto...
Sarà...
Quindi non è!
Dio è presentato come un padre. Ma per essere "padre" occorre avere dei figli.
Dio è amore, ma se l'amore non viene accolto rimane sterile.
Dio non può essere padre se non ha figli e non può essere amore se non ha chi accoglie e risponde a questo amore, e siccome lui non violenta la libertà dell'uomo, non "crea" dei figli o dei credenti già belli e pronti (figli di Dio non ci si nasce ma ci si diventa (Gv 1,12), ha bisogno della risposta libera dell'uomo che volontariamente decida di assomigliargli nel comportamento e così divenirgli figlio: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,36).
Possiamo quindi tentare di dire che fintanto che ogni uomo non avrà liberamente accettato di essergli figlio, Dio non potrà mai essere totalmente padre... e quindi Dio!
Un Dio incompleto!
"Dio non arriverà ad essere pienamente Padre fintanto che l'uomo non gli sarà pienamente figlio" (Horizonte, 120).
E' urgente ed importante pertanto cambiare noi stessi per permettere a Dio di manifestarsi per quel che lui veramente è: "Sappiamo che quando egli [Dio] si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1 Gv 3,2). Lo vedremo così come è solo quando saremo simili a lui!
Dio sarà tutto, quando tutti saranno di Dio.
Ecco perché Giovanni descrive un Dio che cerca chi risponda al suo amore "il Padre cerca adoratori..." (Gv 4,23) ed è per questo continuamente al lavoro (Gv 15,17) e con lui Gesù, alla ricerca di chi accolga quest'amore e diventi figlio anche lui,
e che nessuno vada perduto, perché tutti devono essere uno (Gv 17,11) con Dio e se manca anche uno solo quest'unità non sarà mai realizzata! "Un pastore aveva 100 pecore... ma ne mancava una!" (Lc 15,4ss).

D. L'INCONTRO CON GESU'
Gli evangelisti per narrarci l'incontro di Gesù con una persona scrivono che Gesù la "vide..." (Mc 1,16; 2,14; 6,34). Questo "vide" in greco è lo stesso termine usato nel libro del Genesi per 7 volte nel racconto della creazione: E Dio vide che era cosa buona... (Gen 1,3.10.12.18.21.25.31). Gesù, che è l'Uomo-Dio, quando incontra qualcuno lo "vede", con lo stesso sguardo di Dio, del Dio della creazione. L'incontro dello sguardo di Gesù con la nostra esistenza è lo stesso di quello di Dio che "guarda" la terra informe e deserta e la "vede" già bella (Gen 1,10) ed è proprio questo suo vedere che la trasforma, le comunica vita animandola. "Mandi il tuo spirito e sono creati... e rinnovi la faccia della terra!" (Sal 104,30). Ugualmente Gesù in ogni incontro fissa il suo sguardo creatore all'informe, al caos della persona per ri-crearla, per rinnovarla col suo amore come canta il profeta Sofonia: "ti rinnoverà con il suo amore!" (Sof 3,17).
Dio non ci ama perché siamo buoni ma diventiamo buoni perché siamo oggetto del suo amore.
Amiamo perché ci sentiamo amati.
Quando Gesù incontra una persona gli dimostra subito il suo amore, la battezza nello Spirito (Gv 1,33), cioè la immerge nell'amore creativo del Padre, amore che si dirige a tutti, anche ai cattivi e ai miscredenti (Lc 6,35). Un amore che è fedele all'uomo, qualunque sia la sua condotta e la sua risposta. Questa esperienza di essere da lui tanto amati dona la capacità di amare generosamente come ci si sente amati.
Il nostro dramma è forse che non ci hanno fatto incontrare con l'amore gratuito di una persona, Gesù, ma con l'arido rigore dei comandamenti; non ci hanno comunicato vita ma leggi, il timore di Dio al posto dell'amore del Padre.
Occorre incontrare Gesù per imparare a guardare persone, avvenimenti e cose con lo sguardo stesso del Dio della creazione, con lo sguardo con il quale Gesù guardava l'anonima peccatrice che gli lavava i piedi col pianto (Lc 7,36ss), l'adultera (Gv 8,1ss), l'emorroissa (Mc 5,25ss), il pubblicano (Mc 2,14), il criminale sulla croce (Lc 23,40), e perfino i suoi assassini: "Padre, perdonali perché non sanno quel che fanno!" (Lc 23,34).
Questa nuova capacità di vedere le persone che ci circondano è importantissima, e per ottenerla occorre sradicare quella trave conficata nell'occhio: la mancanza assoluta d'amore con la quale si guarda e giudica tutto e tutti (Mt 7,5).
Se non si è capaci di riconoscere la presenza dell'amore di Dio nei volti dei fratelli, quanto "sacro" è contenuto nei loro gesti quotidiani, anche nei più ordinari, come si può pensare di poter individuare la presenza e l'azione di Dio nella nostra vita? E si va alla ricerca del prodigioso, che dev'essere ogni volta sempre più straordinario.
Come Elia si ricerca Dio in fenomeni straordinari: nel vento impetuoso, nel terremoto, nel fuoco violento... e non ci si rende conto della sua presenza nella soave brezza della sera (1 Re 19,11-13).
Un "esperto" di cose spirituali, Juan de la Cruz scrive che
"... desiderare di ricevere qualche cosa per via soprannaturale è come ammettere che Dio non abbia dato nel Figlio tutto ciò che è sufficiente... non si deve aspettare dottrina o altra cosa per via soprannaturale... guarda bene il Cristo e in Lui troverai già fatto e detto molto più di quanto tu vorresti." (Salita del Monte Carmelo, lib. 2,22).
Non c'è pertanto da cercare qualcosa di straordinario, ma si tratta di avere occhi nuovi per vedere questo "straordinario" esistente già nell'"ordinario":
"Come diavolo puoi pretendere di riconoscere un autentico santo quando lo vedi, se non sai nemmeno riconoscere una tazza di brodo consacrato quando ce l'hai proprio sotto il naso?"
fa dire Salinger al protagonista di un suo libro (Franny e Zooey, p. 170, Einaudi 1963).
Se non si ha questa vista si scambia per tuono la voce di Dio (Gv 12,29), per ubriacatura l'azione dello spirito (At 2,13) e si cerca lontano quel che si ha sotto il naso... "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?..." (At 1,11).
Gli ebrei avevano Gesù, l'Emmanuele, la presenza di Dio sulla terra, ma continuavano a chiedere "segni e prodigi": "mostraci il Padre! chiede Filippo. E Gesù: Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me"? (Gv 14,8-10). Noi non dobbiamo né chiedere né cercare "segni straordinari", ma essere questo segno! A quelli che continuamente gli chiedono "segni e prodigi" (pretendono che Gesù rinnovi il prodigio della manna dal cielo) per poter vedere e poi credere (Gv 6,30), Gesù obietterà che devono prima credere per essere segni (pane) per gli altri! "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).
Dio non è da cercare... c'è gente che cerca, cerca tutta la vita e non trova mai nulla! Dio non è da cercare, ma da rendersi conto della sua presenza. Confesserà S. Agostino: "così lontano ti cercavo e tu eri dentro di me!" No, Dio non è da cercare, e più ingannevole ancora è andarlo a cercare nei luoghi sacri... che il Signore evita accuratamente di frequentare: "Tu vuoi costruirmi una casa per abitarvi?! Ma io non abito in una casa! (2 Sam 7,5-6); "Io odio le vostre feste religiose, anzi le disprezzo! (Am 5,21ss) "Mi ripugnano le vostre celebrazioni: per me sono un peso e non riesco più a sopportarle." (Is 1,11ss).
E' Dio che cerca l'uomo, lo interpella, gli propone continuamente un amore che se accolto concede pure alla creatura la stessa vita divina del Creatore.
IL RICCO
(Mc 10,17-23)
Per la nostra serie di personaggi che l'incontro con Gesù ha trasformato oppure lasciato uguali o peggio di prima, sceglieremo quegli individui che gli evangelisti ci presentano anonimi. Quando un evangelista di un personaggio non ci da il nome significa che per lui questo tale - al di là dello spessore reale dell'avvenimento storico - rappresenta una o più categorie di persone, di situazioni nelle quali il lettore si può riconoscere.
Scegliamo pertanto tre illustri anonimi personaggi del vangelo nei quali ci possiamo - almeno in parte - ritrovare: il ricco, il religioso, il politico: ovvero la difficoltà di comprendere ed accettare il messaggio di Gesù da parte di quelli che hanno dato piena adesione ai tre grandi poteri: quello economico, quello religioso e quello politico.
Sono gli stessi evangelisti a indicarci che cosa è che impedisce all'uomo di accogliere il messaggio che essi hanno definito "la buona notizia" (Mc 1,1).
Come si fa a rifiutare una "buona" notizia? Ci dev'essere qualcosa di più forte, di più attraente, di più "bello" di quel che viene offerto... Il "più bello" che si oppone al "bello" proposto da Dio, viene di volta in volta indicato nei vangeli in quel che offre la società come sicurezza-protezione in cambio però della totale accettazione e sottomissione ai suoi valori, che abbiamo visto sopra vengono espressi in quel che offre il potere politico, religioso ed economico.
Il nemico numero uno di Dio, il suo eterno rivale, è "Mammona" (Mt 7,24). Il falso dio che inganna e seduce gli uomini allettandoli con la prospettiva della sicurezza che il denaro può offrire anche a discapito della propria felicità, è la ricchezza.
L'evangelista Marco ci presenta un'episodio nel quale dimostra chiaramente come l'uomo preferisca rimanere nell'infelicità però con i soldi che felice senza.
Mentre [Gesù] usciva per la strada un tale correndo gli si gettò in ginocchio...
L'evangelista descrive un personaggio in preda ad una forte angoscia: appena vede Gesù si mette a correre verso di lui e gli si getta in ginocchio davanti. "Correndo!" In questo vangelo corre solo l'indemoniato di Gerasa! (Mc 5,6). E pure lui si inginocchia davanti Gesù: "Visto Gesù da lontano si mise a correre e gli si gettò ai piedi".
Con questo riferimento, Marco intende mettere il lettore sulla giusta interpretazione. Come l'indemoniato era prigioniero della sua violenza "si percuoteva continuamente con pietre" (Mc 5,5), anche qui si tratta di una persona schiava di qualcosa che lo domina, che lo rende prigioniero, gli impedisce la libertà, lo distrugge.
e gli domandò: Maestro insigne, che devo fare per ereditare la vita eterna?
Ecco il problema che lo spinge da Gesù: la vita eterna. E' interessante come nei vangeli il problema dell'al di là sembri interessare esclusivamente quelli che di qua ci stanno abbastanza bene: i ricchi, le persone sistemate, queste hanno tempo per pensare alla vita dopo la morte, quasi a volersi garantire una situazione di privilegio pure nell'al di là, visto che di qua stanno già più che bene! I poveri non hanno di questi problemi. Hanno tanto da pensare per tirare avanti su questa terra che non hanno certo né tempo né voglia per stare a pensare all'al di là.
Comunque il nostro personaggio è angosciato. E desidera conoscere dal nuovo, eccezionale maestro, una formula, una ricetta, un qualcosa che gli dia la certezza di possedere la vita eterna... Ci vorrebbe pure che con il bene che sta di qua dovesse perdere tutto per uno sbaglio o per l'omissione di qualche preghiera!
Ma Gesù gli rispose: Perché chiami me "insigne"? Lo è solo Dio.
Gesù replica che per quel che lo interessa "la vita eterna" il migliore maestro ce l'ha avuto in Dio stesso ed è a lui che si deve rivolgere. L'al di là non è affare che riguardi Gesù. Lui non predicherà mai il "paradiso" (solo Lc 23,43 in tutto il vangelo) ma la qualità di vita qui sulla terra. Comunque lo soccorre e gli ricorda la via che Dio ha indicato per ottenere la vita eterna.
Conosci già i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non imbrogliare, Onora il padre e la madre.
Se il problema che tanto angoscia il tale è la vita eterna Gesù gli rinfresca il catechismo... quello che dovrebbe sapere; Dio stesso aveva indicato come ottenere la vita eterna: l'osservanza dei comandamenti contenuti nella legge di Mosè. Ma c'è una novità. Gesù dei 10 comandamenti omette i primi tre, quelli che erano rappresentati sulla prima tavola e riguardavano i doveri dell'uomo verso Dio. Erano la particolare prerogativa di Israele come popolo prediletto. Per Gesù non sono importanti per entrare nella vita eterna. Credente o no, praticante o meno, questo non pregiudica la possibilità di entrare nella vita eterna. Gesù sottolinea invece quelli che riguardano un atteggiamento di giustizia nei confronti del prossimo e che sono validi per ogni uomo sia esso credente o no, ebreo o pagano (cfr Mt 25,35: avevo fame... avevo sete...), e glieli enumera: "Non uccidere, Non commettere adulterio, Non rubare, Non testimoniare il falso..." e aggiunge uno che comandamento non è: "Non imbrogliare" (Dt 24,14). E' un precetto contenuto nella legge di Mosè e si riferisce in particolare a non trattenere presso di sè il salario del dipendente, ma di corrisponderlo il giorno stesso del lavoro: "Non defrauderai il salariato povero e bisognoso... gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole..." E' una chiara denuncia dell'ingiustizia che è alla base di ogni ricchezza... sei ricco... hai imbrogliato i tuoi lavoratori...
Infine il comandamento di "onorare" i genitori, che non significa solo rispettare, ma essendo la povertà il più grave disonore per un ebreo, prescrive di mantenere decorosamente i propri genitori, di non farli vivere nella miseria.
Maestro - risponde trionfante il tale - tutto questo l'ho fatto fin da quando ero piccolo!
Adesso si sente meglio.
Lui è un perfetto osservante della legge. L'ha praticata fin dall'infanzia. Ai ricchi non è difficile essere religiosi. Quando si ha la pancia piena è più facile che esca un desiderio di riconoscenza (o di... scaramanzia) verso colui che si ritiene la fonte di tanta provvidenza. Agli affamati è un pò più difficile pensare a Dio, se non per bestemmiarlo.
Ma - chiediamoci - se questo tale è ricco, molto religioso, perché ha tanta angoscia per la vita eterna?
E' nella risposta di Gesù la soluzione...
Allora Gesù lo guardò e gli dimostrò il suo amore dicendogli: Ti manca tutto! Vendi le tue ricchezze, dalle ai poveri, così avrai in Dio la tua sicurezza, poi vieni dietro di me!
Ecco l'invito di Gesù. Ecco lo sguardo creatore di Gesù, l'uomo-Dio che guarda e vede "non quel che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, Dio guarda il cuore" (1 Sam 16,7).
Lo sguardo dell'uomo vede la ricchezza e la invidia.
Lo sguardo di Dio smaschera la miseria e la compiange.
"Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero cieco e nudo!... Ti consiglio di comprare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità" (Ap 3,17-18).
Gesù propone alla persona l'ideale dell'uomo voluto dal Padre suo. E' continuo l'invito del Signore, e questa volta si dirige alle persone angosciate, afflitte, le persone alle quali né ricchezza né religione hanno dato serenità e pace, ma si trovano come tormentate da qualcosa che gli manca e non sanno neanche loro che...
Gesù lo guarda, ed è sempre lo sguardo creativo che dimostra amore. Amore che traducendosi nella "parola di Dio che è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, penetra fino al punto di divisione dell'animo e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Ebr 4,12) può anche far male per essere efficace. Infatti Gesù lo smaschera, perché "tutto è nudo e scoperto agli occhi del Signore" (Ebr 4,13) gli toglie tutta la sua illusoria sicurezza di uomo ricco e pio.
Gli dice: Ti manca tutto! (Normalmente si trova tradotto "Una sola cosa ti manca! e questa traduzione da l'idea che il personaggio sia già molto bravo e per esserlo ancora un pò di più deve fare un piccolo sforzo... Ma nella simbolica ebraica, quando ad una cifra manca un'unità è come se mancasse tutto. Così al pastore che ha 100 pecore e ne manca una è come se non avesse il gregge (Lc 15,4). Ugualmente il gruppo degli apostoli quando diventano 11 per la defezione di Giuda è come se non esistesse più come comunità (At 1,26). (Un poco come quando noi per dire che non abbiamo più nulla diciamo che non abbiamo più una lira).
Pertanto Gesù non gli fa un complimento: "che bravo! Sei quasi perfetto... ti manca ancora una cosina e...", ma gli fa osservare che gli manca proprio tutto: la ricchezza e la pratica religiosa non l' hanno reso un uomo libero, adulto, non l' hanno reso felice... gli manca tutto! E Gesù gli indica la vera strada per realizzarsi pienamente come persona, strada praticabile da tutti, non essendo legata alla ricchezza né alla pratica religiosa: mettere la propria sicurezza in Dio eliminando le false sicurezze del denaro e della religione! E siccome questo individuo è ricco e la ricchezza è alla base dell'ingiustizia, Gesù lo invita a collaborare con lui alla costruzione di una società giusta dove anziché accumulare per sè si condivide con gli altri.
Gesù lo invita a sostituire la fiducia nella banca dove tiene i soldi con la garanzia dell'amore di Dio che è padre per i suoi figli...
Che significa mettere la fiducia in Dio?
Significa liberarci da tutte le altre false sicurezze e occuparci pienamente del bene degli altri. Questo atteggiamento permette a Dio di occuparsi di noi come un padre per i suoi figlioli: "Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo... come i non credenti: tutte queste cose vi saranno date in abbondanza" (Mt 7,31).
Al contrario se noi mettiamo la nostra fiducia in altre cose che sono di freno all'azione d'amore ai fratelli, questo impedisce a Dio di occuparsi di noi. E' chiaro che se confido e mi sento sicuro per i soldi che tengo in banca, questo mi impedirà di essere generoso con i fratelli e di condividere quel che ho. E questo atteggiamento chiude la porta all'azione di Dio nella mia vita.
Ma quello si rattristò a questa proposta e tornò via afflitto... perché aveva enormi capitali.
Non sempre giova incontrare Gesù.
All'inizio del racconto abbiamo visto un uomo angosciato ed ora dopo l'incontro con Gesù lo ritroviamo addirittura afflitto! Che differenza con l'indemoniato! Questi dopo l'incontro con Gesù rinsavisce e "se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto" (Mc 5,20). Il ricco se ne va ancora più oppresso dalla ricchezza e dalla religione! La proposta carica d'amore creativo da parte di Gesù si è scontrata con un ottuso orizzonte che crede solo in quel che tocca.... il denaro, la ricchezza!
Gesù non gli corre dietro, non gli fa uno sconto su quello che gli aveva proposto. Ha bisogno di collaboratori con i quali costruire il Regno di Dio, la nuova società dove si permette a Dio di governare, di prendersi cura dei suoi figli e per fare questo invita, ma non obbliga nessuno a seguirlo!
IL TEOLOGO
(Mc 12,28-34)
C'è mancato poco che questa persona si facesse cambiare da Gesù. Invece!
L'episodio lo racconta Marco, al cap. 12,28-34.
L'evangelista narra che si avvicina a Gesù un Teologo, un uomo di cultura, uno che appartiene alla gerarchia religiosa, al magistero del santo tempio, uno che ha l'autorizzazione di interpretare il sacro testo della bibbia e di insegnarlo con autorità divina.
Si avvicina a Gesù e gli pone una domanda la cui risposta a noi sembra scontata:
"Qual'è il comandamento più importante?"
A noi hanno insegnato che tutti i comandamenti hanno la stessa importanza di fronte a Dio (certo non è lo stesso trasgredire il quinto comandamento "non uccidere" e il terzo "ricordati di santificare le feste" (Es 20,1ss), ma una volta veniva insegnato che tutte le trasgressioni erano "peccato mortale" e si finiva all'inferno tanto per aver assassinato qualcuno come per aver "saltato" una messa!). Per gli ebrei del tempo di Gesù non era così. Discutevano animosamente per sapere quale fosse tra tutti i comandamenti il più importante, il primo.
Il teologo che pone la domanda a Gesù conosce già la risposta. Il comandamento più importante è quello che Dio stesso osserva. Ed era radicata convinzione che Dio osservasse con scrupolosa attenzione il comandamento del riposo del sabato. "Dio e gli angeli di sabato non lavorano" recita il Talmud. (Cfr Gen 2,2). Quindi la risposta della teologia ufficiale la conosce già. Ma vuol sapere l'opinione di questo galileo così poco ortodosso e tanto originale su molti punti dottrinali. (Matteo e Luca sottolineano che la domanda viene posta per tentare Gesù: Mt 22,34-40; Lc 10,25-28).
Gesù risponde indicando nell'amore a Dio e al prossimo il più grande comandamento:
Il primo è: "Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è l'unico Signore, e amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze.
Contrariamente all'attesa del teologo, Gesù non solo non cita il riposo del sabato come comandamento più importante, (il culto per Gesù non ha alcun valore) ma risponde pure ignorando i comandamenti di Mosè! Gli indica invece un testo che gli ebrei conoscevano a memoria e dovevano recitare tre volte al giorno, e che non è un comandamento ma il "credo" di Israele contenuto nel libro del Deuteronomio (Dt 6,4-5). Formava parte della preghiera quotidiana di ogni ebreo e questo teologo non si era reso conto che questo insegnamento fosse più importante dei comandamenti: la fedeltà a Dio, (perché amore significa fedeltà). Un Dio assoluto a cui si deve tutto: "con tutto il tuo cuore, tutta la tua anima..." ecc, una maniera retorica e ridondante per esprimere che l'uomo intero si deve donare a Dio.
Però anche se la domanda concerneva un solo comandamento, Gesù dice che questo non è sufficiente ed aggiunge una frase tolta da un altro libro della bibbia, il Levitico (Lv 19,18)
e il secondo è questo: Amerai al prossimo tuo come a te stesso.
Per Gesù è inseparabile un'aspetto dall'altro. La fedeltà a Dio è inseparabile della fedeltà all'uomo. Non esiste pertanto per il popolo di Israele un comandamento principale, ma due comandamenti principali: fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo. E questo è il contenuto dell'alleanza di Dio con il popolo ebraico. (Per questo il brano del libro del Deuteronomio inizia con "Ascolta Israel").
Non c'è altro comandamento più grande di questi.
Sia ben chiaro che questo insegnamento è valido per gli ebrei che avevano stipulato il patto dell'alleanza con Yahvè accettando i comandamenti di Mosè, ma non per il cristiano che ha dato il suo assenso alla "nuova" alleanza di Gesù (Lc 22,20).
Gesù, rispondendo ad un interlocutore ebreo indica che il più importante dei comandamenti è un amore assoluto a Dio (con tutto il tuo cuore, ecc.) e relativo all'uomo (come a te stesso). Per il cristiano ciò non sarà più sufficiente e Gesù dirà che il suo comandamento è: "Dimostratevi tra di voi un amore come quello che io ho dimostrato a voi" (Gv 13,34) Questo il comandamento nuovo di Gesù non nel senso quantitativo: un comandamento in più, ma qualitativo, che soppianta ed oscura ogni altro). Per Israele, Dio è l'assoluto e l'uomo relativo; Gesù ci insegna che l'assoluto è l'uomo, che è al prossimo che dobbiamo dare tutto il nostro cuore, tutta la nostra mente, tutte le nostre forze, e persino la vita: amare l'altro con il nostro amore potenziato dall'amore stesso di Dio. L'ideale dell'amore cristiano non è umano (come te stesso), ma divino-umano (come io vi amo).
Il Teologo si trova d'accordo con la risposta di Gesù:
Il teologo replicò: molto bene, maestro, hai ragione a dire che il Signore è uno solo e non ce n'è un altro al di fuori di lui, e che amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze, e amare al prossimo come a se stesso vale più che tutti gli olocausti e i sacrifici!
Gesù nella sua risposta gli aveva sottolineato la preminenza dell'amore sul culto e questo teologo si trova d'accordo nel riconoscere la precedenza dell'amore sul culto religioso.
A questo punto Gesù gli fa un invito implicito: "non sei lontano dal Regno".
Chi è per il bene dell'uomo non è lontano dal Regno, dalla comunità di fratelli che Gesù vuole fondare... Un invito, una proposta. Ma il letterato non aderisce a Gesù, rimane con la sua teoria che non si trasforma in pratica... Per lui era solo una questione teorica, di teologia, doveva risolvere un problema scolastico, e non fa il passo dell'adesione a Gesù, che suppone impegnarsi per la costruzione di una società nuova, lasciando tutto quel che è elemento di ingiustizia, compreso il prestigio, il porsi al di sopra degli altri.
Chi è questo letterato?
Assomiglia a quelle persone che non sono lontane dal Regno di Dio, perché a parole sono d'accordo che bisogna cambiare la società, che bisogna lavorare per l'umanità, per la chiesa, per la pace, ma... a parole, poi nella pratica... lasciare il prestigio e il privilegio di cui gode... troppo caro!
Gesù ha già descritto nella parabola dei quattro terreni questi tipi: sono gli individui che accolgono subito con gioia il messaggio di Gesù, ma non hanno radici in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono... (Mc 4,16-17). Non sono lontani dal Regno... ma neanche fanno il minimo sforzo per entrarci... stanno bene così! Rimangono nel piano della religione senza passare a quello della fede e sono inutili per Gesù che ha bisogno di operai per la messe (Mt 9,38), e chi non entra a far parte del Regno di Dio ne rimane definitivamente escluso (Mt 7,21).
IL FUNZIONARIO REALE
(Gv 4,46b-54)
Finalmente un bell'esempio di conversione, di un cambiamento che produce vita per sè e per gli altri. E' quanto viene mirabilmente descritto da Giovanni al capitolo quarto del suo vangelo. Anche qui il personaggio è anonimo e rappresenta perciò una determinata categoria di persone... quelle che vi si riconosceranno.
Scrive Giovanni che
c'era un funzionario reale, il cui unico figlio era infermo a Cafarnao...
Abbiamo un personaggio importante, un uomo che ha autorità, nel quale possiamo vedere qualunque persona che eserciti un potere. Ma, e qui soprattutto si centra la nostra riflessione, è una persona, o meglio non è più una persona: è un funzionario reale. Giovanni non dice come ci si aspetterebbe "c'era un uomo o un padre che aveva il proprio figlio..." no, un funzionario. Chi possiamo identificare con questo personaggio? Qualunque persona che viene travolta dalla sua attività, che si identifica col proprio lavoro o col proprio ruolo. Un uomo che per la moglie non è più il marito, il compagno di vita, ma l'ingegnere tal dei tali, una donna che non è più la moglie per il marito ma la madre dei suoi figli o ... la manager, genitori che per i figli non sono un papà e una mamma ma nevrotici che compaiono solo di sera e che non bisogna disturbare perché "sono tanto stanchi e nervosi" della giornata di lavoro e non hanno alcuna voglia di ascoltare né tantomeno di giocare con i propri figlioli... (Se non poi per lamentarsi che "coi figli non c'è dialogo! Sembrano delle mummie! Non parlano mai! E se non si confidano con la propria mamma che li può comprendere con chi si possono confidare?..." Ma chi li ha ridotti così?)
E questo manager, questa persona che viene presentata per l'attività svolta, trova che il suo unico figliolo, il suo erede è infermo...
Avendo saputo che Gesù era tornato dalla Giudea in Galilea, andò ad incontrarlo e gli chiese di scendere per curare al proprio figlio che ormai stava per morire...
Questo figliolo, informa Giovanni, è ormai sul punto di morire. Non ci dice di che malattia perché la sua infermità come vedremo tra poco porta il nome del padre! (Potremmo chiamare questa infermità "mutismo": il bambino è muto. Non parla perché nessuno gli parla. Il nostro personaggio chiede a Gesù di intervenire, di scendere... Il funzionario è un uomo la cui attività l'ha posto in alto nella società, e dalla sua altezza interpella colui che è il più alto, Gesù, l'Uomo-Dio. Cerca un intervento che dall'esterno agisca efficacemente e rapidamente sul proprio figliolo ormai moribondo, ed essendo uno che è importante è normale che si rivolga a colui che reputa il più in alto... (Per tornare al nostro manager, costui si rivolge ai luminari della scienza, e non si accorge di essere solo lui la causa di questa malattia).
Ed infatti Gesù lo rimprovera:
Se non vedete segnali strepitosi siete incapaci di credere!
Gesù parla al plurale: "siete incapaci", e questo plurale ci coinvolge. Gesù si dirige a tutta quella categoria di persone che è incapace di scrutarsi dentro e sta sempre a guardare fuori. Quelli che non si accorgono che il rimedio è semplice, a portata di mano... ma che li costringerebbe a guardarsi nel proprio intimo e la visione non sarebbe delle più belle. E allora cercano sempre le soluzioni al di fuori, che siano magari costose, difficili, esclusive... "segnali strepitosi" a loro esclusiva disposizione. Il bambino sta male... si chiami il miglior dottore! Il migliore consulto! Marito e moglie non vanno d'accordo? Si va al consultorio, dallo psicologo... I genitori non sono più quelli di una volta? C'è un bel ricovero tanto signorile e tanto pulito... tutte soluzioni esterne ai mali interni, il continuo desiderio di "segnali strepitosi" cioè portentose soluzioni al di fuori dell'uomo.
E il funzionario ad insistere: Signore, SCENDI prima che muoia il mio bambino!
Sempre la ricerca di una soluzione dall'alto: scendi!, agisci, intervieni... sembra proprio l'eco di tante nostre preghiere o meglio ordini rivolti al padreterno: "fai, opera, dai..." L'equivoco della preghiera nella quale chiediamo a Dio di fare quel che lui si aspetta siamo noi a fare! E intanto si perde tempo... il bambino sta per morire, e il funzionario: "Scendi!" e sembra quasi dare a Gesù la responsabilità dell'aggravarsi della condizione del proprio figliolo: "prima che muoia!" E' colpa del ritardo di Gesù se il bambino si aggrava: "Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!" rimprovera Marta a Gesù (Gv 11,21).
Ma Gesù gli replicò: Sei TU che devi scendere! e tuo figlio vivrà
E' tutto qui il nocciolo del problema e la causa dell'infermità del figlio del funzionario... "scendi TU!" Il funzionario ha chiesto a Dio di "scendere", di intervenire dall'alto del suo onnipotente potere... "segni e prodigi" Gesù dice che no, non è lui che deve scendere ma il funzionario! Chi sta in alto non è Gesù che si pone sempre a nostro servizio ("Sono venuto a servire non ad essere servito" (Mc 10,45), e che ci dimostra il suo amore innalzandoci al suo stesso livello (Gv 13,1ss), ma il funzionario è colui che deve scendere! E anziché attendere "segni e prodigi" dall'alto, diventare lui stesso un segno per il figlio. Ecco l'invito alla conversione! Ed ecco la causa dell'infermità del figlio, infermità mortale. Lui per il figlio era il funzionario, il grande personaggio! Ed un funzionario, un manager non comunica vita... ed il figlio se non riceve vita dal padre muore... (Occorre tener presente per la comprensione del brano che nella cultura ebraica la vita viene trasmessa esclusivamente dal padre). Questo funzionario è un tipo rappresentativo nel quale possiamo rientrare tutti. Tutti coloro che al proprio essere personale fanno subentrare piano piano il ruolo assunto nella società fino quasi ad annientare quel che si è a favore di quel che si fa... tutti questi comunicano morte anziché vita! E qui rientrano tutti quei matrimoni dove lo sposo o la sposa non sono più tali per l'altro che è soltanto un vedovo o una vedova, anche se con il consorte vivo! Manager che non hanno più tempo per il proprio partner che vive in una sorta di vedovanza bianca... genitori che non hanno tempo e voglia per comunicare affetto ai loro figli... e anziché "genitori" si trasformano in distributori di cose... figli che vanno ormai per la loro strada e non hanno interesse per i loro vecchi...
Sono tutti responsabili dell'infermità delle persone che vivono accanto a loro perché sono essi che non comunicano vita, e se non si riceve vita si muore!
Ma è sempre possibile - come in questo caso - la conversione, sulla parola di Gesù:
si fidò quell'uomo delle parole che gli disse Gesù e iniziò a scendere...
Non un segno per credere, ma credere per diventare segno. Ecco la conversione, ecco il cambio! Aveva chiesto a Gesù di scendere e Gesù gli ha fatto capire che era lui, con quel suo "stare in alto" il responsabile dell'infermità del proprio figliolo e lo aveva invitato a scendere, a lasciare dietro di sè il funzionario, il ruolo, quel che faceva, per tornare ad essere quel che era..
E il nostro personaggio si fida delle parole di Gesù ed inizia a scendere, lui che stava tanto in alto, lui che era sul piedistallo della propria posizione: "un funzionario reale", e già non è più un funzionario ma un uomo! Dal momento che inizia a scendere, Giovanni ci dice che si tratta di un uomo! Non c'è più il funzionario, c'è un uomo! Ha lasciato il suo ruolo di personaggio importante per tornare ad essere persona. Gesù lo ha invitato ad un'autentica relazione col figlio infermo, a non aspettare per nutrirlo la miracolosa manna dal cielo ma di diventare lui pane per l'affamato! E lui ha capito e si spoglia del suo essere funzionario per far emergere l'uomo che era stato nascosto, soffocato.
Colui che prima chiedeva a Gesù come un potente, crede finalmente ora come uomo. Prima si era qualificato per la sua attività ed ora per la sua condizione umana, presupposto per ogni relazione personale.
e mentre scendeva lo incontrarono i suoi servi e gli dissero che il figlio era vivo!
"mentre scendeva..." L'uomo continua a scendere, a spogliarsi della sua superiorità e scendendo si mette finalmente a livello dell'infermo, e questi vive! E' chiara qui qual'era l'infermità del figlio: l'assenza del padre! Aveva accanto un funzionario ma gli mancava il padre! Il padre, colui che deve comunicargli la vita non esisteva più. C'era solo un personaggio tanto distante da non poter trasmettere altro che morte. (Viene in mente il bambino di una famosa psicoterapeuta che diceva ai suoi amichetti: "La mia mamma esce di casa tutte le mattine per andare a spiegare alle altre mamme che devono stare con i loro bambini...").
Chiese in che ora aveva migliorato e gli risposero: Ieri, all'ora settima se ne andò la febbre. E il PADRE si rese conto che quella era proprio l'ora quando Gesù gli aveva detto "Tuo figlio vive". E credette lui con tutta la sua famiglia.
Il bambino non è solo migliorato, ma è guarito. Perché il funzionario "scendendo" è tornato prima ad essere uomo e poi finalmente padre. Padre di un figlio "unico", cioè colui che comunica al figlio tutto quel che ha, e questa era la causa che privava di vita l'infermo: la relazione tra un funzionario anziché un padre col proprio figlio. E mentre prima il funzionario comunicava morte, ora il padre comunica vita e per la prima volta nel racconto si parla finalmente pure della famiglia che prima non esisteva, non appariva perché non si poteva chiamarla tale... la casa del funzionario dove tutti gli erano subordinati finalmente diventa famiglia!
Che lezione per tutti noi! Chissà quanti di noi si sono talmente identificati col proprio ruolo da non avere più tempo per essere madre, padre, genitore, figlio, fratello! E chissà per quanti il luogo dove si vive è la casa del funzionario, del... e non è più famiglia!
L'invito alla conversione che ci viene da questo episodio nel quale ognuno si può identificare col "funzionario" è che se quel che siamo viene sopraffatto da quel che facciamo non comunichiamo vita a quanti vivono attorno a noi.
Credo che qui dentro ci ritroviamo tutti quanti:
-dal marito che vive per il lavoro mettendolo al primo posto e che non ha ormai più tempo per essere appunto un marito per la propria moglie, e non le comunica vita, e uccide la propria compagna! (Anche se molte donne ricorrendo al principio della legittima difesa, anziché essere "uccise", dichiarano defunto il marito - che di fatto lo è - e sentendosi di fatto "vedove" passano ad altre relazioni),
- alla moglie si è fatta travolgere dal ruolo di madre e che tra i figli e il marito sceglie sempre i primi a discapito di quest'ultimo e così non comunica vita né al marito e né - come tanta premura e attenzione parrebbero dimostrare - ai figli, ed è causa della loro silenziosa infermità. Ed il nostro elenco potrebbe continuare, con figli che sono soltanto "ospiti" ben pasciuti dei loro genitori o con le persone religiose tutte casa e chiesa da potersi curare poco e niente dei fratelli e sorelle con cui vivono..

F. QUALE CONVERSIONE
Nel greco biblico esistono due termini che indicano "conversione". uno epistrépho (lett. voltarsi) è il termine teologico che indica il ritorno a Dio, espressione cara all'Antico Testamento, dove indica l'abbandono degli idoli e il conseguente ritorno all'unico vero Dio:
"convertitevi (epistrephete) a lui con tutto il cuore e con tutta l'anima... e lui si volgerà a voi..." (Tob 13,6) (Cfr Mal 3,7; 2 Cron 6,24.26).
Questo termine viene accuratamente evitato dagli evangelisti, e non si incontra mai nei vangeli nel suo significato teologico, se non nella citazione di testi dell'AT (Is 6-10; Mal 3,24).
Gli evangelisti non usano questo termine che significa "ritornare a Dio" perché con Gesù, Dio è qui, è l'Emmanuele "Dio con noi" (Mt 1,23), e non c'è da "ritornare" a lui, bensì da accoglierlo e seguirlo, collaborando con lui e come lui al bene dell'uomo.
Il termine che gli evangelisti usano per esprimere il concetto di conversione è "metanoia" (lett. cambiar mente/atteggiamento) che semanticamente significa un cambio libero, interiore, e permanente, di una mentalità che di conseguenza produce un cambio di condotta, cioè il passaggio da un atteggiamento che reca danno al prossimo ad un'altra disposizione che fa bene all'uomo: se io ho una mentalità nella quale il valore massimo sono io, agisco di conseguenza in un modo che è inevitabilmente negativo per il mio prossimo e ogni atto che scaturisce da questo permanente atteggiamento si trasforma in danno per gli altri.
Pertanto essere convertiti significa dirigersi totalmente al bene dei fratelli. E' Dio stesso che ci chiede non tanto di essere innamorati di lui, ma come lui innamorati dei nostri fratelli: "amatevi gli uni gli altri come io vi amo..." (Gv 13,34). Ci chiede di guardare i nostri fratelli come lui li vede...

G. RISCHI SPIRITUALI...
I "ritiri" possono a volte essere dannosi. Si sta con Dio. Ci si sente tanto santi. Ci si "carica" di cose tanto spirituali, si sta così bene insieme in questi giorni... ed è più difficile tornare dai fratelli che sono sempre gli stessi... e noi che andiamo santificati con tante cose belle da raccontare e da insegnare!
Cerchiamo di vedere dalla Bibbia un suggerimento circa il comportamento da tenere una volta scesi dal monte di Dio e lo vediamo considerando in maniera evidentemente paradossale il differente effetto di un... ritiro spirituale a due grandi personaggi: Mosè e Maria.
Mosè ha fatto uno dei migliori ritiri spirituali di tutti i tempi: 40 giorni a tu per tu sulla montagna sacra col suo Dio! Mosè più santo di così non poteva diventare... ma ecco il rischio della santità isolata... quando scende "ricco" di quel che aveva da raccontare vede che la gente sta danzando... una innocua festa popolare... ma seguiamo la Bibbia:
"Allora si accese l'ira di Mosè: egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nella fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli Israeliti... (Es 32,19-20)
Bè, il popolo aveva forse sbagliato non restando in un atteggiamento di raccoglimento religioso..., non accogliendo Mosè con quel rispetto e quella riverenza che un capo tanto importante e per di più così santo come lui ormai esige, e soprattutto non dimostrando particolare desiderio di ascoltare le sue recenti esperienze spirituali, ma questa punizione poteva pure bastare.. macché...
"Mosè si pose alla porta dell'accampamento e disse: Chi sta con il Signore, venga da me! Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: Dice il Signore, il Dio d'Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente. .... e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo... (Es 32,26-28)
Per fortuna che era stato quaranta giorni a tu per tu con dio! Se fosse stato con il diavolo che avrebbe combinato? Se questi sono i frutti del ritiro di Mosè sarebbe stato meglio se fosse rimasto col popolo a bere e ballare anche lui anziché salire alla santa montagna!
Altro personaggio che ha fatto una stupenda esperienza di Dio è Maria... anche lei ha sperimentato la presenza del Signore, ne è stata addirittura avvolta, un Dio le ha chiesto il permesso di diventarle il figlio... Maria dopo questa straordinaria irripetibile esperienza non fa la santona, né si mette sotto una campana di vetro, e neanche brucia dalla voglia di raccontare a tutti quel che ha vissuto ma si mette a servizio! Va da Elisabetta sua parente che ormai sta per partorire, per aiutarla! Maria traduce l'esperienza di Dio in amore... Mosè in leggi!
Amare Dio significa dire sì alla vita, e amare i fratelli è comunicare loro l'effetto di questo sì. Per questo Maria dice sì a Dio e poi va subito a servizio da Elisabetta.
"Chi dice di amare Dio ma poi odia il suo fratello, costui è un falso!" ammonisce Giovanni nella sua lettera (1 Gv 4,20), perché ateo è colui che non ama non colui che non crede. Prendiamo per esempio il samaritano del vangelo (Lc 10,30-37). E' considerato un miscredente da parte dei religiosi, ma viene indicato come modello di credente da parte di Gesù. Il samaritano non credeva ai dogmi del giudaismo, ma credeva nell'amore!
Chi dice di amare Dio lo dimostra comunicando vita ai fratelli. Ma non solo ai fratelli già buoni, amabili, ma anche a quelli che non sono né amabili né santi!
Questo nostro incontro pertanto riuscirà se tornando alle nostre case torneremo non più innamorati di Dio, che questo ai nostri fratelli non importa un bel niente, ma più innamorati di loro... questo sì porterà loro senz'altro giovamento.
Noi non dobbiamo tornare a casa e dare loro la buona notizia (Mosè) ma essere per essi una buona notizia (Maria). Se uno è buona notizia la da pure.

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