mercoledì 27 aprile 2011





Quando ho iniziato a scrivere questo insegnamento, ero intenzionato a cercare dodici versetti della Bibbia che noi tutti in pratica ignoriamo, seppur concordando con essi mentalmente. Ma sono rimasto impressionato perché ne ho trovati molti di più semplicemente ignorati.
Così ho ristretto il campo. In seguito, ho individuato 12 insegnamenti di Gesù dal solo Vangelo di Matteo. E’ triste che in un solo libro della Bibbia io abbia trovato così tanti versetti più o meno ignorati da noi cattolici, ma eccoli qua. Forse se ci dedicassimo più seriamente alle Scritture passeremmo più tempo a metterli in pratica piuttosto che a coltivare il nostro orticello.
1. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori — Matteo 5,43-44
Noi amiamo odiare i nostri nemici, non è così? Allo stesso modo, non sembriamo credere molto nella potenza della preghiera che possa cambiare i nostri nemici o i nostri sentimenti verso di loro. E’ una spada a doppio taglio che lacera la chiesa cattolica. Amiamo i terroristi? Preghiamo per loro?
Non credo.
2. Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona. Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena. —Matteo 6,24-34
Sarebbe interessante vedere un profeta all’interno della Chiesa capace di rimproverare coloro che amano i soldi più di Dio. Ma forse non c’è bisogno di un simile profeta; sospetto che molti di noi occidentali non supereremmo il test, senza alcun bisogno di una rivelazione soprannaturale.
Se esaminiamo il modo in cui trascorriamo il tempo, molti di noi si impegnano non a fare l’opera del Signore ma ad accumulare le risorse di una società ricca che ha dimenticato Dio e crede troppo nelle sue proprie capacità. Dedichiamo molto tempo a fare soldi e poco per il regno di Dio. Esaminando le nostre vite, vediamo che si tratta di una divisione del cuore, perché noi dividiamo il tempo in base a ciò che amiamo. E molti di noi sono devoti a ciò che sarà arso e non al Signore che ci ha fatti e che ci chiama ad essere un popolo santo separato per lui.
3. Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. — Matteo 7,1-5
Ama, prima di tutto. Prima di tutto, ama. E’ buffo vedere come l’amore può temperare ogni giudizio.
Trovo difficile criticare qualcuno. I miei errori sono davanti ai miei occhi. Se alla fine della giornata non fossi stanco, preferirei pulire la mia casa piuttosto che suggerire al mio vicino come pulire la sua.
Il mondo non ascolta più il messaggio del Vangelo perché i cristiani non sembrano riuscire a mettere in ordine la sua casa prima di dire agli altri come mettere a posto la loro. Questo è orgoglio, e Dio odia l’orgoglio più di qualsiasi altro peccato.
4. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. — Matteo 16, 24-25
Se un seme non viene interrato e non muore, non può portare frutto. C’è troppa gente in chiesa che non è morta a sè stessa, rinunciando al proprio ego. Chi non ha nulla da perdere in battaglia non ha paura di niente, e nella lotta contro il male serve della gente che ha rinunciato alla propria vita, gente che ha rinunciato alle proprie armi e che quindi viene equipaggiata da Dio con le sue armi e i suoi doni. Questa gente morta può cambiare il mondo.
La croce rappresenta la morte dell’egoismo, e senza la croce siamo inutili per il regno di Dio.
5. Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. —Matteo 17,24-26
Non ho mai sentito un insegnamento su questo passo. Questo per me è un crimine.
Carissimi fratelli e sorelle, lo capite questo passo? Il mondo non vi possiede, e voi non possedete il mondo. Voi siete liberi.
Eppure quanti cristiani ancora sono legati al mondo? Molti sono appesantiti dai pensieri dell’accumulare e del salvare le apparenze. Altri non riescono a tagliare con il passato. Alcuni sono oppressi dal futuro. Diversi sono intrappolati nell’inferno del legalismo e delle prestazioni.
Queste sono persone da compatire.
Cristiani, siete liberi! Non importa cosa la gente pensa di voi o cosa pretenda da voi. Siete un figlio o un figlia che deve solo rendere conto al Padre.
Ora iniziate a comportarvi come persone libere.
6. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. Matteo 18,2-4
Nessun adulto è ammesso al regno dei cieli, solo bambini. Solo i bambini hanno la fede necessaria per credere che esiste un modo più grande di quello che vedono con i loro occhi. Così è il paradiso, il luogo dove dimora Dio, e solo i bambini possono vederlo.
Poniamo troppa enfasi sulla maturità della fede, ma vedo che spesso le persone che si definiscono mature sono spesso quelle che hanno meno fede. Affermano di conoscere Dio, ma poi lo sminuiscono quando serve un miracolo. La loro parola preferita è ma…
Questo tipo di fede non è fede per niente.
7. Rispose Gesù: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete». — Matteo 21,21-22
I cristiani dell’occidente credono a ciò che i loro occhi vedono. Credono nella scienza. Credono nel razionale. Ma non credono che le montagne possano essere gettate nel mare per fede. Ecco perché molte persone se ne vanno dalle chiese. Se anche i credenti non credono più…
8. Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Matteo 22,34-40
Si sente spesso parlare del bisogno di memorizzare i versetti della Bibbia. Per memorizzarli, basterebbe amare le parole della Bibbia.
Credo fermamente che se tutti i cristiani memorizzassero questo versetto e vivessere in base ad esso, il mondo sarebbe trasformato nel giro di una generazione.
Invece, noi amiamo noi stessi, amiamo le cose che accumuliamo, ogni tanto citiamo Dio e pensiamo al nostro prossimo solo quando interferisce con noi o con le nostre cose.
Poi ci domandiamo come mai nessuno ci ascolta o si preoccupa di sentire cosa abbiamo da dire a chi non va in chiesa. Ma nel momento che un ateo legge questo passo e scopre che non tutti i cristiani lo mettono in pratica, perché dovrebbe perdere tempo di ascoltare qualcos’altro riguardo il Signore che noi pretendiamo di servire?
9. Ma voi non fatevi chiamare "rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padrè' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestrì', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. Matteo 23,8-12
Noi amiamo le nostre gerarchie, non è così? Tutti vogliamo essere importanti. Amiamo i titoli, i diplomi, le certificazioni e qualsiasi cosa che ci privilegi – ma Gesù ha detto che è tutta carta straccia. Le vere persone importanti sono coloro che non prendiamo in considerazione, quelli che servono.
Cosa accadrebbe in una chiesa tipo se le persone ottenessero prestigio in base alla loro umiltà? Ironicamente i servi genuini continuerebbero a essere servi a dispetto dello status ottenuto, e se anche venissero puniti continuerebbero a essere servi. Essi sanno che il Signore da loro servito con tutto il cuore è Egli stesso un servo gentile ed umile, uno che assegna i propri riconoscimenti con un sistema totalmente diverso da quello della chiesa occidentale o del mondo.
Crediamo che siamo tutti uguali di fronte al Signore?
10. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà. Matteo 24,42-44
La gente viene riconosciuta in base a quello che fa, al servizio che presta o alla preparazione che hanno. Un pompiere si addestra per il fuoco. Un pilota di aerei conosce tutti i segreti del volo.
Qual’è il nostro ruolo e come ci prepariamo per esso?
E’ molto semplice: noi non viviamo come se il Signore dovesse tornare domani. Non lo facciamo, e non ci sono scuse. Il Signore tende la sua mano chiedendo alla Chiesa di essere Chiesa, ma invece vogliamo essere mondo. Quel poco che facciamo per il regno di Dio va perduto perché ci sediamo davanti alla nostra forma preferita di intrattenimento, compriamo altre cose che saranno bruciate nel giorno del giudizio o ci lamentiamo di quanto siamo annoiati.
Nel frattempo, il ladro ci ha svaligiato la caso senza lasciarci nulla che possa resistere al fuoco di Dio nell’ultimo giorno.
11. Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». Matteo 25,31-46
Sia le pecore che i capri chiamavano Gesù “Signore”. Ma la differenza fra loro, in base a ciò che Gesù dice qui, consiste in ciò che essi facevano o non facevano.
Dio aiuta i capri. Troppi di essi siedono in chiesa. Peggio ancora, troppi di essi guidano le nostre chiese.
Se mettessimo in pratica questo passo, gli orfanotrofi sarebbero vuoti.
12. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». — Matteo 28,18-20
Sono decenni che non mi capita che uno sconosciuto cerchi di parlarmi del Vangelo faccia a faccia. Dato che ci sono milioni di cattolici in Italia, la possibilità di non udire la predicazione del Vangelo faccia a faccia da uno sconosciuto dovrebbero essere prossime allo zero.
Il solo motivo per il quale la probabilità non è prossima allo zero (infatti è lontana dall’esserlo), è che nessuno è interessato al fare discepoli. La popolazione dei cristiani nati a nuova vita è numericamente stabile o in declino in Italia. La ragione è nella mancata presa in considerazione di questo passo del Vangelo di Matteo.
Qualcun altro farà il lavoro, pensiamo inconsciamente. Non è questo il motivo per il quale paghiamo i sacerdoti?
Non importa se il dono è l’insegnamento, l’evangelismo o nessuno dei due. Ogni cristiano è chiamato a formare dei discepoli.
Ecco dodici insegnamenti di Gesù con la potenza adatta per cambiare il mondo. Ciò che non riusciamo a cambiare dipende solo dalla nostra incapacità di credere ciò che Gesù ha detto.
E se non crediamo a ciò che Gesù ha detto, come possiamo definirci suoi discepoli?

Umberto Amoroso

martedì 26 aprile 2011

A DIO SIA TUTTA LA LODE E LA GLORIA!


Carissimi:
A DIO SIA TUTTA LA LODE E LA GLORIA!
Mi sono seduto alla scrivania chiedendo al Signore come avrei potuto benedirvi. Non voglio chiedervi nulla, voglio darvi qualcosa dalla Parola di Dio.
Scrivo semplicemente questi passi, confidando che almeno uno sarà una parola speciale per voi mentre lo leggete. So che Dio è fedele da mandarci una parola speciale quando ne abbiamo bisogno. Credo che qui ci sia qualcosa di speciale per voi.

Salmo 32,6.8: Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell'angoscia.
Quando irromperanno grandi acque non lo potranno raggiungere.
Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo, mi circondi di esultanza per la salvezza.
Ti farò saggio, t'indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio.


Salmo 31,6.8: Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.
Tu detesti chi serve idoli falsi, ma io ho fede nel Signore.
Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce.



Salmo 41,1.3: Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Veglierà su di lui il Signore, lo farà vivere beato sulla terra, non lo abbandonerà alle brame dei nemici.



Salmo 31,1.5: Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. Umberto Amoroso
In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; per la tua giustizia salvami.
Porgi a me l'orecchio, vieni presto a liberarmi.
Sii per me la rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi.
Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa.



Salmo 56,8.11: Per tanta iniquità non abbiano scampo: nella tua ira abbatti i popoli, o Dio.I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell'otre tuo raccogli;
non sono forse scritte nel tuo libro?


Allora ripiegheranno i miei nemici, quando ti avrò invocato: so che Dio è in mio favore.

Lodo la parola di Dio, lodo la parola del Signore.


Salmo 86,17: Dammi un segno di benevolenza; vedano e siano confusi i miei nemici, perché tu, Signore, mi hai soccorso e consolato.


Salmo 88,1.3: Canto. Salmo. Dei figli di Core. Al maestro del coro. Su «Macalat».
Per canto. Maskil. Di Eman l'Ezraita.


Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte.
Giunga fino a te la mia preghiera, tendi l'orecchio al mio lamento.



Vi prego di sottolineare i passi della Scrittura che lo Spirito testimonia come vostri. Credeteci! Dio li ha mandati per voi. Per favore pregate per noi, per questa Comunità "Apostoli del Signore".  La vostra preghiera servirà ad aiutare molte persone.

sabato 23 aprile 2011

La risurrezione di Cristo è un fatto reale


La risurrezione è un fatto reale. Lo fu duemila anni fa e lo è oggi. Il corpo del Signore divenne cadavere e fu il suo cadavere a riprendere vita e a mantenerla. Gesù non è più morto da allora e da risorto rimane in mezzo a noi, mentre gli altri pochi risuscitati, come Lazzaro e la figlia di Giairo, tornarono a morire e furono risepolti.
Nel corso di due millenni di storia cristiana sono stati effettuati nel mondo, in ogni continente, da parte delle più svariate categorie di persone, ai diversi livelli, tutti gli sforzi più inverosimili e mirabolanti per trovare ragioni contro la verità della risurrezione di Gesù. L’atteggiamento è spiegabile, i tentativi comprensibili, data l’importanza basilare del fatto. Ma, se ci fosse un argomento valido a negarla, prima o poi sarebbe venuto fuori. Invece no, non è venuto fuori niente. Supposizioni, cavilli, sciolti come neve al sole. Nulla di serio, ieri e oggi, da poter scalfire la solidità storica del fatto.


La morte di Cristo non fu morte apparente

Uno dei cavalli di battaglia è stato il ricorso alla supposizione della morte apparente: Gesù non sarebbe morto e, dopo un riposo ricostituente nella tomba è riapparso ai discepoli, che diffusero in giro la voce della risurrezione. È un assunto pretestuoso e ingiustificabile. Basta analizzarlo un po’ per verificarne l’assoluta inconsistenza.
Siamo d’accordo nel riconoscere la difficoltà di offrire una definizione definitiva della morte. Con tutti i progressi tecnologici operati anche nel campo della fisiologia, la scienza moderna non è ancora in grado di dire l’ultima parola in proposito, se si muore per l’immobilità del cervello o del cuore o di tutti e due. Ebbene, che il mondo scientifico continui a indagare. Sulla terra, intanto, si muore da quando sono apparse le prime forme di vita, e tutti da sempre sanno che cosa è un cadavere. Esistono pure casi di morte apparente, ma non è e non può essere quello di Gesù. A rianalizzare il processo variegato dei tormenti della sua passione, il sentimento più ovvio da ricavarne è di meraviglia che Egli non sia morto prima, lungo la strada del Calvario.
È da ritenere un miracolo di sopravvivenza che un uomo così provato, senza prendere un boccone dalla sera precedente, dopo una nottata insonne, esposto agli insulti, tra gli strapazzi subiti da un tribunale all’altro, sottoposto alla crudeltà della flagellazione e alla coronazione di spine, che gli penetravano il cranio, con una traversa pesante di legno sulla spalla, sia riuscito a farcela sino alla collina del Calvario. Mani e piedi trafitti da ruvidi chiodi, appeso sulla croce per tre ore di agonia.
Eppoi un colpo di lancia diretto al cuore da un professionista delle uccisioni è sufficiente da solo a sopprimere la fibra più sana e robusta. Basta la quantità di aromi di Nicodemo ad asfissiarla. Parlare ancora della possibilità di morte apparente in tutto questo funereo contesto significa non avere più il senso delle parole e della misura, non sapere neppure quel che si dice.
Gesù era così realmente morto che quando arrivarono i Giudei inviati dal sinedrio per verificare il decesso dei tre appesi sul Golgota, mentre si adoperarono a praticare il "crurifragio", ossia la frattura delle ginocchia, ai due ladroni crocifissi, per dar loro il colpo di grazia, lo risparmiarono a Gesù, ritenendolo superfluo. Come è possibile immaginare che i pignoli avversari del Signore, i quali avevano fatto di tutto per toglierlo di mezzo, potessero arrivare a una decisione così conclusiva senza avere la certezza della sua fine?


Si dica quel che si vuole: l’accertamento della morte di Gesù viene dagli stessi suoi più giurati nemici. I quali, per prendere ogni estremo di precauzione, ricorsero ad altre misure di sicurezza: sigillare la tomba e mettervi a guardia un plotone di soldati in armi, con la motivazione che Gesù aveva parlato della sua futura risurrezione. Così essi non si resero affatto conto di convalidare da una parte la profezia del Signore, e di renderne dall’altra più splendido l’avveramento.
Malgrado la presenza dei militari, la tomba fu trovata senza il cadavere del crocifisso. A nessuno verrà in mente di pensare che l’uomo, sbarrato là dentro, in quelle condizioni, avesse avuto tanta forza da far saltare la pesante pietra di chiusura.
Ma furono i discepoli a eseguire l’operazione... Questa, infatti, fu la diceria messa subito in giro dai capoccia del sinedrio. Già! Quei discepoli che, dominati dalla paura di fare la stessa fine, non furono in grado di salvare il Maestro da vivo, ora sarebbero stati capaci di un’incursione del genere, per salvarlo da... morto! E i soldati di guardia che facevano? Dormivano. Lo dissero essi stessi. Ma se dormivano come riuscirono a saperlo? E, se erano svegli, perché non l'hanno impedito?
Comunque la si giri, la faccenda non quadra in nessun modo. Sa d’imbarazzo e d’imbroglio a carico dei negatori. La verità è che Gesù come realmente morì così realmente risorse.



La risurrezione non fu frutto di immaginazione né di allucinazione

Dice l’antica liturgia latina: surrexit Dominus vere, "Il Signore è veramente risorto". Ciò che i discepoli vedevano non era il frutto della loro immaginazione! L’interpretazione, infatti, data da chi si rifiuta sistematicamente di riconoscere la possibilità del riprendere vita dopo morte, ricorre a stratagemmi del genere.
I discepoli di Gesù, dicono, caddero vittime di un solennissimo abbaglio. Si trattò non di una realtà, ma di un’allucinazione... Ebbene, un ragionamento simile non regge perché non può stare in alcun modo in piedi.
Non possiamo qui ovviamente addentrarci nei meandri di un esame psichiatrico non essendo la nostra sede un laboratorio scientifico. Basta però richiamare all’intelligenza alcuni elementi essenziali per mettere a nudo l’insostenibilità di una simile tesi. L’allucinazione è un fenomeno patologico verificabile in soggetti dominati da una idea fissa, che viene facilmente proiettata all'esterno dandovi corpo. Ora tali elementi non si riscontrano affatto in nessuna delle apparizioni di Gesù ai discepoli.
Innanzitutto perché degli apostoli si può dire quel che si vuole, tranne l’accusa di essere persone impressionabili, dai nervi a fior di pelle. Incolti, fifoni, istintivi, sciocchi, tardi di cuore, alienati alla realtà della vita, portavano i calli alle mani a furia di adoperare il remo. L’ipersensibilità e quindi la suscettibilità al fenomeno patologico non poteva addebitarsi a quel tipo di discepoli scelti personalmente da Gesù per diffondere nel mondo la Buona Novella.
Per parlare di allucinazione è necessario che vi sia l’idea fissa da proiettare fuori della mente. Ora proprio la risurrezione era l’idea che gli apostoli non avevano nel cervello e si rifiutavano in tutti i modi di prendere in considerazione. Se non era dentro, come potevano proiettarla fuori? Il Maestro dovette sudare le proverbiali sette camicie, accorrere di qua e di là per quaranta giorni interi, travestirsi in vari modi, per convincere della realtà della sua risurrezione prima di farla entrare nella testa dei discepoli!
Se questi fossero stati soggetti facili all’allucinazione avrebbero visto il risorto a ogni piè sospinto, alla prima ombra, e in un secondo tempo si sarebbero convinti che non si trattava di lui, ma di qualche altro. Invece avviene tutto il contrario. Al primo impatto, infatti, essi hanno la convinzione di parlare con un viandante, un vagabondo, uno straniero qualunque, e soltanto dopo aver verificato con certezza la realtà fisica dello sconosciuto, arrivano a identificare in esso la persona del Maestro risorto. Se fossero stati vittime di allucinazione, gli apostoli avrebbero gridato subito al risorto per poter poi ricredersi di fronte al controllo dei sensi. I fatti storici sono andati assai diversamente.
Gesù tornato in vita si fece da essi vedere, guardare, osservare, toccare, palpare. Mangiò con loro, diede tutte le prove possibili e immaginabili che il suo corpo, sia pure in uno stato diverso di vita, era lo stesso che il venerdì prima della Pasqua era stato disfatto, colpito dalle trapanature dei chiodi e della lancia, chiuso entro il sepolcro sigillato. I discepoli si mostrarono così poco creduloni che uno di essi, Tommaso, è divenuto il simbolo dell’incredulità.
Gesù è veramente risorto! La sua risurrezione è il fatto più importante della storia, il più ricco di speranza e di futuro per ogni cuore umano.
Attardarsi a negarlo è persistere a sostenere il ruolo di retroguardia tipico degli avvocati delle cause perse. Nel caso nostro l’incredulità presenta il lato positivo di svolgere la funzione del-l’atteggiamento di san Tommaso valida a rendere più certa e più forte la fede nella verità.
Con tutta sicurezza di mente, senza tema di essere smentiti e col cuore ripieno della gioia più grande, possiamo gridare anche noi l’alleluia pasquale: "È risorto, come aveva detto!". È tempo, perciò, anche per noi, di risorgere.


LE CAUSE DELLA MORTE DI GESU'


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Asfissia carbonica
Innanzitutto va chiamata in causa la serie ininterrotta e profonda delle emozioni in contrasto che turbarono l’animo del Salvatore in quella vigilia di morte. Giorni prima aveva ammesso: ”L’anima mia è turbata”. Durante la cena Gesù  rivisse tutte le angosce precedenti, col traditore, e con i suoi cari che lasciava.
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Al Gethsemani fu chiaro anche ai discepoli questo stato di sofferenza insolita che preludeva al sudore si sangue. Ma doveva ingoiare pene e angosce ancora più intime, durante il processo di morte. Ci fu, in particolare, il momento di furia scatenata, dopo il grido di Caifa, che lo dichiarava bestemmiatore.
Il Vangelo dice che gli si fecero addosso e lo percossero nelle maniere più pesanti. Seguirono le poche ore di attesa della seconda seduta del sinedrio:anche allora,schiaffi e maltrattamenti.
Se a questo aggiungiamo quanto accadde nella flagellazione e nella coronazione di spine, si sconfina nell’incredibile. Gesù doveva morire sotto i flagelli… Non fu così; ma le sue condizioni fisiche furono annientate; anzi furono tenute in piedi solo perché arrivasse alla esecuzione capitale. Sulla croce Gesù ci arrivò solo per miracolo, o se vogliamo, solo per forza di volontà. Se la flagellazione non lo vide spirare, determinò, a distanza di meno di cinque ore, tutti i fattori più direttamente presenti alla sua morte.
Bisogna premettere, con gli esperti più  qualificati che a distanza di anni, anzi di secoli, non è così facile porsi il problema nella prospettiva di un fatto accessibile ad una analisi esauriente. Tuttavia è appassionante tentarlo e,sopratutto, utile alla nostra fede in Cristo Gesù. Se vogliamo avere un concetto semplificato della eziologia, o ricerca delle cause, della morte di Gesù, dobbiamo dire così: la flagellazione provocò la setticemia o tetano, questo a sua volta determinò l’impossibilità della respirazione, per cui Gesù  morì di asfissia carbonica o per anossiemia.
Vediamo di chiarire questo quadro:
 La flagellazione produsse, come logica conseguenza, piaghe contuse che, non disinfettate in nessun modo, misero in moto un processo d'infezione nel sangue che, distanziato su quasi 5 ore (la flagellazione deve essere avvenuta verso le dieci del mattino) potè produrre crampi dolorosissimi. Questi crampi, o dolori spasmodici ai muscoli,investirono Gesù quando fu in croce. Da principio il fenomeno interessò la zona del torace, già provato duramente, per via della tensione degli avambracci,tesi per i polsi schiantati con chiodi e fissati sulla trave trasversale, o patibolum, della croce.
Ad un certo momento gli spasmi diventarono così atroci da non permettere più la dilatazione necessaria alla inspirazione ed espirazione comprese nel nostro moto respiratorio.
Questo progressivo annullamento della respirazione di Gesù, causò una grave crisi circolatoria, nel senso che il sangue delle vene periferiche, affluì a quelle centrali, provocando una congestione passiva,o stasi delle prime, in particolare delle vene esoteriche, con gravi danni alle sistoli del cuore, o moto naturale del cuore che pompa sangue in tutto l’organismo.
Questo fenomeno, di sangue impoverito di ossigeno, per la mancanza di respirazione sufficiente avrebbe provocato l'intossicazione carbonica nel sangue.


venerdì 22 aprile 2011

E' un bene sapere che cos'è per noi cristiani il Venerdì Santo.....

Il VENERDI SANTO  -  La Passione del Signore


Quante e quante volte i nostri occhi si sono posati su un Crocifisso o una semplice croce, in questo mondo distratto, superattivo, superficiale?
Quante volte entrando in una chiesa o passando davanti a delle edicole religiose agli angoli delle strade, sui sentieri di campagna o di montagna, o mettendola al collo sia per devozione, sia per moda, i nostri occhi hanno visto la Croce; quante volte sin da bambini ci siamo segnati con il segno della Croce, recitando una preghiera o guardando il Crocifisso appeso alla parete della nostra stanza da letto, iniziando e terminando così la nostra giornata.
La Croce simbolo del cristianesimo, presente nella nostra vita sin dalla nascita, nei segni del rito del Battesimo, nell’assoluzione nel Sacramento della Penitenza, nelle benedizioni ricevute e date in ogni nostro atto devozionale e sacramentale; fino all’ultimo segno tracciato dal sacerdote nel Sacramento degli Infermi, nella croce astile che precede il funerale e nella croce di marmo o altro materiale, poggiata sulla tomba.
Così presente nella nostra vita e pur tante volte ignorata e guardata senza che ci dica niente, con occhio distratto e abituato; eppure la Croce è il supremo simbolo della sofferenza e della morte di Gesù, vero Dio e vero uomo, che con il Suo sacrificio ci ha riscattato dalla morte del peccato, indicandoci la vera Vita che passa attraverso la sofferenza.

Gesù stesso con le Sue parabole insegnò che il seme va sotterrato, marcisce e muore, per dare nuova vita alla pianta che da lui nascerà.
In tutta la vicenda umana e storica di Gesù, la “Passione” culminata nel Venerdì Santo, designa da sempre l’insieme degli avvenimenti dolorosi che lo colpirono fino alla morte in croce. E questo insieme di atti progressivi e dolorosi prese il nome di “Via Crucis” (pratica extraliturgica, introdotta in Europa dal domenicano beato Alvaro, (†1402), e dopo di lui dai Frati Minori Francescani); che la Chiesa Cattolica, ricorda in ogni suo tempio con le 14 ‘Stazioni’; quadretti attaccati alle pareti, oppure lungo i crinali delle colline dove sorgono Santuari, meta di pellegrinaggi; con edicole, gruppi statuari o cappelle, che invitano alla meditazione e penitenza; in ognuna di queste ‘Stazioni’ sono raffigurati con varie espressioni artistiche, momenti della dolorosa “Via Crucis” e Passione di Gesù; espressione di alta simbologia ed arte, sono ad esempio i Sacri Monti come quelli di Varallo e di Varese, e i celebri Calvari bretoni.

La “Passione” di Gesù cominciò dopo l’Ultima Cena tenuta con gli Apostoli, dove Egli diede all’umanità il dono più grande che si potesse: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, inoltre l’istituzione del Sacerdozio cristiano e la grande lezione di umiltà e di amore verso il prossimo con la lavanda dei piedi dei Dodici Apostoli.
I Vangeli raccontano gli avvenimenti in modo abbastanza preciso e concorde; nella primavera dell’anno 30, Gesù discese con i suoi discepoli dalla Galilea a Gerusalemme, in occasione della Pasqua ebraica, l’annuale “memoriale” della prodigiosa liberazione del popolo ebreo dall’Egitto.
Qui tenne l’Ultima Cena, dove di fatto fu sostituito il vecchio “memoriale” con il nuovo, da rinnovare nel tempo fino al suo ritorno: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi”; “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi”; “Fate questo in memoria di me!”.
Nella “redenzione dal peccato” si deve ricercare in buona parte, il senso della ‘Passione’ di Cristo e di questo trattano i racconti evangelici, nel susseguirsi degli avvenimenti che seguirono l’Ultima Cena; è bene ricordare che lo stesso Gesù preannunziò ciò che sarebbe accaduto ai suoi discepoli per ben tre volte, preparandoli al suo destino di sofferenze e di gloria; in particolare la terza volta (Luca 18, 31-33).
Ma il suo sacrificio, è presentato nei Vangeli anche come l’attuazione della parola dei profeti, contenuta nelle Scritture e si delinea una grande verità, consegnandosi mite e benevole nelle mani di uomini che faranno di lui quello che vorranno, l’”Agnello di Dio” ha preso su di sé e ha ‘tolto’ il peccato del mondo (Giovanni 1,29).
Per questo si nota che nel racconto evangelico della Passione, ogni atto è presentato come malvagio, ingiusto e crudele; anche tutti coloro che intervengono nei confronti di Gesù sono cattivi o meglio peccatori, come una sequenza impressionante dei peccati degli uomini contro di Lui.
È necessario che il male ed il peccato si scateni contro Gesù, portandolo fino alla morte e dando la sensazione di aver vinto il Bene; finché con la Sua Resurrezione alla fine si vedrà che la vittoria finale sul male, è la sua.
La ‘Passione’ si svolge con una sequenza di immagini drammatiche, prima di tutto il tradimento di Giuda, che lo vende e lo denuncia con un bacio nel giardino posto al di là del torrente Cedron, dove si era ritirato a pregare con i suoi discepoli, e dove Gesù, aveva avuto la visione angosciante della prossima fine, sudando sangue e al punto di chiedere al Padre di far passare, se era possibile, questo calice amaro di sofferenza, ma nel contempo accettò di fare la Sua volontà.
Segue l’arresto notturno da parte dei soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei; Gesù subisce l’interrogatorio di Anna, ex sommo sacerdote molto potente e suocero del sommo sacerdote in carica Caifa; poi il giudizio del Sinedrio giudaico capeggiato da Caifa, che formula ad ogni costo un’accusa che consenta la sua condanna a morte, che però per la legge vigente a Gerusalemme, non poteva essere attuata dalle autorità ebraiche.
Nel contempo si concreta il triplice rinnegamento del suo primo discepolo Pietro; poi Gesù viene condotto dal governatore romano Ponzio Pilato, accusato di essersi proclamato re dei Giudei, commettendo quindi un delitto di lesa maestà verso l’imperatore romano.
Nel confronto con Pilato, Gesù afferma la sua Regalità; nonostante che non si ravvisa in lui colpa alcuna, l’attaccamento al potere, la colpevole viltà del governatore, non fanno prendere una decisione a Pilato, che secondo il Vangelo di Luca (23,6) non volendo pronunciarsi, lo manda da re Erode, presente in quei giorni a Gerusalemme; il quale dopo un’inutile interrogatorio e istigato dai sommi sacerdoti e scribi, lo schernisce insultandolo, poi rivestito di una splendida veste lo rimanda da Pilato.
Ancora una volta Pilato titubante chiede al popolo che colpa ha quest’uomo, perché lui non ne trova; alle grida di condanna lo fa flagellare, pensando che così si calmassero, ma questi gridarono sempre più forte di crocifiggerlo; allora Pilato secondo le consuetudini locali, potendo liberare un prigioniero in occasione della Pasqua, chiese al popolo se intendevano scegliere fra Gesù e un ribelle prigioniero di nome Barabba, che aveva molti morti sulla coscienza, ma anche in questa scelta il popolo si espresse gridando a favore di Barabba.
Non potendo fare altro, il governatore simbolicamente si lavò le mani e condannò a morte Gesù, tramite la crocifissione, pena capitale praticata in quell’epoca e lo consegnò ai soldati.

La ‘Passione’ si conclude, dopo la deposizione affrettata per l’approssimarsi della festività del sabato, con la sepoltura del suo corpo mortale in una tomba data da Giuseppe d’Arimatea, anche lui diventato suo discepolo, avvolto in un candido lenzuolo e cosparso degli oli e aromi usuali, poi la tomba scavata nella roccia, venne chiusa da una grossa pietra.
In questo contesto finale s’inserisce l’esistenza e la venerazione per la Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, prova tangibile dei patimenti e del metodo crudele subito da Gesù per la crocifissione.


Dato il poco spazio disponibile, si è dovuto necessariamente essere veloci nel descrivere praticamente la ‘Passione di Nostro Signore’, ma questo storico evento lo si può meditare ampliamente, partecipando ai riti della Settimana Santa, che da millenni la Chiesa cattolica e le altre Chiese Cristiane celebrano.
Aggiungiamo solo che Gesù ha voluto con la sofferenza e la sua morte, prendere su di sé le sofferenze e i dolori di ogni genere dell’umanità, quasi un “chiodo scaccia chiodo”; indicando nel contempo che la sofferenza è un male necessario, perché iscritto nella storia di ogni singolo uomo, come lo è la morte del corpo, come conseguenza del peccato, ma essa può essere trasformata in una luce di speranza, di compartecipazione con le sofferenze degli altri nostri fratelli, che condividono con noi, ognuno nella sua breve o lunga vita terrena, il cammino verso la patria celeste.
Questo concetto e valorizzazione del dolore fu nei millenni cristiani, ben compreso ed assimilato da tante anime mistiche, al punto di non desiderare altro che condividere i dolori della ‘Passione’; ottenendo da Cristo di portare nel loro corpo i segni visibili e tormentati di tanto dolore; come pure per tanti ci fu il sacrificio della loro vita, seguendo l’esempio del Redentore, per l’affermazione della loro fede in Lui e nei suoi insegnamenti.
Ecco allora la schiera immensa dei martiri che a partire sin dai primi giorni dopo la morte di Gesù e fino ai nostri giorni, patirono e morirono violentemente, con metodi anche forse più strazianti della crocifissione, come quello di essere dilaniati vivi dalle belve feroci; bruciati vivi sui roghi; fatti a pezzi dai selvaggi nelle Missioni; scorticati vivi, ecc.
Poi riferendoci a quando prima accennato ai segni della ‘Passione’ sul proprio corpo, solo per citarne qualcuno: Le Stimmate di s. Francesco di Assisi, di s. Pio da Pietrelcina, la spina in fronte di s. Rita da Cascia, ecc.
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata.
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi.
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia.
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni.
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù.
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.
Inoltre la televisione presente ormai in ogni casa, ha riproposto ad un pubblico ancor più vasto le produzioni televisive ed i tanti films con questo soggetto, che per questioni economiche e per la crisi delle sale cinematografiche, non sarebbero stati più visti.
Il Venerdì Santo è il giorno della Croce, di questo simbolo che è di guida ai cristiani e nel contempo tiene lontani altri da questa religione, che per tanti versi ha al suo centro il dolore e la sofferenza, seppure accettata e trasfigurata; e si sa che a nessuno piace soffrire e tutti vorrebbero tendere alla felicità senza prima soffrire.

I soldati con feroce astuzia, posero sul capo di Gesù, schernendolo, una corona di spine pungenti e caricarono sulle sue spalle, già straziate da una lacerante flagellazione, il “patibulum”, avviandosi verso la collina del Golgota o Calvario, luogo dell’esecuzione.
La “Via Crucis” di Gesù presenta alcuni incontri non tutti riportati concordemente dai quattro evangelisti, come l’incontro con Simone di Cirene, obbligato dai soldati a portare la croce di Gesù o a condividerne il peso; l’incontro con le donne di Gerusalemme alle quali dice con toni apocalittici di piangere su loro stesse; l’incontro con la Veronica, le cadute sull’erta salita.
Arrivati sulla cima del calvario, viene dai soldati spogliato delle sue vesti, che vennero tirate a sorte fra gli stessi soldati, poi crocifisso con chiodi alla croce, tortura orribile e atroce, che conduce Gesù alla morte dopo qualche ora, sempre fra insulti e offese, alla fine invece di spezzargli le gambe per accelerarne la morte per soffocamento, essendo già morto, la lancia di un centurione gli perforerà il costato per accertarsene.
C’è ancora tutta una serie di episodi che si verificano prima e dopo la sua morte, come il suicidio di Giuda, lo scambio di parole con i due ladroni, crocifissi anche loro in quell’occasione, lo squarcio del Velo del Tempio di Gerusalemme, il terremoto, lo sconvolgimento degli elementi atmosferici, la presenza ai piedi della Croce di Maria sua madre, di Maria di Magdala (Maddalena), di Maria di Cleofa, madre di Giacomo il Minore e Giuseppe, di Salome madre dei figli di Zebedeo e da Giovanni il più giovane degli apostoli; l’affidamento reciproco fra Maria e Giovanni; le sue ultime parole prima di morire.

giovedì 21 aprile 2011

OMELIA DI PAOLO VI - Giovedì Santo, 15 aprile 1976 - IN «CENA DOMINI»

SANTA MESSA VESPERTINA IN «CENA DOMINI»
OMELIA DI PAOLO VI
Giovedì Santo, 15 aprile 1976



Comunione è la parola che viene alle labbra, se esse devono rompere il silenzio dei cuori compresi dei misteri che stiamo celebrando. Ripensiamo, anzi riviviamo l’ora dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli; un’ora già grave per il suo significato commemorativo, tale da formare la coscienza religiosa e storica del Popolo ebraico, che rievocava, immolando l’agnello, l’esodo avventuroso dalla schiavitù verso una patria da riconquistare e da possedere nella fedeltà al proprio religioso destino, per secoli.
Comunione era l’atmosfera nuova nella quale quella cena pasquale era celebrata: un’atmosfera affettiva intensa e carica di quei sentimenti che superano lo stile della conversazione consueta, per quanto il linguaggio del Maestro mirasse sempre a condurre la comprensione dei suoi discepoli oltre i margini dell’esperienza sensibile e ad invitarla a respirare in una zona superiore di mistero e di trascendente scoperta di verità recondita e di divina realtà. Ma quella sera il livello sentimentale e spirituale è subito così alto da rendere più che mai difficile ai discepoli commensali interloquire a proposito. Ascoltiamo intanto gli accenti estremamente cordiali, che sono in chiave d’apertura dell’effusione discorsiva del Maestro. «Quando fu l’ora, scrive l’evangelista S. Luca, Egli prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (Luc. 22, 15). La cena assume un carattere testamentario: Gesti stesso la definisce l’epilogo della sua vita terrena; Egli dà al convito un carattere conclusivo. Scrive l’Evangelista Giovanni, il prediletto iniziato ai segreti del cuore del Signore: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo ch’era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo d’aver amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Io. 13, 1). Commenta S. Agostino: «Fino alla morte lo portò l’amore» (S. AUGUSTINI In Io. tract. 55, 2: PL 35, 1786); e parimente l’esegesi moderna: «Gesù, che ha sempre amato i suoi, adesso dimostra il suo amore sino in fine, non solo cronologicamente sino alla fine della sua vita, ma molto più intensivamente sino al fine raggiungibile, sino all’estremo limite possibile dell’amore stesso» (G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, 541).
Il grado d’intensità affettiva prodotto dalle parole e dagli atti di Gesù in quel convito rituale, già di per sé atto a svegliare negli animi una forte e comunicativa emozione, cresce durante lo svolgimento della veglia conviviale in scala ascendente: dall’annuncio tanto temuto dai discepoli della prossima morte cruenta del Maestro (Cfr. Io. 11, 16; 12, 24; etc.), ora apertamente asserito, alla scena inattesa e imbarazzante della lavanda dei piedi, compiuta da Gesù dopo la prima parte della cena (Io. 13, 2-17), e poi all’accenno patetico e ormai aperto al tradimento imminente; e quindi, partito dalla mensa il traditore indiziato (Ibid. 13, 26 ss.), un momento di supremo congedo: «Figlioli (così chiama i discepoli! ), ancora per poco sono con voi . . . Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come (come: notate il paragone, notate la misura!), come Io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri» (Ibid. 13, 33-35). Anche qui un rapporto, una comunione rimane, nel costume informatore d’una società compaginata dall’amore. Noi giungiamo così al momento della suprema e misteriosa sorpresa. Riascoltiamo le rivelatrici parole: «Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Matth. 26, 26-28).
Miracolo! Mistero di fede! Noi crediamo al prodigio compiuto! Noi crediamo, come dice il Concilio Tridentino, che Egli, Cristo, «celebrata la Pasqua antica . . . . istituì una nuova Pasqua, immolando se stesso, conferendone alla Chiesa il potere mediante i Sacerdoti, sotto segni visibili, in memoria del suo transito da questo mondo al Padre» (DENZ-SCHÖN., 1741).
Se così è, ed è così, il mistero si irradia davanti a noi, finché avremo capacità di contemplarlo, in un’epifania di comunione.
Comunione con Cristo, Sacerdote e vittima d’un Sacrificio consumato in modo cruento sulla croce, incruento nella Messa, vertice della nostra vita religiosa, dove Egli, mediante la sua parola sacramentale ridotti a semplici segni sensibili il pane ed il vino per convertirne la sostanza nella sua carne e nel suo sangue, offre se stesso, Agnello immolato in olocausto, ristabilendo una comunione di grazia fra gli uomini vivi e defunti, con Dio Padre onnipotente e misericordioso (Cfr. DENZ- SCHÖN., 1743; 3847). Comunione ontologica, teologica, vitale.
Comunione ancora con Cristo, personale, mistica, interiore; comunione bipolare della nostra umile e caduca vita umana e mortale con la Vita stessa di Cristo, ch’è Lui stesso Vita per definizione (Io. 14, 6), e che ha detto di Sé: «Io sono il Pane della Vita» (Ibid. 6, 35-49 et 51), così che risuonano nella nostra profonda coscienza le parole della comunione più intima, coesistenziale: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal. 2, 20). Chi può mai misurare la fecondità di questa comunione interiore, che ha Cristo maestro, lo ha via, verità e vita (Io. 14, 6), lo ha come linfa d’un albero ai suoi tralci fiorenti e fruttiferi? (Ibid. 15, 1 ss.)
Comunione inoltre d’ineffabile efficacia sociale, principio cioè valido per cementare nell’unità soprannaturale ma altresì ecclesiale e comunitaria del Corpo mistico di Cristo quanti del pane eucaristico si alimentano. Lo insegna ancora S. Paolo: «Il calice della benedizione che noi consacriamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor. 10, 16-17).
Comunione allora nello spazio della terra e nella dimensione dell’umanità credente e partecipante al divino banchetto, dovunque sia regolarmente celebrato: tutti vi sono invitati dal Signore stesso: compelle intrare, spingili ad entrare! c’insegna la parabola evangelica (Luc. 15, 23). Il fatto stesso che Cristo ha reso possibile, mediante il ministero dei sacerdoti, di moltiplicare questo benedetto pane eucaristico, ch’è Lui stesso, l’Emmanuele, il Dio con noi che accompagna gli uomini per tutti i loro sentieri, e tutti chiama con voce pentecostale alla sua unica Chiesa, non rende forse evidente alla più semplice osservazione la sua divina intenzione di comunione universale? Ut omnes unum sint, perché tutti siano una cosa sola! così pregò Cristo in quella notte profetica, dopo l’ultima cena.
E non si aggiunge forse a questa un’altra comunione, quella nel tempo, quella della permanenza di Gesù Cristo con noi, quella della tradizione vivente nei secoli, comunione coerente, fedele, vittoriosa del tempo che passa divorante, perché questo miracolo eucaristico è destinato, come scrive S. Paolo, a durare donec veniat, finché Egli, Cristo, ritorni (1 Cor. 11, 26), il giorno finale della parusia? E proprio così aveva dichiarato Cristo stesso, come ce lo dicono le ultime parole del suo Vangelo: «Ecco Io sono con voi ogni giorno fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20).
A questo punto la nostra meditazione, che indaga sulla comunione polivalente, risultante dal mistero eucaristico, diventa curiosa di calcoli e di statistiche. Se Cristo è il centro, nel sacramento del suo sacrificio, che attrae tutti a Sé (Cfr. Io. 12, 32), viene spontanea la domanda: sono davvero tutti affascinati ed attratti a questa comunione con Lui? Quanti siamo noi compaginati nell’unità di cui Egli ci lasciò la sua testamentaria aspirazione? (Ibid. 17) E siamo veramente in quell’unità di fede, di amore e di vita ch’è nel desiderio sovrano e misericordioso di Gesù, disposti a fare dell’unità interiore della Chiesa e nella Chiesa la nostra aspirazione costitutiva, il nostro programma di vita ecclesiale? è davvero e sempre soffio di Spirito Santo quello che spesso con spinta centrifuga e ambizione individualista rallenta e talora infrange i vincoli della nostra benedetta comunione nel corpo visibile e mistico di Cristo? Non è questo il giorno, il momento di lasciar cadere ogni egoistica riserva alla riconciliazione fraterna, al perdono reciproco, all’unità dell’umile amore? Possiamo noi far giungere ai figli lontani un affettuoso richiamo per il loro ritorno alla mensa spirituale comune? Quale fervore missionario nasce in noi dalla celebrazione di questo Giovedì santo! quale spirito fraterno, quale zelo pastorale, quale proposito d’apostolato! quale speranza di comunione cristiana!
E non avremo noi, in questa sera beata, un pensiero, un saluto, una preghiera ecumenica per tanti fratelli cristiani tuttora da noi separati?
E per tutti gli uomini sofferenti o affamati di verità, di giustizia e di pace, ma con gli occhi annebbiati nella loro insoddisfattta ricerca, non potremo noi ricordare, almeno nella preghiera interiore, l’invito sempre loro rivolto da Colui che solo li può esaudire: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»? (Matth. 11, 28) La Chiesa è una comunione!
Così sia, così sia, con la nostra cordiale Benedizione.

Giovedì Santo in "Coena Domini"

«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15), dice Gesù ai suoi discepoli all'inizio della sua ultima cena prima di morire. In verità, per Gesù, è un desiderio di sempre; e anche quella sera vuole stare con i suoi; quelli di ieri e quelli di oggi, noi compresi. È il suo ultimo giorno di vita, la sua ultima sera, l'ultima volta che sta con i suoi discepoli: se li era scelti, li aveva curati, li aveva amati, li aveva difesi. Gesù ha appena trentatré anni; è nel pieno della vita. Eppure, tra meno di ventiquattr'ore giacerà nel sepolcro. Questa sera il Signore desidera ardentemente stare con noi. E noi? Desideriamo stargli vicino, almeno un poco? Sappiamo offrirgli quel poco di compagnia e di affetto di cui è ancora capace il nostro cuore? Se guardiamo in faccia la realtà, c'è da dire che è stato sempre lui a fare di tutto per starci vicino, per legarci al Vangelo. Quante volte - come canta un antico inno «quaerens me, sedisti lassus?» («Quante .volte, Signore, ti sei seduto stanco, per la fatica di rincorrermi?»). Questa sera, l'ultima della sua vita, Gesù continua, in un supremo slancio di amore, a legarsi definitivamente ai discepoli.

Abbiamo ascoltato dalle sante Scritture che si mise a tavola con i Dodici, prese il pane e lo distribuì loro dicendo: «Questo è il mio corpo, spezzato per voi». La stessa cosa fece con il calice del vino: «Questo è il mio sangue, sparso per voi». Sono le stesse parole che ripeteremo tra poco sull'altare, e sarà lo stesso Signore a invitare ciascuno di noi a nutrirsi del pane e del vino consacrati. Potremmo dire che Gesù ha «inventato» l'impossibile (del resto l'amore vero non sa creare cose impossibili?) per restarci accanto, per continuare a essere vicino ai discepoli di ogni tempo. Non solo vicino, addirittura dentro i discepoli: diviene cibo per noi, carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento disceso dal cielo per noi, uomini e donne pellegrini per le vie di questo mondo. Quel pane e quel vino sono medicina e sostegno per la nostra povera vita: curano le malattie, ci liberano dai peccati, ci sollevano dall'angoscia e dalla tristezza. Non solo. Ci rendono più simili a Gesù, ci aiutano a vivere come lui viveva, a desiderare le cose che lui desiderava. Quel pane e quel vino fanno sorgere in noi sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore, di perdono. Appunto, i sentimenti di Gesù.

La scena evangelica della lavanda dei piedi, che questa sera ci è stata annunciata, mostra che cosa significa per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti. A cena inoltrata, Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugatoio, poi prende un bacile con dell'acqua, si dirige verso uno dei Dodici, si inginocchia davanti a lui e gli lava i piedi. E fa così con ogni discepolo, anche con Giuda che sta per tradirlo; Gesù lo sa bene, ma si inginocchia ugualmente davanti a lui e gli lava i piedi. Pietro forse è l'ultimo. Appena vede giungere Gesù accanto a lui subito reagisce: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Povero Pietro, non ha ancora capito nulla! Non ha compreso che a Gesù non interessa quella dignità che il mondo vuole e spasmodicamente cerca. Gesù, ancora una volta, glielo spiega: «Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve» (Le 22,27). Gesù ama i suoi discepoli e ognuno di noi con un amore sconfinato, nel senso letterale del termine, davvero senza fine. La dignità per Lui non è nel restare in piedi, diritto, davanti ai suoi; la sua dignità è nell'amare i discepoli sino alla fine, nell'inginocchiarsi sino ai loro piedi. È la sua ultima grande lezione da vivo: «Sapete ciò che vi ho fatto? - dice alla fine della lavanda. - Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,12-15).

Il mondo educa a stare in piedi ed esorta tutti a restarci. E se manca lo spazio, giustifica le spinte che cacciano fuori chi ci ostacola o ci è di impedimento. Il Vangelo del giovedì santo esorta i discepoli a chinarsi e lavarsi i piedi gli uni gli altri. È un comando nuovo. Non lo troviamo tra gli uomini. Non nasce dalle nostre tradizioni, tutte ben solidamente contrarie. Tale comando viene da Dio; è un grande dono che questa sera riceviamo. Gesù l'ha applicato per primo. Beati noi se lo comprendiamo! Nella santa liturgia di questa sera la lavanda dei piedi è solo un segno, una indicazione della via da seguire: lavarci i piedi gli uni gli altri, a partire dai più deboli, dai malati, dagli anziani, dai più poveri, dai più indifesi. Il giovedì santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di stare in piedi, diritti, fermi nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. È una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Il giovedì santo è davvero un giorno umano: il giorno dell'amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti sono suoi amici, anche chi lo sta per tradire. Da parte di Gesù nessuno è nemico, tutto per lui è amore. Lavare i piedi non è un gesto, è un modo di vivere.

Terminata la cena, Gesù si incammina verso l'orto degli Ulivi. Da questo momento non solo si inginocchia sino ai piedi dei discepoli, scende ancora più in basso, se è possibile, per dimostrare il suo amore. Nell'orto degli Ulivi si inginocchia ancora, anzi si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l'angoscia. Lasciamoci coinvolgere almeno un poco da quest'uomo che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermiamo davanti al sepolcro, diciamogli il nostro affetto e la nostra amicizia. Quanto sono amare quelle parole che disse ai tre che stavano con lui nell'orto: «Così non siete stati capaci di vegliare un' ora sola con me? (Mt 26,40). Oggi, più che noi, è il Signore ad aver bisogno di compagnia e di affetto. Ascoltiamo la sua implorazione: «L'anima mia è triste sino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt 26,38). Chiniamoci su di lui e non facciamogli mancare la consolazione della nostra vicinanza. Signore, in quest'ora, non ti daremo il bacio di Giuda; ma come poveri peccatori ci chiniamo ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continuiamo a baciarli con affetto.
Prima Lettura: Esodo 12,1-8.11-14

Salmo: 115

Seconda Lettura: 1 Corinzi 11,23-26

Vangelo: Giovanni 13,1-15

lunedì 18 aprile 2011

Presentazione della SETTIMANA SANTA


L’origine della Settimana Santa è nella liturgia. La liturgia rende possibile al cristiano il rivivere
i misteri della vita di Cristo. La vita di Cristo ha un mistero centrale: la passione, la morte e la
resurrezione di Gesù. In questo senso il nucleo centrale della Settimana Santa sono il
Giovedì, il Venerdì e la Domenica. Gesù Cristo che patisce, muore e risuscita. Il resto della
Settimana Santa è stato come il dilatarsi di questi tre giorni, perché dentro la Settimana Santa
potessero ritrovarsi anche tutti gli altri aspetti della vita di Cristo e della vita dell’uomo. Essa
era chiamata Settimana Maggiore perché tutte le altre settimane dell’anno devono avere un
punto di riferimento ideale. Ciò che è quotidiano, abituale e banale ha bisogno di specchiarsi
in qualcosa che venga dall’alto e che dia senso a tutto. La Settimana Santa cade sempre in
momenti diversi dell’anno: aprile, marzo, sempre in corrispondenza della Pasqua giudaica,
fissata nella prima domenica successiva alla prima luna piena di Primavera nell’emisfero
Nord. Questo è interessante perché ci mostra anche una vita diversa della natura. Dopo il
freddo, l’inverno, lo spogliarsi della natura stessa, comincia una vita nuova. E’ una cosa sola
con la vita nuova di Cristo, che nel mistero della Resurrezione recupera la sua vita e torna
vittorioso.
Settimana Santa e Misticismo.
Si parla di misticismo ed è giusto, perché la mistica è l’esperienza del Mistero di Dio. Non è
un’esperienza solo intellettuale, ma coinvolge tutti i nostri sensi. Nella Settimana Santa tutti i
sensi sono coinvolti : la nostra vista i colori differenti, il viola, le figure bibliche, i cortei; ..
l’udito: le musiche diverse dal resto dell’anno, alcune dolorosissime che aiutano ad entrare
nel clima, le
rosmarino e delle altre erbe aromatiche , il gusto dei cibi speciali preparati per l’occasione,
che non si mangiano nel resto dell’anno.
Il tatto: i nastri che pendono dalle immagini dei santi, le portantine e i baldacchini che
vengono portati, i baci che si danno a quei nastri, è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi,
ma allo stesso tempo è un’esperienza del Mistero, la sfida è oltrepassare i sensi per
immergersi in Dio Riguardo a questo aspetto mistico la Settimana Santa è una festa, la festa
dell’incontro con Dio e con le persone, perfino il Venerdì , con la tragedia della morte di
Cristo, è una festa, perché la tradizione ci rimanda tutto questo.
Noi non siamo per il tradizionalismo, ma per la tradizione.Tradizione vuol dire consegnare agli
amici, ai figli quella che è stata per noi un’esperienza buona. Vogliamo che la Settimana
Santa sia vissuta così.

matracas al posto delle campane; perfino l’olfatto: il basilico, il profumo del
DOMENICA DELLE PALME
La Domenica delle Palme è l’anticipazione della festa della Resurrezione che avverrà la
Domenica di Pasqua.
Immaginiamo Gesù che entra a Gerusalemme in groppa all’asinello e il popolo che l’accoglie
in festa. Voglio sottolineare due cose in questa scena : primo, l’attesa del popolo . L’attesa
costituisce il cuore dell’uomo, tutti noi aspettiamo. Aspettiamo qualcosa di meglio, che ci dia
felicità e soddisfazione. Il popolo d’Israele ha trovato un oggetto per la sua attesa: il Re,
Cristo come Re. Qualcuno come punto di riferimento per la via, il re è il simbolo ..di un popolo
di una cultura.
Il popolo aspetta un Re. E tu cosa stai aspettando? Continui ad aspettare o ti sei già
stancato?
Lunedì santo
Il Lunedì non ha nulla di particolare nella liturgia, però la tradizione popolare a partire dal
Barocco di Minas vi ha messo una processione, quella della Deposizione dell’immagine della
Madonna dei Dolori. La madre non tradisce Gesù come Giuda, come gli altri, ma prende su
di sé il suo dolore.
Nostra Signora dei Dolori è caratteristica del Barocco. Il Barocco ha sempre vissuto
fortemente la questione del dolore. E’ nato perfino come reazione di fronte alle scoperte e ad
un senso di delusione dell’epoca, ad un riflusso della fede . E l’esperienza di ogni giorno è
drammatica, è dolorosa. La Madonna dei Dolori
della deposizione della madre
, Oltre a questo, si danno alla Madonna altri nomi: della
della Pietà. Qualunque sia il titolo con cui chiamiamo la Madonna della Settimana Santa,
sempre ci troviamo di fronte al cuore e alla Dignità di una madre
Soledad (quella che cerca il Figlio) e
Martedì Santo
Il martedì santo nelle città di Minas Gerais si fa la processione della Deposizione
dell’immagine del Signore dei Passi: Cristo che porta la croce. Egli carica la sulle spalle la
croce, ossia la nostra vita: assumendo la condizione umana, assume anche le nostre
avventure, i desideri, i nostri impegni, le nostre contraddizioni. E mentre porta la croce ci
guarda. Immaginate come Cristo guardava le persone; nel suo sguardo c’era tutto il desiderio
che esse fossero felici. Il suo sguardo mentre porta la croce è una delle immagini più
drammatiche e suggestive di tutta la storia dell’arte . Ricordate per esempio il Cristo di
Congonhas (statua lignea del grande scultore Alejadinho nell’importante santuario di Minas.
NdT.) . Immaginate anche lo sguardo delle altre persone: Veronica, Maddalena, le pie
donne… L’insegnamento più importante che possiamo trarre da questa processione è
proprio questo scambio di sguardi, guardare Lui e poter dire “Tu” a Cristo.
La processione di oggi è la Processione dell’Incontro, ll’incontro della Madre con il Figlio.
L’incontro è qualcosa di fondamentale nella vita: io sono me stesso quando incontro un altro,
al di fuori dell’incontro con gli altri io non riesco a sapere chi sono. Il rapporto è indispensabile
perché io abbia un’immagine di me stesso, per avere coscienza della mia identità. Fuori
dall’incontro non esiste l’identità, nè la persona, invece nell’incontro con Cristo io trovo la mia
consistenza e nell’incontro con gli altri riconosco chi sono. E nell’incontro con Cristo posso
dire: “Io sono Tu che mi fai”, come dice una bellissima poesia.
La vita è piena di incontri , quanti incontri e non incontri hai fatto oggi, nella tua settimana,
nella tua vita? L’importante è , in tanti incontri, riconoscere l’Incontro.
Giovedì Santo
La mattina del Giovedì Santo la Chiesa pone una cerimonia speciale, unica durante l’anno: la
Messa con la benedizione dei Santi Olii, quelli che serviranno per ungere i catecumeni,
coloro che saranno battezzati, l’olio per ungere coloro che fanno la Cresima, l’olio degli
infermi. L’origine degli olii è nelle unzioni che venivano fatte nell’Antico Testamento: il
sacerdote, il re, il profeta erano unti. E’ un momento importante perché è proprio dalla
Passione di Cristo che scaturisce la Grazia che i Santi Olii distribuiscono alle persone.
Un’altra cosa che succede la mattina del Giovedì, è che durante questa Messa, i preti
rinnovano le promesse del loro sacerdozio. E’ importante perché nella fedeltà dei sacerdoti si
consolida anche la fedeltà del popolo.
La Messa del pomeriggio ricorda la prima Messa, anzi non ricorda, ma è il riaccadere, di
nuovo, della Prima Cena di Cristo. Il primo Giovedì Santo nacque l’Eucarestia, nacque la
Messa: la donazione, il servizio, la comunione sono le caratteristiche principali di questo
momento che Cristo ha voluto vivere coi suoi amici prima di essere assassinato.. Quante
cene abbiamo fatto anche noi, e molte volte non includevano questa donazione, questo
servizio, questa comunione! Ma a volte li includevano..L’importante è che l’incontro con
Cristo, che si offre a noi in questa Cena, diventi un giudizio sulla nostra vita. Cos’ha a che
vedere l’Eucarestia con la mia vita? Come l’agire di Cristo c’entra con la mia vita?

Venerdì Santo
Il Venerdì è il giorno della morte di Cristo. La morte è l’esperienza del limite nel suo punto più
alto, quel limite con cui ogni giorno ci scontriamo: la morte di qualcuno, l’incapacità nostra di
realizzare qualcosa, gli amici che tradiscono e il limite della monotonia, tanto simile alla
morte . Ogni giorno facciamo l’esperienza della morte , perché la morte è il grande limite della
vita . E’ importante che l’esperienza del limite ci renda solidali, così come ci insegna la gente,
perfino nei funerali. Quanta solidarietà, quanta solidarietà nella malattia!. Facciamo in modo
imparando dal limite possiamo diventare solidali e guardare a Colui che ha vinto il limite
perché ha vinto la morte.

Sabato Santo
Oggi non c’è nulla nella liturgia; Gesù Cristo è sepolto, la liturgia non esiste. E’ il giorno del
silenzio, il silenzio di Dio che non parla più. O perlomeno crediamo che Dio non stia
parlando…
Il silenzio è un sacrificio, ma nel silenzio riusciamo a percepire gli altri. Quando io riesco a far
sì che la mia persona non sia così piena di rumore e preoccupazioni che finalmente lascio
che gli altri entrino dentro di me. Secondo le parole di S. Agostino: “E’ quando mi accorgo
che Dio è più intimo a me di me stesso”, cioè Lui è più io di me stesso. Bisogna fare
l’esperienza del silenzio per capire questo , per imparare a percepire più che i limiti, la
presenza di Colui che vince i limiti.
Il silenzio esige libertà, solo quando ti senti libero con un’altra persona, riesci a stare in
silenzio per alcuni minuti, se no bisogna riempire il vuoto con qualcosa.
La verità non è velata da parole , la verità è sempre più esposta dentro il silenzio.

VIGILIA PASQUALE
La Vigilia Pasquale è la grande celebrazione in cui sui riuniscono tutti i simboli e gli
avvenimenti dell’anno liturgico. Comincia con la liturgia del fuoco, in cui il fuoco nuovo è
benedetto, il fuoco è sempre stato considerato uno dei principi della realtà. Con il fuoco nuovo
si accende il grande cero pasquale, che accende tutte le candele: rappresenta Cristo, il
grande cero accende tutte le candele, cioè la presenza di Cristo accende la fede di tutte le
persone presenti. E poi l’”Exultet”, canto di gioia per la Resurrezione di Cristo e il ripercorrere
tutta la storia del popolo d’Israele.
Infine la benedizione dell’acqua, un altro principio di vita, nell’acqua tutto rinasce e si
purifica.Vedete che in questa notte di Pasqua, dentro la risurrezione di Cristo, tutto riassume
una vita nuova.
DOMENICA di PASQUA
Nella tradizione dell’entroterra di Minas la domenica di pasqua si fanno due processioni. Una
è quella del Santissimo Sacramento. E’ interessante perché, più che portare un’immagine
del Cristo, si porta in processione Cristo stesso. Cristo non resta come un’immagine in più nel
sacrario, ma una presenza reale, quotidiana e costante ed è portato in giro per le strade
perché tutti possano incontrarLo.
La seconda processione è quella del trionfo della Madonna. Lei che ha atteso, che ha
soffert.e amato, ora trionfa insieme a Cristo vittorioso. E noi?
La settimana santa è tutta piena di segni e di simboli. Se volessimo riassumere in una parola
la relazione tra il mondo e Dio, potremmo dire che il mondo è segno di Dio. Si chiama segno
una cosa che ne indica un’altra. Il segno è qualcosa che non avrebbe spiegazione senza
implicare l’esistenza di un’altra realtà. Senza quest’altra realtà lo sguardo che si ha sulla
prima non sarebbe integralmente umano o non si esaurirebbe la considerazione della prima,
senza ammettere la seconda.
Supponiamo che qualcuno, camminando in un luogo deserto, udisse un grido improvviso:
“Aiuto!” La sua considerazione del fatto non potrebbe fermarsi a dire che i suoi orecchi sono
stati percorsi da un suono, da una vibrazione. Il cervello umano scopre in quella vibrazione
un significato che obbliga ad intuire che c’è un uomo in pericolo a cui bisogna portare aiuto.
Non sarebbe ragionevole interpretare quel grido solo considerandolo per la vibrazione che
l’udito percepisce nell’immediato.
Così Dio non si rende evidente nel senso immediato del termine attraverso la realtà. Se
questa evidenza esistesse ogni uomo sarebbe obbligato ad affermarLo in modo irresistibile,
Al contrario, richiamando la nostra attenzione attraverso un segno, Dio non si impone a noi ,
ma si propone, è discreto. Riconosciamo attraverso i tanti simboli della Settimana Santa
questo Dio che si propone con discrezione ai nostri occhi.
I SEGNI
Abbiamo bisogno di segni per comunicare con gli altri. Anzi, tutta la realtà ha bisogno di
segni, anche le formiche, gli animali per comunicare tra loro.
La Chiesa insiste sui segni, perché è necessario fare un’esperienza sensibile di tutto ciò che
succede. I sacramenti che la Chiesa pone nell’esperienza di tutti i giorni sono segni, ma segni
efficaci, cioè che producono Grazia. La Settimana Santa può essere l’occasione di imbattersi
in tanti segni che possano produrre in noi l’incontro con Dio, la grazia di una vita nuova.
Uno dei segni più usati nella Settimana Santa è l’albero.
L’albero
I riferimenti all’albero sono molti: l’albero della Vita, l’ albero del giardino, di cui leggiamo
nelle letture del Sabato Santo; i rami d’albero della Domenica delle Palme; l’albero in cui
Giuda si è impiccato; gli alberi dell’Orto degli Ulivi, l’albero della Croce. Perché lo stesso
simbolo ha tante interpretazioni diverse? E’ la ricchezza dell’esperienza umana che ci fa
avvicinare allo stesso oggetto in modi differenti. E’ interessante, perché.da un lato l’oggetto
stesso ci impone il modo corretto per avvicinarci a lui, dall’altro lato, possiamo vivere i vari
aspetti della vita in modo autentico, scoprire ciò che è vero in ogni cosa e in ogni momento
L’olio
L’olio è un altro oggetto molto presente nella Settimana Santa.. Il segno dell’olio ha la sua
origine nell’unzione tanto usata nell’antichità: per i muscoli , per guarire le ferite per rendere il
corpo più pronto alla lotta. Anche sul lavoro l’olio era molto usato e anche per il condimento;
c’erano infine gli olii per l’imbalsamazione.
L’uso degli olii è molto importante perché non nasce da un’idea, da un’ideologia della Chiesa,
ma essa ha assunto questa forma normale che le persone avevano di usare l’olio, rendendo
sacro ciò che era normale e quotidiano, per questo possiamo riconoscere nel nostro
quotidiano delle potenzialità enormi e accorgerci che tutto è davvero sacro quando
riconosciamo in tutto la presenza di Dio.
Il digiuno
Forse ti sei chiesto perché durante la Quaresima e il Venerdì Santo la Chiesa insiste sul
digiuno o almeno sull’astinenza dalle carni . Serve per ricordarci qual è il centro della vita. Il
senso è di un sacrificio, che significa rendere sacro. Quando sacrifichiamo qualcosa la
rendiamo sacra.
Il digiuno è lì come un allenamento attraverso cui possiamo riconoscere sempre quello per
cui in fondo vale la pena vivere.
I canti
Durante la Settimana Santa i canti e la musica in generale sono di una ricchezza
impressionante. Alcune composizioni sono più importanti perché la bellezza attrae in una
forma che a ognuno di noi viene voglia di dire: “Guarda, fa come io avrei voluto fare, come
vorrei fare anch’io”. E’ la Verità espressa in una forma che attrae, che emoziona, , che tocca
la mia affettività. E’ per questo che l’arte e tutte le varie espressioni dello spirito umano hanno
un punto più alto e il punto più alto è quello in cui Cristo soffre, muore e resuscita .L’arte ,
come dicevano gli antichi, è lo splendore della verità
Facciamo sì che l’espressione artistica della musica, dei vestiti o delle pitture o di quello che
noi possiamo vedere in questa Settimana Santa sia un modo di avvicinarci sempre più alla
verità della nostra vita.