lunedì 27 dicembre 2010

AD IMMAGINE DI DIO [Storia di Emanuele]


[Storia di Emanuele]
In una famiglia cristiana della re­gione parigina, i1 20 novembre 1970, viene alla luce un bambino che sarà battezzato con il nome di Emanue­le. Un fratello, Vincenzo, ed una so­rella, Anna, lo hanno preceduto. La nascita provoca un tripudio di gioia in tutta la famiglia. Il babbo, Signor D., si reca tutte le sere alla maternità, suoi due tesori: la mamma ed Ema­nuele; e, ogni volta, la stessa felicità, sempre nuova, si ripete.

"Non sa poppare"

Tre giorni dopo, il Signor D. si af­fretta alla volta della clinica, con un mazzo di fiori. Il cuore accelera i bat­titi, proprio come la prima volta. Ec­colo sulla soglia della stanza. Ma lì, è come inchiodato sul posto: dal let­to, la moglie gira verso di lui un vol­to inondato di lacrime. Le si precipita accanto. Essa lo guarda fissamente, gli tende le braccia, con la voce stroz­zata dal pianto, balbetta: "Nostro fi­glio non è normale!". Istintivamen­te, lo sguardo del padre si dirige ver­so la culla in cui è adagiato il neona­to, che dorme profondamente. "Non vedo nulla di anormale; te l'ha det­to qualcuno? Chiede alla moglie. - No, nessuno; ma lo so, lo sento, non si muove, non piange, non sa pop­pare". I coniugi rimangono insieme per tutto il pomeriggio, accanto al bam­bino. Il giorno seguente, la Signora D. si decide a farlo esaminare da un pediatra. Lo specialista interroga be­nevolmente la moglie, poi il marito, e comincia con molta calma una vi­sita del piccolo, lunga e meticolosa. L'attesa è un supplizio per i genito­ri. Finalmente, il medico gira verso di essi uno sguardo pieno di amici­zia, di carità. Commenta con deli­catezza la propria diagnosi, prima di giungere alla conclusione: "Vo­stro figlio non sarà come gli altri". Con estrema dolcezza, apprende lo­ro che Emanuele è affetto da triso­mia 21..., è "mongoloide". La prima intuizione della mamma era giusta.

Gli vorremo bene come agli altri!

Il Signor D. deve informare la fa­miglia. Di ritorno a casa, trova i non­ni, gli zii, le zie di Emanuele, che so­no venuti per avere notizie. Egli non riesce a contenere le lacrime e bal­betta: "Mongoloide". La costerna­zione è generale. Poi, ci si riprende, e la stessa frase spunta su tutte le lab­bra: "Gli vorremo bene... come agli altri". "Gli altri", Vincenzo ed An­na, sono anch'essi presenti, e sono perfettamente d'accordo: "Si, gli vor­remo bene, sì, gli vorrò bene!". "Gli vorremo bene!". Risposta me­ravigliosa, che è luce per il nostro mondo. L'atteggiamento cristiano della famiglia di Emanuele contra­sta con il rigetto, tanto frequente ahimè, nelle nostre società, del figlio minorato, inadatto - si ritiene - ad essere felice ed a rendere felici gli al­tri. Papa Giovanni Paolo II constata a questo proposito: "Ci troviamo di fronte ad una realtà caratterizzata dalla preponderanza di una cultura contraria alla solidarietà, che si pre­senta in molti casi come una vera e propria 'cultura di morte' ... A cau­sa della sua malattia, della sua me­nomazione, colui che compromette il benessere o le abitudini di vita di coloro che sono più avvantaggiati, tende ad esser considerato come un nemico da cui ci si deve difendere o che bisogna eliminare. Si scatena in questo modo una specie di cospira­zione contro la vita" (Enciclica Evan­gelium vitx,12). Il rifiuto di accogliere e di lasciar vivere quelli che ci in­tralciano (il bambino concepito ma "non desiderato", la persona mino­rata, o anziana, l'ammalato allo sta­dio terminale... ) manifesta una profonda ignoranza del valore di ogni vita umana. Perché ogni vita umana costitui­sce un bene? La Sacra Bibbia forni­sce, fin dalle prime pagine, una ri­sposta energica e ammirabile a que­sta domanda. La vita che Dio dà al­l'uomo è diversa e distinta da quel­la di qualsiasi altra creatura viven­te. Solo la creazione dell'uomo è pre­sentata come il frutto di una deci­sione speciale da parte di Dio: al ter­mine dell'opera della creazione del mondo, Egli decreta solennemente: Facciamo l'uomo a nostra immagi­ne, secondo la nostra somiglianza (Gen. 1, 26). È conferita all'uomo un'elevatissima dignità, le cui radi­ci si immergono nel legame intimo che lo unisce al suo Creatore: ri­splende nell'uomo un riflesso della realtà stessa di Dio (Evangelium viti, 34). Tale riflesso non è cancellato dal­la menomazione mentale.
Non ti dimenticherò mai!
Poiché è ad immagine di Dio, unico fra tutte le creature visibili ad essere dotato di intelligenza e di volontà li­bera, l'uomo è capace di conoscere e di amare il proprio Creatore. È chia­mato ad entrare in comunicazione personale d'amore con Lui, anche se, per un certo tempo, o addirittura per tutta la vita terrena, tale rela­zione è resa difficile o misteriosa. Proviamo a capire quanto sia tene­ro l'amore di Dio, diceva Madre Te­resa di Calcutta. Poiché Lui medesi­mo dice nella Sacra Scrittura: Anche se una madre potesse dimenticare suo fi­glio, io non potrò dimenticarti. Ecco, ti ho inciso sulla palma della mia mano (Is. 49,15-16). Quando ti senti solo, quando ti senti respinto, quando sei ammalato e dimenticato, ricordati che per Lui sei prezioso. Hai una grande importanza per Lui". L'importanza di ogni persona per Dio ci è manifestata ancora di più at­traverso l'opera della Redenzione, il riscatto dei peccati: In questo sta l'a­more: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha manda­to suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 Giov. 4,10). "Con­templando il sangue prezioso di Cri­sto, il credente impara a riconosce­re e ad apprezzare la dignità quasi di­vina di ogni uomo; può esclamare, con un'ammirazione ed una grati­tudine sempre rinnovate: Che valo­re deve avere l'uomo per il Creato­re se ha meritato di avere un simile e tanto grande Redentore (Exultet della liturgia pasquale), se Dio ha da­to suo Figlio affinché lui, l'uomo, non perisca, ma abbia la vita eterna! (Giov. 3,16)" (Evangelium viti, 25).

"Figlio di Dio, totalmente"

La vita che il Figlio di Dio è venu­to a dare agli uomini non si riduce al­la sola esistenza nel tempo. È desti­nata a durare per tutta l'eternità. L'a­postolo San Giovanni scrive: Consi­derate quale ineffabile amore ci ha do­nato il Padre; che ci chiamano figli di Dio. E lo siamo! Carissimi noi siamo fin d'ora figli di Dio, ma non è stato anco­ra manifestato quello che saremo. Sap­piamo che quando ciò verrà manifesta­to, saremo simili a Lui, perché lo vedre­mo quale Egli è (1 Giov. 3,1-2 ). Il nonno di Emanuele mette in ri­salto questa verità quando scrive: 'Il Battesimo dei miei figli (e nipo­tini) è stato ogni volta per me un mo­mento importante. Mi sembra che attualmente si metta l'accento sul­l'entrata nella Chiesa'. D'accordo. Ma, quanto a me, ci vedo soprattut­to la vera nascita del figlio della no­stra carne alla Vita stessa di Dio. Emanuele non avrà lo sviluppo in­tellettuale, né le capacità fisiche de­gli altri bambini. Ma qui, lo so, lo sento, non vi è nessuna inferiorità; ec­colo figlio di Dio, totalmente, la ma­lattia non ha nessun potere contro questa dignità essenziale". Così, "la verità cristiana relativa alla vita raggiunge la sua pienezza. La dignità della vita non è legata sol­tanto alle sue origini, al fatto che vie­ne da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino, che è quello di essere in comunione con Dio, per co­noscerlo ed amarlo" (Evan­gelium viti, 38). Tale comu­nione d'amore non è riser­vata ad una élite di uomini perfettamente costituiti. Si estende an­che a tutti i "poveri" di corpo o di spirito. "I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti ri­sorgono, la Buona No­vella è annunciata ai po­veri (Luca 7, 22). Con queste parole del profe­ta Isaia, GESÙ spiega il sen­so della sua missione: così, coloro che soffrono di una for­ma di menomazione nella loro esistenza, sentono, annunciata da lui, la Buona Novella della solleci­tudine di Dio per loro ed hanno la conferma che anche la loro vita è un dono gelosamente tenuto in mano dal Padre (Matt. 6,25-34) " (Ibid., 32).

Superare i propri limiti

Carissimi, poiché Dio ci ha amati tan­to, anche noi dobbiamo amarci scam­bievolmente (1 Giov. 4,11). La paziente educazione di Emanuele è tutta pie­na dell'amore cui ci esorta San Gio­vanni. Essa presuppone un'infor­mazione esatta sulla natura della menomazione del bambino. Il pro­fessor Jérôme Lejeune, che ha sco­perto nel 1959 la causa della triso­mia 21, spiega che questa malattia non è né una tara razziale, né una conseguenza della sifilide, dell'al­colismo o della cattiva qualità del cervello dei genitori, come si ritene­va fino a quel momento: è un'aber­razione cromosomica. Il bambino "mongoloide" possiede tutti gli or­gani, tutto l'insieme genetico pro­prio all'uomo, senza "errori nella pianta della costruzione"; egli pre­senta unicamente un eccesso di informazione genetica, perché le sue cellule possiedono, per un'aberra­zione, un cromosoma di troppo. Si tratta di una malattia che ostacola lo sviluppo delle facoltà intellettuali, senza le­dere la memoria né l'affettività di colui che ne è colpito. La medicina non dispera di poter un giorno gua­rire le vittime di questo male. Come la maggior parte dei triso­mici, Emanuele si distingue per l'in­dolenza. Ma la Signora D. non si ras­segna a tale fatalità: con tenacia, lo in­cita a superare i propri limiti. Quan­do cade in avanti, non ha l'idea di proteggersi la testa con le mani. La mamma gli insegna a cadere, su un materasso, mettendo avanti le brac­cia, finché egli acquisisce l'automa­tismo. Per farlo camminare, gli pren­de prima un piede, poi l'altro, fa­cendolo trattenersi alla parete; e ciò, per giorni e giorni, fino a quando cammina da solo: miracolo di pa­zienza! È la stessa cosa, per inse­gnargli a salire e scendere una scala... Ben presto, con il babbo, il fratello e la sorella, Emanuele partecipa a cor­se a piedi, e, di tanto in tanto, lo si la­scia arrivare primo al traguardo, mentre, la mamma applaude. Gli ci è vo­luta molta energia per abitua­re la lingua, le labbra, i denti e for­mare le vocali e le consonanti. Parla volentieri, ma la sua pronuncia è spesso confusa. Quando non lo si capisce, lo si fa ri­petere una volta, due volte, tre vol­te: alla fine, si stanca, si prende la te­sta fra le mani, per un minuto o due, poi si riprende e pronuncia la paro­la giusta, o un sinonimo. Ha una co­scienza netta del bene e del male, di quel che è permesso e di quel che è vietato. Si occupa, si distrae, diffon­de l'allegria. E poi, vi è in lui uno spi­rito birichino, una vivacità che non è mai a corto di fantasia. Il riso, in lui, è caratteristico. Gli piace lo sport: nel calcio, la sua azione è ottima, nel judo, è temibile. Nel gioco delle boc­ce, il suo lancio è "magico": non fal­lisce mai il bersaglio. L'equilibrismo non gli fa paura: se la cava sempre. La famiglia passa le vacanze in mon­tagna: talvolta le camminate sono un po' lunghe, soprattutto in salita. Si sente allora la sua vocina: "Non si fa un riposino?".

Come uno specchio d'acqua

In generale, tutti quelli che hanno a che fare con Emanuele sono se­dotti da vari tratti del suo carat­tere. Prima di tutto, ha fidu­cia in tutti, senza restrizio­ni. Poi, ci sono gli occhi con cui ti guarda, di un'estrema dolcezza, e con cui ti avviluppa come uno specchio d'acqua che si spande in tutte le cavità che incon­tra. Ti inonda di tenerezza. Infine, rie­sce a dimenticare se stesso, per curarsi degli altri. Gli piace occuparsi dei piccoli, aiutarli. Spesso, ha una parola, una frase gentile per i suoi. Far piacere è per lui una seconda natura. La sua menomazione, se non è sop­pressa, è attenuata, superata. Il caso di Emanuele conferma la testimonianza di Jean Vanier, fon­datore dell'Arca: l'attenzione bene­vola prestata ai minorati "diventa a poco a poco comunione dei cuori, perché la persona, anche con una menomazione grave, risponde al­l'amore con l'amore... È un rappor­to di fiducia muta che trasforma l'immagine ferita e depressiva del­la persona inun'immagine positiva, mettendo in luce il suo valore, la sua dignità e dandole speranza e ragio­ni di vivere... Le persone deboli han­no una potenza misteriosa che invi­ta alla comunione, trasforma quelli che le accolgono, avvicinandoli al cuore di Dio. Esse sono fonte di unità".

Nella sofferenza... con GESÙ

Il 30 gennaio 1976, Emanuele è col­to da una grave emorragia nasale, seguita da accessi di febbre. Il 17 mar­zo, viene ricoverato all'Ospedale della "Salpétrière", a Parigi. Si pro­cede a prelievi di midollo osseo. Gli esami rivelano che Emanuele è af­fetto da leucemia. Durante le nu­merose degenze nel corso dei sette anni successivi, i genitori si avvi­cendano con altri affinché egli non sia mai solo. Nei periodi di tregua, può vivere in famiglia, ma, alla fine, le ri­cadute si fanno via via più frequen­ti: luglio '82, aprile '83, luglio '83. Emanuele ha desiderato ricevere GESÙ molto presto. "Ed io?" dice ogni volta che vede la mamma far la comunione. Nel corso delle messe domenicali, si distrae raramente e, per quanto riguarda le cose di Dio, è sempre particolarmente attento. Gli capita di sgridare i bambini che fanno chiasso in chiesa, o di far loro cenno di tacere. La sua fede matura di giorno in giorno. La sua attratti­va per "Gesù-Ostia" è sempre mag­giore. Il Giovedì Santo, 23 marzo 1978, Lo riceve per la prima volta. A partire da quel giorno, si comunica ad ogni messa con un raccoglimen­to profondo e un immenso deside­rio. Un giorno, dopo la comunione in una parrocchia di Auxerre, inve­ce di tornare al proprio posto con i ge­nitori, rimane in uno degli stalli del coro, con la testa appoggiata sulle mani giunte. Passandogli accanto, il papà gli chiede: "Cosa fai lì, Ema­nuele? - Prego MARIA perché la mamma non pianga più". Riceve la cresima, il 24 aprile 1983. Questa sensibilità, quest'apertu­ra al divino, è condivisa dalla mag­gior parte dei trisomici. GESÙ, che bussa alla porta di tutti i cuori, tro­va quei piccoli premurosi ad aprir­Gli. Commentando un'allocuzione in cui papa Paolo VI esortava i mi­norati a camminare verso la santità, Jean Vanier afferma: "Sì, certi uo­mini e donne minorati psichici so­no dei Santi. Per via della loro sem­plicità, della sete di essere amati e dell'apertura a GESÙ, confondono i grandi di questo mondo, quelli che ricercano l'efficacia ed il potere fuo­ri del senso del servizio e della co­munione dei cuori. Sono molto po­veri e limitati, ma sono ricchi nella fede, come ci ricorda l'apostolo San Giacomo: "Sentite, miei diletti fratel­li! Dio non ha forse scelto quelli che so­no poveri agli occhi del mondo, affinché siano ricchi nella fede ed eredi di quel Regno che ha promesso a quanti Lo ama­no?" (Giac. 2,5).

Un delitto abominevole

Tuttavia, "i minorati sono fra i più oppressi del nostro mondo, mal­grado i progressi che si compiono in certi Paesi. Molti, e sono sempre più numerosi, vengono eliminati nel se­no stesso della madre" (Jean Vanier). Un giorno, il professor Lejeune ri­ceve in ambulatorio un bimbo tri­somico di dieci anni che gli si getta fra le braccia e gli dice: "Vogliono ucciderci; bisogna che tu ci proteg­ga, perché noi siamo troppo deboli, non saremo in grado di difenderci!". La vigilia, con i genitori, aveva guar­dato una delle prime emissioni te­levisive sull'aborto, in cui si spiega­va come, grazie alla diagnosi pre­natale, fosse possibile scoprire la tri­somia 21 e sopprimere tali bambini indesiderabili. Da quel giorno, il pro­fessore prenderà instancabilmente la difesa del nascituro. Aveva capito che la prima vita dei minorati è situata a livello della diagnosi prenatale, quando questa è realizzata per spingere all'aborto. "La diagnosi prenatale, che non pre­senta difficoltà morali se viene ef­fettuata per determinare le cure eventualmente necessarie per il bambino non ancora nato, diventa troppo spesso un'occasione per con­sigliare e provocare l'aborto" (Gio­vanni Paolo II, Evangelium vitae,14). Ora, l'aborto è sempre, in sé e per sé, un peccato gravissimo. Papa Gio­vanni Paolo II scrive: "Il comanda­mento non uccidere ha un valore as­soluto quando si riferisce alla per­sona innocente. E ciò a più forte ra­gione se si tratta di un essere umano debole e indifeso, che trova solo nel carattere assoluto del comanda­mento di Dio una difesa radicale di fronte all'arbitrio ed all'abuso di po­tere degli altri... La decisione deli­berata di privare un essere umano innocente della vita, è sempre catti­va dal punto di vista morale e non può mai esser lecita, né come fine, né come mezzo in vista di uno sco­po lodevole... Nulla né nessuno può autorizzare che si dia la morte ad un essere umano innocente, feto o em­brione, bambino o adulto, vecchio, malato incurabile o agonizzante. Nessuno può chiedere questo gesto omicida per sé o per un altro affida­to alla sua responsabilità, e neppu­re consentirvi, esplicitamente o me­no. Nessuna autorità può imporlo legittimamente, e neppure autoriz­zarlo" (Ibid., 57). Oggi, nella coscienza di molte per­sone, la percezione della gravità del­l'aborto si è andata offuscando pro­gressivamente. La sua "accettazione nelle mentalità, nei costumi e nella legge medesima è un segno elo­quente di una crisi pericolosa del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere il bene dal male, anche quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Da­vanti ad una situazione tanto grave, il coraggio di guardare in faccia la verità e di dir pane al pane e vino al vino è più che mai necessario, senza cedere a compromessi per facilità o alla tentazione di ingannare se stes­si. A questo proposito, il rimprove­ro del Profeta risuona in modo cate­gorico: Guai a coloro che chiamano be­ne il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre (Is. 5, 20)" (Evangelium vitae, 58). Taluni tentano di giustificare l'a­borto sostenendo che il frutto della concezione, almeno fino a un certo numero di giorni, non può esser con­siderato come una vita umana per­sonale. In realtà, "non appena l'o­vulo è fecondato, si trova inaugura­ta una vita che non è né quella del padre né quella della madre, bensì quella di un nuovo essere umano che si sviluppa a sé. Non sarà mai reso umano, se non lo è già fin da al­lora. A quest'evidenza di sempre, la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Ha mostrato che, fin dal primo istante, si trova defi­nito il programma di quel che sarà quell'essere: una persona, persona individuale con le sue note caratte­ristiche già ben determinate" (Con­gregazione per la Dottrina della Fe­de, 18 novembre 1974). Forte di una simile convinzione, acquisita attra­verso la scienza, il professor Lejeu­ne diceva volentieri: "Lo studente di medicina più materialistico è co­stretto a riconoscere che l'essere umano comincia all'atto della con­cezione, altrimenti viene bocciato!".

Sei troppo stanco!

Il 7 settembre 1983, lo specialista di­chiara ai genitori di Emanuele che non c'è più nulla da fare. Le ultime domeniche, benché allo stremo del­le forze, Emanuele vuole andare a messa e servirla. Suo fratello cerca di dissuaderlo: "Sei troppo stanco e poi non potrai inginocchiarti'". Allora, facendo prova di un coraggio straor­dinario per dimostrare che può, che vuole andarci, Emanuele fa forza sulle gambe, si strappa dal suolo e in piedi, senza appoggi, fa una genu­flessione, poi si rialza ben diritto. Andrà a servire GESÙ. Il 27 settembre, le cose vanno per il peggio. Emanuele può soltanto gemere, steso nel letto. Il papà e la mamma sono chini insieme su di lui. È il bambino che parla, debolmente, ma nettamente: "Ti voglio molto be­ne, sai, papà - Ti voglio molto bene, sai, mamma". Sono le ultime paro­le che rivolge ai genitori. Ha detto loro "arrivederci, in Cielo". "Emanuele, Dio con noi, resterà un simbolo pieno di speranza. Perché i cristiani sono persone per cui la na­scita, la vita e la morte di un piccolo minorato valgono più di tutti gli ap­plausi offerti agli idoli, più di tutti gli imperi e più di tutto l'oro del mon­do". (Da: “Teologica”)
(don Maurice Cordier, ex par­roco della famiglia di Emanuele).

Spirito Santo e "Rinnovamento"

Spirito SantoSpirito Santo e "Rinnovamento"

Lo Spirito Santo è talvolta la persona divina meno compresa ed adorata della Trinità. Ciò forse perché il concetto di "spirito" è qualcosa di astratto che è più difficile da concepire rispetto alla figura umana (come nel caso di Gesù) o rispetto all'idea di un essere supremo (Dio).
Tuttavia chi si è aperto sinceramente all'azione dello Spirito Santo nella propria vita, ha visto cambiare le cose in maniera così radicale che l'intelligenza umana non è in grado di spiegare. L'azione dello Spirito Santo, seppur intangibile, può risultare davvero concreta ed inequivocabile nella vita di una persona, se costei si apre e si lascia al contempo possedere dallo stesso. E' lo Spirito di Dio che viene ad agire in noi, perciò le conseguenze non possono che essere grandiose. Nella sua intangibilità lo Spirito Santo converte profondamente la persona e la guida alle leggi di Dio in completo accordo con il Vangelo di Gesù. Mentre prima lo stesso concetto di "Spirito Santo" risultava astratto ed inconcepibile (a volte addirittura ridicolo), ora diviene una persona reale la cui presenza ed azione sono sperimentabili in varie circostanze. I frutti dello Spirito ed i vari doni (ordinari e straordinari), ne rappresentano l'inequivocabile sigillo.
Papa Giovanni XXIII e Paolo VI hanno auspicato nel secolo scorso una nuova e perenne Pentecoste per i cristiani dei tempi attuali. Sembra che Dio abbia risposto pienamente a questa invocazione che non ha tardato a mostrare i suoi frutti.
Il Rinnovamento Carismatico ebbe origine nella primavera dell'anno 1966 a Pittsburgh, in Pennsylvania (USA). Due laici, dell'università "Duquesne", già attivamente impegnati in campo liturgico, sociale ed apostolico, erano, ciò nonostante, insoddisfatti dei risultati dei loro sforzi. Desiderando fortemente di poter comunicare il messaggio evangelico con potenza, così come avevano fatto i primi cristiani, stabilirono di pregare l'uno per l'altro per essere ripieni dello Spirito Santo. A tale fine decisero di recitare la sequenza della Messa di Pentecoste: "Vieni, Spirito Santo" e lo fecero fedelmente durante tutto l'anno.
Presto, nell'Università, si formò un gruppo di venti persone che sperimentarono una profonda trasformazione religiosa nella loro vita, in occasione di una veglia di intensa preghiera. Principalmente, sperimentarono un contatto reale e personale con Cristo vivente. Ciò fu messo in evidenza dalla manifestazione, in essi, di alcuni dei carismi che esistevano nella Chiesa primitiva. Molti di loro ricevettero il dono delle lingue, altri quello della profezia, del discernimento degli spiriti, del potere di esorcismo, di guarigione e di operare miracoli.
Il Rinnovamento Carismatico fu approvato da tutti i Papi che si sono succeduti nel corso degli anni, che lo hanno sempre incoraggiato e considerato una grazia di inestimabile valore. In esso è stato effettivamente riconosciuta la potente azione dello Spirito Santo ed i prodigi di una nuova Pentecoste con caratteristiche identiche a quella di duemila anni fa.
A tal proposito, Papa Paolo VI così parlò ai partecipanti al III Congresso internazionale del Rinnovamento: "Avete scelto in questo Anno Santo la città di Roma per celebrare il vostro III Congresso Internazionale: ci avete richiesto di incontrarvi oggi e di rivolgervi la parola; avete voluto così dimostrare il vostro attaccamento alla Chiesa istituita da Gesù Cristo ed a tutto ciò che rappresenta per voi la Sede di Pietro. Questa preoccupazione di inserirvi bene nella Chiesa è segno autentico dell' azione dello Spirito Santo ... La Chiesa e il mondo hanno più che mai bisogno che il prodigio di Pentecoste continui nella storia ... Nulla è più necessario ad un mondo sempre più secolarizzato che la testimonianza di questo "Rinnovamento" che noi vediamo suscitato dallo Spirito Santo nei paesi e negli ambienti più diversi" (Roma 19/05/75).
Trattasi di un Rinnovamento in cui il laico svolge un ruolo decisivo. Prosegue infatti il Papa: "Ma voi siete la gente che Dio si è scelta, voi siete per il regno di Dio un popolo di sacerdoti a lui consacrati, il popolo che Dio si è scelto per annunziare a tutti le sue opere meravigliose" (1Pt 2,9).
Il Rinnovamento Carismatico non è un movimento nella Chiesa. Un movimento è un gruppo particolare che ha attività pastorali e spirituali proprie, come per esempio i Focolarini, la Legione di Maria, il Cursillo ecc… Mentre il Rinnovamento Carismatico è una corrente di grazia. Esso si sente uguale alla prima comunità dei cristiani descritta in Atti 2,44-47: "Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il Tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.".
Molte persone che lavorano nella pastorale erano da tempo amareggiate e scoraggiate perché non si sentivano comprese dalla Chiesa istituzionale. Alcuni invece osservano nel Rinnovamento Carismatico una nota specifica di sottomissione, amore e unione con la Gerarchia che non è presente, per lo meno in uguale misura, in altri movimenti. Con il Rinnovamento Carismatico rinasce quindi un clima di amore deciso a perseverare nella fede e nella Chiesa e a riscoprire l'importanza di essere uniti e sottomessi ai vescovi, che autenticano le comunità nella Chiesa e conferiscono loro unità in Gesù.
Dice in un'altra occasione Papa Paolo VI: "Assistiamo con gioia al Rinnovamento di vita spirituale che si manifesta oggi nella Chiesa, sotto forme diverse e in vari ambienti: gusto per una preghiera profonda, personale e comunitaria, ritorno alla contemplazione e un accento posto sulla lode a Dio, desiderio di dedicarsi totalmente a Cristo, grande disponibilità agli appelli dello Spirito Santo, grande familiarità con la Scrittura, generosa dedizione fraterna, volontà di cooperazione ai servizi della Chiesa. In tutto ciò noi possiamo vedere l'opera misteriosa e discreta dello Spirito, che è l'anima della Chiesa" (Osservatore Romano, 11/10/1973).
In questo nostro tempo un soffio nuovo anima la Chiesa e il Concilio Vaticano II ha riconosciuto in essa la presenza di una nuova vitalità. Dopo un periodo di clericalismo si è riscoperta l'importanza del laico: la Chiesa non è formata solamente dalla Gerarchia ma da tutto il popolo di Dio.
La Gerarchia rappresenta un ministero, a servizio della comunità cristiana, ma in questa comunità i laici hanno un loro ruolo e sono chiamati a delle iniziative per il bene di tutto il corpo della Chiesa. Così viene descritto, nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa dal Concilio Vaticano II, il carattere delI'apostolato dei laici: "L' apostolato dei laici è quindi partecipazione alla stessa salvifica missione della Chiesa, e a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della Confermazione ... ogni laico, per ragione degli stessi doni ricevuti è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa secondo la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono" (cap. 4,33b).
Da qui derivano i doni e i ministeri propri dei laici, i quali in virtù di tali benefici cominciano a scoprire e ad assumere Il loro ruolo specifico nella Chiesa. Il Rinnovamento, infatti, aiuta i laici a prendere coscienza della loro vocazione all'interno della Chiesa e dei carismi, cioè quei doni che lo Spirito Santo dà alla singola persona per il bene comune. Il carisma, infatti, è una grazia che edifica la Chiesa, distinta da qualsiasi devozione particolare.
Papa Giovanni Paolo II, conscio della forza rinnovatrice dello Spirito, rivolge un appello ai Cardinali riuniti in seduta plenaria in Roma dal 5 al 9 novembre: "...venerabili fratelli, dobbiamo studiarci di custodire con particolare cura, creando le condizioni necessarie all'ulteriore sviluppo di queste benedette correnti, così necessarie alla Chiesa ed all'umanità, la quale si rende conto sempre meglio degli esiti a cui conduce il materialismo contemporaneo nelle sue molteplici manifestazioni" (Osservatore Romano, 7 novembre 1979).
Per riassumere, il Rinnovamento è una grazia concessa da Dio ai cristiani di questi ultimi tempi affinché, contro il dilagare dell'iniquità e del male contemporaneo, noi possiamo lottare con potenza e far sì che la Parola di Dio prevalga e vinca sulle menzogne che satana sta inculcando nella società. Si realizza così la promessa di Dio riportata in At 2,17-18: "Negli ultimi giorni, dice il Signore, io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno".
E' la potenza di Dio necessaria per non soccombere di fronte alle lusinghe del male.
In definitiva lo scopo del Rinnovamento Carismatico è:
  • - SPERIMENTARE personalmente l'esperienza della Pentecoste come i primi discepoli di Cristo e rinnovare la propria vita sotto l'azione dello Spirito Santo.
  • - RIVIVERE il clima spirituale della prima comunità cristiana e l'esperienza carismatica della Chiesa apostolica, la quale non era soltanto depositaria di verità rivelate, ma era anche in possesso di forze potenti e irresistibili, dono dello Spirito Santo, che ne era la vita, la pace, la gioia, l'amore, il coraggio e la forza nella testimonianza della fede; fare sì che i doni dello Spirito Santo siano pienamente vissuti nella vita da ogni singolo Cristiano.
Un ultimo invito per coloro che sono portati a criticare e disprezzare il Rinnovamento (o che non ne accettano l'origine e l'esistenza divina) è di leggere bene il brano 1Ts 5,19-22: "Non estinguete lo Spirito; non disprezzate le profezie; esaminate tutto e ritenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male".

RACCONTO DELLA VITA DI UN SANTO - SPIRITO SANTO -


San Serafino di Sarov (1759-1833) è una delle figure più popolari tra i santi russi. Della sua vita si racconta questo fatto, molto interessante, con un certo Nicola Motovilov, che lui aveva guarito.
«Era un giovedì di inverno. Lo strato di neve era piuttosto alto. Padre Serafino prese a conversare con me sul praticello accanto a due eremitaggi.
Dio mi ha rivelato mi disse che in gioventù tu desideravi sapere qual è il fine della nostra vita cristiana e che più volte hai interrogato in proposito persone esperte nella vita spirituale, ma nessuno ti ha detto qualche cosa di preciso a riguardo. Ti hanno detto: "Vai in Chiesa, fai il bene, osserva i comandamenti. Ecco il fine della vita cristiana per te". Non ti parlavano come si conviene, ora io, povero Serafino, ti esporrò realmente qual è il fine della vita cristiana. La preghiera, il digiuno, le veglie e tutte le altre opere del cristiano, per quanto eccellenti in sé, non sono il fine della vita cristiana, benché mezzi indispensabili per raggiungerlo.
Il vero fine della vita cristiana consiste nell'acquisto dello Spirito Santo. Tu capisci cosa vuol dire guadagnare il denaro. Ebbene, è esattamente la stessa cosa per- l'acquisto dello Spirito Santo. Le mercanzie sono le azioni virtuose compiute per Cristo; esse ci procurano la grazia dello Spirito, senza la quale nessuno si salva, né può salvarsi. Ma è soprattutto la preghiera che ce la dà. Grande è la forza della preghiera. Per mezzo suo siamo ammessi a parlare al nostro Salvatore e Signore.
Padre, gli risposi, ma come posso vederlo? Le opere buone sono visibili, ma come si può vedere lo Spirito Santo, sapere se è in me o no?
Amico mio, amico di Dio, è semplicissimo mi disse e tenendomi stretto per le spalle aggiunse: Adesso, piccolo padre, siamo tutti e due entro lo Spirito divino. Perché non guardi verso di me?
Risposi: Non posso guardarvi, padre, perché lampi sprizzano dai vostri occhi, il vostro viso è diventato più splendente del sole.
E Serafino aggiunse: Non temere, amico di Dio, in questo momento tu risplen­di quanto me. Sei adesso nella pienezza dello Spirito Santo, altrimenti ti sarebbe impossibile vedere anche me in questo stato. È la grazia divina che si è degnata di confortare il tuo cuore, contrito come una madre, per intercessione della Ver­gine Santa. Guardami senza timore, Dio è con noi! Che provi ora? mi chiese padre Serafino.
Provo una sensazione infinitamente benefica risposi. Sento calma e pace nella mia anima che non posso esprimere.
Questa è la pace di cui il Signore ha detto ai suoi discepoli: "Vi do’ la mia pace. Non come il mondo la dà, io ve la do’" (Jo 14, 27). Che provi ancora? Un'insolita dolcezza, una gioia ineffabile in tutto il cuore.
Questa gioia disse il padre è quella di cui parla il Signore nel vangelo e che prova una donna quando mette al mondo un uomo (Jo 16, 21). L'occhio non ha visto, l'orecchio non ha udito le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1 Cor 2, 9). Che provi ancora prediletto da Dio?
Risposi: Una strana sensazione di calore! Ma che calore? Siamo seduti nella foresta, è inverno, abbiamo la neve sotto i piedi e anche su di noi c'è un pollice di neve e dal cielo scende nevischio. Di che calore si può trattare? È un calore come quello di un bagno ben caldo.
E l'odore è simile a quello di un bagno?
No, dissi, sulla terra non ho mai sentito un profumo simile.
Allora il padre, sorridendo mi disse: Mio caro piccolo padre, conosco tutto ciò che dici e ti interrogo apposta per sapere se tu veramente provi questo. Il Regno di Dio è sceso tra gli uomini e in ciò non vi è nulla di strano; deve essere così, perché la grazia di Dio dimora in noi, nel nostro cuore. Non lo ha forse detto il Signore? "Il regno di Dio è in voi!" (Lc 17, 21). Ora immagino che tu non domanderai più come gli uomini si trovino nella grazia dello Spirito Santo. Ti ricorderai di questa manifestazione dell'immensa grazia di Dio, che ci ha visita­to oggi?
Non so, padre. Non so se Dio mi dà il dono di ricordarmi e di sentire forte­mente questa grazia divina come la sento ora,
. risposi.
Per conto mio, credo che il Signore ti aiuterà a conservare sempre la memo­ria, poiché diversamente la Sua grazia non si sarebbe subito piegata alla mia umile preghiera, tanto più che questo non è stato concesso a te solo, ma per tra­mite a tutto il mondo, perché ciò possa servire anche per bene degli altri». 

sabato 25 dicembre 2010

RICHIESTE DI PREGHIERA

 
Una preghiera non costa nulla, ma per chi ne riceve il beneficio è molto importante, soprattutto se malato gravemente. La comunione dei santi è molto efficace, Gesù ci ha sempre raccomandato di pregare gli uni per gli altri. Un cristiano non può girare pagina senza esaudire una richiesta di preghiera! Non rimandare, prega ora, domani potrebbe essere troppo tardi!

Preghiamo per il fratello Luciano di 14 anni , ammalato di leucemia da 12 anni, affinché il Signore Gesù lo possa guarire, e le preghiere di Maria possano ottenere misericordia presso Cristo Gesù e Dio. Poni tutto sulla stella di Maria!
E' notozia di oggi, che il piccolo si è aggravato, che la nostra preghiera possa correre più della malattia giungendo al Padre Celesta affinchè usi tanta misericordia per Luciano...................


Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo 2011

Carissimi fratelli e sorelle, la luce è venuta nel mondo per rischiarare le tenebre, Dio si è fatto uomo per farci come lui. Vi auguro che la luce di Dio risplenda sempre nei vostri cuori, nelle vostre famiglie e nelle vostre case perché possiamo adempiere il mandato di Gesù di essere luce nel mondo per la salvezza di ogni uomo. Questo nuovo anno che sta per iniziare possa essere per tutti un anno di grazia e di salvezza. Il mondo ha bisogno di santi e Dio ci chiama ad essere santi per essere felici e fare felici gli altri. Non c'è tempo da perdere: preghiamo tanto, amiamo tutti e annunciamo il vangelo in ogni circostanza e in ogni luogo. Auguri di un santo natale e di un nuovo anno ricco di tanta grazia.

venerdì 24 dicembre 2010

BEATI I PACIFICI - PAROLA PER OGNI GIORNO - +S.Ecc.Mons. Andrea GEMMA

"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio"
(Mt 5, 9)

Ricordiamo innanzitutto quanto ci ha scritto san Paolo: “In Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,13-14).
Dobbiamo poi capire che il termine pace nella Bibbia – shalòm – ha un significato diverso e molto più ampio del termine che noi adoperiamo, quale assenze di guerre, di odii, di violenze.
In questo senso pieno Gesù e Gesù solo è il vero “operatore di pace”.
E quindi guardando a lui noi lo saremo nella misura in cui ci impegneremo a recare agli uomini in qualunque ambito, in qualsiasi contesto, quella somma di beni che solo da Dio provengono e a Dio unicamente riconducono.
Si pensi a che cosa potrebbe essere avviata la nostra società se veramente noi tutti fossimo operatori di pace nel senso spiegato.
E qui si intravvede il significato che può assumere l’espressione “possederanno la terra”.
Non si parla certo di un dominio di alcuni su altri, si parla invece di un comune sforzo per uno scambio di beni che renda il vivere nostro tranquillo e sereno.
Questa serenità noi dobbiamo continuamente implorare per noi stessi, non dimenticando la celebre espressione di Agostino che dice perentoriamente che noi non potremo mai essere in pace finché non avremo trovato la quiete vera sul cuore di Dio (cf Confessioni 1,1).
Eleviamo dunque incessante la preghiera che la Chiesa mette sulle nostre labbra: “Dona, Signore, la pace ai nostri giorni…”.

mercoledì 22 dicembre 2010

FAME E SETE DI GIUSTIZIA - PAROLA PER OGNI GIORNO - +S.Ecc.Mons. Andrea GEMMA

"Beati quelli che hanno fate e sete della giustizia, perché saranno saziati"
(Mt 5, 8)

La corrispondente beatitudine di Luca recita: “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati” (6,21).
Da Luca dunque ci viene l’invito a cogliere, anzitutto, la fame e sete di giustizia anche in senso materiale, sociale: gli affamati sono, purtroppo, una comune – oggi! – categoria di poveri, che gridano a Dio la loro miseria, la ingiustizia che patiscono, e da Lui aspettano giustizia.
La Chiesa e ogni cristiano deve farsi tramite di questo grido.
Gesù è l’esemplare insuperabile della ricerca di una giustizia superiore che consiste in realtà nel debellare efficacemente e definitivamente quella ingiustizia che è semplicemente il peccato.
Diceva don Milan: “A me non importa nulla dei poveri; mi importa che si eviti il peccato che è la somma di tutte le ingiustizie”.
La nostra fame e sete di giustizia, oltre a chiederci l’impegno per una società più equa e più giusta, deve dirigere continuamente il nostro sguardo verso Dio che è “vindice di ogni ingiustizia” e quindi a trarre da lui la forza per attingere a quella sorgente di vita che è lui solo.
Troppe cose al mondo, come insegna continuamente Benedetto XVI, si presentano fallacemente come atte a soddisfare la nostra insaziabile fame e sete di giustizia, ossia di valori alti, imperituri, non ingannevoli.
Bisognerà convincerci che solo attingendo a quella fonte d’acqua viva che Gesù indicava alla Samaritana (cf Gv 4,14 ss) la nostra sete potrà essere spenta nell’attesa che questa sazietà raggiungeremo in quella vita che è la somma di tutto ciò che l’uomo può desiderare.
Ripeteremo a Gesù con la Samaritana: “Signore dammi quest’acqua” (ib 4,15).
Non dimentichiamo l’altra pagina stupenda dell’evangelista Giovanni: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me.
Come dice la scrittura: «Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva».
Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,37-39).
 

TESTIMONIANZA:_LETTERA DI MARIELLA AL PROPRIO PARROCO, MAMMA DI LUCIANO

Qual è il senso della vita? Le persone spesso sono assillate da questa e da altre domande fondamentali: Cosa posso conoscere che sia vero? Cosa posso sperare? Cosa posso fare per migliorare la mia vita? Chi sono davvero?
   Per i credenti la Sacra Scrittura è parola di Dio. È quindi una fonte primaria per trovare risposte alle domande che ciascuno prima o poi si pone; soprattutto, per sapere qual è il senso della vita.
   Per capire i significati della Scrittura abbiamo bisogno di una forza o potenza particolare, non umana, ma divina. La Bibbia chiama tale energia spirito santo. Si tratta di spirito perché non è materiale; è santo perché proviene da Dio. Fu infatti la potenza santa di Dio ad ispirare gli Scritti Sacri: “poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio.” (2Pt 1,21). “Ogni Scrittura è ispirata da Dio”. – 2Tm 3,16.
   Abbiamo la garanzia che possiamo avere lo spirito divino per comprendere la Scrittura: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Siamo certi che Dio ce lo concederà? “Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete” (Mt 11,24). La condizione indispensabile è che viviamo la fede: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (Gv 15,7). Perché, allora, spesso non si ottiene ciò per cui preghiamo? “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male” (Gc 4,2.3, ). “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie”. – Gc 1,5-8.
   Per comprendere la Scrittura occorre anche il nostro impegno personale. E qui ci sono di aiuto le ricche esperienze fatte da uomini e donne fedeli dell’antichità: uomini santi e donne sante che lungo i secoli hanno letto la Bibbia.
   È un modo di rispondere a Dio per persone che nutrono una salda fede nella sua iniziativa di parlare al genere umano. La parola di Dio giunge al credente per mezzo della Sacra Scrittura. La vita non consiste nel consumare i propri anni al meglio e nulla più. La nostra vita dovrebbe essere una risposta a Dio, ubbidendogli. Dio ha parlato e ci parla: tocca a noi ascoltare. Gli agnostici, i non credenti e – a volte – anche coloro che asseriscono di essere credenti, domandano: Dov’è Dio? Eppure, questa è proprio la domanda che Dio stesso per primo rivolse all’uomo: “Dove sei?”. - Gn 3,9.

Tutto questo per introdurre cosa?
Per introdurre questa bella lettera (Preghiera) scritta da una madre (Mariella) al proprio parroco (P.Maurizio).
La stessa viene riportata come scritta dalla stessa (Mariella):
“Padre Maurizio vi sto scrivendo questa lettera perché il mio cuore è molto addolorato per la malattia di mio figlio Luciano, sono 12 anni che è malato di leucemia (ed ha 14 anni), ha fatto molte cure, non riesce a guarire e la situazione si sta facendo dura.
Voi vi starete domandando “ma perché mi scrivi questa lettera e non mi hai mai parlato di persona?” ed ecco la risposta: “io quando vengo da voi a confessarmi vorrei parlarvi della mia sofferenza e della mia vita ma poi non riesco a parlare, non per colpa vostra, sono io che mi trovo in difficoltà, il mio cuore è pieno di tante emozioni, sensazioni è cose da dire, ma non riesco perché mi viene da piangere ed ecco che mi tocca scrivere per farvi sapere tutte le meraviglie di Luciano. Questo bambino è talmente meraviglioso che non ci sono parole per descrivere la sua voglia di vivere, prega tutti i giorni il Signore che lo guarisca e non si scoraggia mai. È lui che dà forza a noi, i Dottori dicono che non hanno mai avuto un caso del genere, che Luciano sopporta cure pesanti da tanti anni, tre anni fa gli avevano dato tre mesi di vita, la malattia era alla testa ed invece è ancora tra noi, infatti per loro è miracolato.
Io sto pregando da tanti anni per avere questa guarigione perché lui ha tanta voglia di vivere.
Padre, non riesco a spiegarmi perché il Signore ha scelto me per portare questa croce, soffro per mio figlio e per tutti i bambini che ogni giorno vedo morire in ospedale dove Luciano fa terapia, torno a casa con il cuore spezzato e mi rivolgo al Signore.
Da quando mio figlio si è ammalato la prima volta non ho smesso di piangere, non sapevo come affrontare la situazione, ero disperata, ed ecco che nella mia sofferenza incontro il Buon Gesù che è entrato subito nel mio cuore, così incominciai a pregare.
Luciano era ricoverato, io che le stavo accanto recitavo il S. Rosario, quando mi chiese di insegnarglielo e subito imparò.
Gesù, però, in quei giorni veramente ci ascoltava perché giornate così lunghe e dure senza di Lui non sarebbero mai passate e così Luciano giorno dopo giorno incominciava a conoscere Gesù sempre di più. In tutto questo tempo della sua malattia, Luciano non si scoraggiava mai, dice che prima a poi Gesù lo aiuterà.
“È meraviglioso questo bambino!”, è cresciuto con la sua malattia e con Gesù vicino. Lo sento parlare e resto sbalordita perché quando i Dottori dicono che è ricomparsa la malattia lui piange per dieci minuti, ma poi si rivolge a Gesù dicendo: “Ma perché sempre a me?”, poi si asciuga le lacrime e incoraggiandoci ci dice che la sua malattia è molto cattiva. Lui è più sicuro che Gesù è più forte della sua malattia.
Ed è per questo che rimango stupita. Perciò vi ho scritto, per dirvi che questo bambino è speciale, nonostante tutto quello che sta passando.
La sera prima di andare a letto lo vedo pregare con l’icona del crocifisso, stringendo tra le mani la sua corona e si addormenta.
In questi giorni ci sta chiedendo di andare a Lourdes ed io lo voglio portare, però devo aspettare che la sua malattia si rimargini.
Padre Maurizio, com’è strana la vita, ci sono giovani che si uccidono con la droga e Luciano che prega per ottenere la guarigione della sua vita. Io sto sempre a casa, non esco mai perché sono stanca di vedere le persone che si lamentano per cose inutili ma non hanno capito il vero senso della vita, invece di lamentarsi che imparassero a ringraziare nel quotidiano il Signore della Vita.
Desidererei essere povera, affrontare tutti gli ostacoli della vita, ma l’importante sarebbe per me vedere Luciano guarito”.


Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: ‘Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio’”. - Mt 15,21,22.
   Questa donna infranse diversi limiti che allora erano considerati sacrosanti. Gli ebrei non trattavano con i “gentili” (le gentes, le genti di altra nazionalità), ma questa donna straniera non se ne cura. Poi, non solo ferma una persona di sesso maschile (cosa allora disdicevole), ma la ferma mentre è accompagnata da altri uomini. Come se non bastasse, grida e vuole attenzione. Ma non era una pazza: era una madre disperata che aveva fede il Yeshùa, cui si rivolge chiamandolo “signore” e “figlio di Davide”. Da lui si aspetta che le guarisca la figlia.
   “Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: ‘Mandala via, perché ci grida dietro’. Ma egli rispose: ‘Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele’” (Mt 15,23,24). Yeshùa non la degna neppure: lui non si occupa dei pagani. Tuttavia, si noti che Yeshùa non acconsente alla richiesta dei suoi discepoli di cacciarla. Sembra piuttosto che voglia provocarla: lei non fa parte delle “pecore perdute della casa d'Israele”.
   Lei, non badando neppure a quello che le aveva appena detto Yeshùa, non raccogliendo, “venne e gli si prostrò davanti, dicendo: ‘Signore, aiutami!’”. - Mt 15,25. 
   “Gesù rispose: ‘Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini’” (Mt 15,26). Ora Yeshùa non si limita a ricordarle che è straniera ed esclusa da Israele, ma usa con lei il termine che i giudei usavano con gli stranieri, ovvero “cani”, sebbene egli attenui quell’espressione dispregiativa con il vezzeggiativo “cagnolini”.
   “Ma ella disse: ‘Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni’” (Mt 15,27). È incredibile questa donna. Da quando ha incontrato Yeshùa non ha fatto altro che ignorare tutte le convenzioni e perfino le offese che le erano state rivolte. Ha continuato a gridare e a supplicare. Ora, di fronte ad un altro no di Yeshùa, ingaggia con lui una battaglia verbale. Lei una dei cani? Ma sì, lo accetta, però “anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Sta affrontando Yeshùa sullo stesso terreno in cui egli si è addentrato! Il pane dei padroni? No, lei non vuole togliere di bocca il pane a nessuno; è mamma anche lei. Ma le briciole, quelle “che cadono dalla tavola”, quelle che vanno perdute… Si accontenta di quelle, lei.
   Ora la vince la battaglia verbale che ha ingaggiato con Yeshùa. Lui, Yeshùa, si fa vincere da lei e le dice: “’Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi’. E da quel momento sua figlia fu guarita”. - Mt 15,28.  
   Ecco la versione di Mr 7,24-30: “Gesù partì di là e se ne andò verso la regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto, anzi subito, una donna la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito parlare di lui, venne e gli si gettò ai piedi. Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita; e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia. Gesù le disse: ‘Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini’. ‘Sì, Signore’, ella rispose, ‘ma i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli’. E Gesù le disse: ‘Per questa parola, va', il demonio è uscito da tua figlia’. La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei”. Questa versione spiega perché la donna viene definita “cane”: “Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita” (v. 26).

L'angelo postino

Non è facile perdonare

L'assenza di Dio

BEATI I PURI DI CUORE - PAROLA PER OGNI GIORNO - +S.Ecc. Mons. Andrea GEMMA

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio"
(Mt 5, 8)

Questa purezza di cui parla Gesù non può essere certo limitata alla sfera dei sentimenti e della sessualità: indica quella complessiva trasparenza d’animo per cui il discepolo di Gesù distingue il bene dal male e da quest’ultimo si tiene costantemente lontano onde non esserne anche solo minimamente macchiato.
Questa purezza d’animo, questa trasparenza di innocenza brilla di luce meridiana nei nostri fanciulli, fino a che non li contamini il soffio malefico del Maligno che si serve delle umani passioni riprovevoli e degli scandali per spingere alla impurità, alla profanazione del corpo proprio e altrui.
Sono proprio i bimbi innocenti e coloro che ne imitano la limpidezza a “vedere”, anche da quaggiù, quel Dio, nella cui contemplazione consisterà l’eterna felicità promessa.
Il conseguimento di questa beatitudine oggi, in un mondo in cui dilaga la corruzione, è certamente difficile, richiede perciò una continua vigilanza su se stessi, una vita morigerata, una forza di volontà per resistere alle suggestioni del male sotto tutte le forme.
Dobbiamo essere convinti che questo sforzo perseverante ci otterrà uno “smisurato peso di gloria”, come dice Paolo e ci ripagherà degli sforzi e dei sacrifici che avremo fatto per mantenerci veramente a posto.
Forse bisogna aggiungere che, stante la irrespirabile atmosfera in cui ci troviamo a vivere, chi vorrà mantenersi puro perfettamente dovrà prevedere lo scherno e la conseguente emarginazione da parte degli empi.
A ciò vogliamo essere ben preparati.

lunedì 20 dicembre 2010

BEATI GLI AFFLITTI - VANGELO PER OGNI GIORNO - +S.Ecc. Mons. Andrea Gemma

"Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati"
(Mt 5, 4)

Gesù nel discorso dell’ultima cena, dice ai suoi discepoli: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).
Nel medesimo discorso Gesù più volte fa presente ai suoi l’ora tremenda della passione, ma insiste continuamente in quel contrappasso di cui più volte abbiamo parlato e che in lui è stato prodotto dalla risurrezione e dalla glorificazione.
Tutta la vita di Gesù è una sequela di sofferenze.
Si può dire che la sua passione comincia dalla sua nascita a Betlemme.
Rifiutato dagli uomini, misconosciuto, costretto all’esilio e, durante la vita pubblica, continuamente avversato dai suoi nemici dichiarati.
Egli è l’immagine dell’uomo afflitto e rifiutato.
Nessuno avrebbe potuto riconoscere in lui il Messia glorioso che Israele aspettava erroneamente.
Soltanto la risurrezione sarà lo svelamento definitivo della vera natura di Gesù.
Perché dunque meravigliarsi se la nostra vita riserva così poche gioie e moltiplica invece ansie, tribolazioni e sofferenze? Ci conforta l’apostolo Paolo: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rm 8,18), e ancora: “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2Cor 4,17-18).
Certo il Signore non farà mancare ai suoi figli nella tribolazione anche l’assaggio di quella consolazione che sarà piena nel cielo.
Anzi, per parte nostra, dovremmo impegnare la nostra vita a rendere in qualunque modo meno pesante per i nostri fratelli il dolore, la sofferenza, la solitudine, in una parola tutto ciò che rende la nostra vita tribolata e sofferta.
Già nell’aspettativa della gloria futura, come hanno dimostrato tutti i Santi nelle loro sofferenze, non mancherà alla nostra tribolazione il conforto della fede e della speranza e soprattutto la costatazione della amorosa vicinanza del nostro divino Maestro.

domenica 19 dicembre 2010

LA VIA E’ TRACCIATA - LA PAROLA PER OGNI GIORNO - S.Ecc.Mons. Andrea GEMMA

"Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano"
(Mt 7,13-14)

Abbiamo considerato l’aspetto escatologico delle beatitudini, ossia quel contrappasso gaudioso che la prima parola di esse esprime; e abbiamo pure accennato all’aspetto cristologico delle medesime, in quanto – abbiam detto – il primo che ha realizzato in se meravigliosamente l’aspetto terreno e doloroso delle beatitudini è Cristo stesso.
Ci rimane ora, anche nei giorni successivi, di considerare l’aspetto etico-morale di queste beatitudini.
Ciò significa che ognuna di esse costituisce un aspetto che il discepolo di Gesù, guardando appunto all’esempio di lui, deve realizzare nella propria condotta.
In questo senso le beatitudini costituiscono la via tracciata, in primo luogo da Gesù, per entrare nella “porta stretta” del regno dei cieli, quindi il codice della nostra vita cristiana.
Occorrerà ripetere ancora che questo aspetto della esemplarità della vita di Gesù, che il cristiano è chiamato a riprodurre, è di per sé già sinteticamente contenuto nella prima delle beatitudini, se è vero che “povertà”, come abbiamo spiegato significa l’atteggiamento umile, dimesso, in molti casi rassegnato e non di rado eroico che il discepolo di Gesù affronta serenamente, certo in vista del glorioso contrappasso celeste, ma anche e soprattutto per dimostrare il suo amore generoso a colui che gli ha preparato una beatitudine di gloria.
Il mondo non potrà mai capire questa dinamica di morte-vita, di povertà-ricchezza, di annientamento-glorificazione, di sofferenza-beatitudine che è insita nell’accettazione della nostra situazione di pellegrini della fede e della speranza.
Lasciamo che il mondo segua le sue strampalate beatitudini.
Noi seguiamo Gesù sulla strada da lui tracciata e nella “Via Crucis” già intravvediamo la “Via Lucis” che ci è assicurata.

sabato 18 dicembre 2010

COLLABORATORI DI DIO - VANGELO PER OGNI GIORNO - Di +S.Ecc.Mons. Andrea GEMMA

"C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci (…) Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero"

(Gv 6,9.11)

Il fatto che il contrappasso gaudioso delle beatitudini sia così poco evidente nella nostra vita terrena, costituisce un lamento per chi sembra rimproverare a Dio l’inadempienza delle sue promesse.
Noi abbiamo già accennato al fatto che il risvolto beatificante delle stesse beatitudini avrà il suo compimento nell’instaurazione definitiva del Regno dei cieli.
C’è tuttavia un’altra ragione su cui intendiamo qui soffermarci: Dio per arricchirci dei suoi doni, per trasformare in gioia le sofferenze degli uomini ha dimostrato e dimostra che esige la nostra collaborazione generosa.
Ciò è documentato dall’impegno che i discepoli di Gesù da sempre hanno profuso per alleviare le sofferenze dei fratelli, per diventare in certo qual senso mano provvidente per le più disparate categorie di sofferenti e di poveri.
È vero: Dio potrebbe da solo, ad esempio, sfamare tutto il mondo.
Vuole invece che il contadino metta in atto tutta la sua abilità perché il terreno renda al massimo e produca i suoi frutti.
Dio vuole soprattutto che la nostra generosa carità sia la dimostrazione evidente di quella Provvidenza divina che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo (cf Mt 6,26 ss).
Si pensi alla innumere schiera dei santi della carità, si passino in rassegna le numerose istituzioni caritative sorte in nome della Chiesa, si pensi all’abnegazione con cui i missionari provvedono al bene spirituale e materiale delle popolazioni meno fortunate: ecco qui la realizzazione, non certo definitiva ed esaustiva, delle beatitudini.
Ognuno di noi è chiamato a questa collaborazione, almeno a quella da cui nessuno può esimersi: la collaborazione della incessante preghiera che implora da Dio il pane quotidiano per tutti.
Questo insegna Gesù quando dinanzi alle folle affamate dice ai suoi: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37).

venerdì 17 dicembre 2010

COME CRISTO - Vangelo per ogni giorno - S. Ecc. mons. Andrea GEMMA

"Imparate da me che sono mite e umile di cuore"

(Mt 11,29)

È facilissimo rilevare che tutte e ciascuna delle beatitudini si trovano incarnate nella adorabile figura del Redentore, in tutto il suo comportamento e in tutto il suo insegnamento.
È questo l’aspetto cristologico delle beatitudini stesse, perciò Gesù continua a dirci “imparate da me”.
Agli inizi della sua missione, entrato nella sinagoga di Nazareth, Gesù lesse il testo di Isaia (61,1-3) : “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”(Lc 4,18-19) e poi concluse: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato”(ib 21).
Nel racconto dell’ambasceria di Giovanni, alla domanda: “Sei tu colui che deve venire?”, Gesù risponde: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunziato il Vangelo”(Mt 11,5).
Significativo anche ciò che segue: “Venite a me, voi tutti che siete stanci e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).
E ancora, quando Gesù dice: “Il Regno di Dio è vicino” (Mc 1,15, Mt 4,17); il regno della giustizia di Dio che è riservato ai piccoli, ai poveri, agli umili è giunto, è qui, è in mezzo a noi.
Dunque il grandioso intervento divino di cui parla Isaia è già iniziato, si realizza in Gesù.
Gesù stesso lo riconosce in un grande empito di gioia (cf Mt 11,25).
I “segni”, i miracoli che hanno appunto per oggetto i piccoli, i deboli, i poveri… confermano questa “vicinanza” del Regno in Gesù.
Naturalmente non siamo ancora alla realizzazione piena e perciò Gesù riferisce le parabole della “crescita”: quella del seme (cf Mt 13,1 ss), del granello di senapa (cf Mt 13,31 ss), del lievito (cf Lc 13,20).
Nella resurrezione e glorificazione di Gesù il contrappasso delle beatitudini per lui è pieno; per noi è oggetto della speranza incrollabile.

I “POVERI DI DIO” - PASSO DEL VANGELO PER OGNI GIORNO - DI + S.Ecc. Mons. Andrea GEMMA

"Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato"
(Lc 14,11; cf 18,14)

Abbiamo visto l’aspetto escatologico delle beatitudini.
Rimanendo ora nell’ambito del commento alla prima di esse dobbiamo sottolineare “l’aspetto teologico” delle beatitudini stesse.
Dobbiamo dire subito che nel proclama di Gesù è evidenziata l’opera gratuita e infinitamente misericordiosa di Dio che premia sovrabbondantemente chi per amor suo accetta la povertà, l’umiliazione, in una parola tutto ciò che rende meno piacevole la nostra dimora terrena.
Torniamo ora al concetto di povertà.
È vero che la beatitudine corrispondente nel testo di Luca (cf 6,20) non ha l’aggiunta “di spirito”, propria di Matteo, e beatifica semplicemente i poveri.
Occorre tuttavia tener presente – e lo abbiamo accennato – che non è la miseria materiale, la privazione dei beni ad essere da Gesù beatificata.
Semmai questa povertà materiale è la premessa per facilitare ed attuare quella povertà interiore, ossia la povertà di spirito, che è, nel concetto evidenziato dall’Antico Testamento, la volontà perseverante di porre la propria fiducia ed ogni speranza in Dio quale ricchezza somma del credente.
È quanto emerge dall’introduzione del salmo 22: “Il Signore è il mio pastore non manco di nulla”.
Nella concezione ebraica pertanto venne ad emergere a poco a poco la categoria degli “anawim” ossia dei poveri di Jhavè.
Di essi parla il Concilio Vaticano II a proposito della vergine Maria e dice: “I libri dell’Antico Testamento (…) mettono sempre più chiaramente in evidenza la figura di una Donna, la madre del Redentore.
[Ella] è la prima tra gli umili e i poveri del Signore, che fiduciosi attendono da lui la salvezza e la ricevono” (LG 8).
Da queste espressioni emergono alcune cose che gli esperti fanno rilevare: la prima beatitudine, quella circa la povertà, di per sé sarebbe sufficiente ad offrire il contenuto di tutte le altre; in secondo luogo il concetto di povertà coincide praticamente con quello di umiltà, che è l’atteggiamento fondamentale e necessario della creatura cosciente dinanzi al Creatore; in terzo luogo ognuna delle beatitudini, che esplicitano il concetto di povertà, si può comprendere unicamente nell’aspetto positivo della ricerca di Dio quale sommo bene.
Guardando a Maria dobbiamo anche noi rivestirci di questa “umiltà” della quale Maria stessa proclama: “Il Signore ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”(Lc 1,52).

giovedì 16 dicembre 2010

5 Minuti

Davanti al Re. R.n.S.

P. Emiliano Tardif : testimonianza personale

La fede nel Signore in una coppia di sposi: la storia di Emanuele

A volte accade che i miracoli avvengono, ma nessuno se ne accorge. Altre volte sentiamo le persone che si lamentano perché, a dir loro, il Signore di miracoli non ne fa più.
Eppure Gesù continua ad operare, ogni giorno, sia nella vita del singolo che nella comunità. Cammina con noi, accanto a noi e, quando non siamo in grado di andare avanti da soli, ci porta in braccio. 
I figli sono un dono meraviglioso che il Creatore fa ad una coppia, ma quando un figlio sta male, e la malattia poi si rivela veramente grave, per i genitori non esiste più nulla: il mondo crolla sulle loro vite, nulla ha più senso e la stessa fede, spesso, viene meno.
Umanamente è tutto comprensibile: siamo creature, soggette quindi alle nostre cadute ed alle nostre debolezze umane. Ma Dio non ci lascia mai soli, nonostante i nostri “tradimenti” nei suoi confronti. 
Emanuele è un bambino ( e il nome è proprio il suo, non è inventato) vivace, pieno di vita e gioioso. I suoi genitori sono una giovane coppia che si è sposata nel Signore, forse come tante, ma con una fede molto evidente.
Un giorno questo bimbo si ammala, si fanno degli accertamenti, e la diagnosi non è delle migliori. 
Ma lascio raccontare il tutto da una lettera che Marco, il suo papà, ha rivolta alla comunità parrocchiale il 26 settembre del 2003.
Nella parrocchia ricorre la festa dei Patroni, i Santi medici Cosma e Damiano e la data (altra coincidenza se si guarda dal punto di vista umano, ma che ha un suo significato particolare se si legge con gli occhi della fede) è anche il giorno del terzo compleanno del piccolo Emanuele.
Ecco il testo:
“Carissimi sorelle e fratelli in Cristo,
circa 18 mesi fa mio figlio Emanuele veniva aggredito da una bruttissima malattia che, diagnosticata attraverso le analisi del sangue, si rivelò  come leucemia.
Quella parola fu terribile: sembrava che il mondo mi stesse crollando addosso.
Seguirono periodi molto brutti, alcuni mi parvero la fine di tutto.
La mia fede nel Signore, nel Dio dell’Amore che ci ama, che ha sempre una parola pronta per tutti gli uomini, veniva messa duramente alla prova.
La mia famiglia stava percorrendo la via dolorosa, la Via Crucis. Ci sentivamo abbandonati da Dio, invece il Signore, nella sua infinita misericordia, continuava a camminare al nostro fianco. Io non mi rendevo conto di questo perché ero troppo chiuso nel mio dolore e non mi accorgevo di quello che stava accadendo intorno a me.
Il Signore agisce e si manifesta in tanti modi, a cominciare dal personale medico e paramedico: ho ammirato la loro professionalità ed umanità nei confronti miei e di mia moglie, e nei confronti di nostro figlio, unitamente alla viva e sostenuta solidarietà di quanti stavano vivendo il nostro stesso dramma.
Quasi ogni giorno ci pervenivano messaggi di solidarietà da tutti quelli che ci conoscevano e, soprattutto, sono rimasto molto commosso nel sapere che diverse classi del catechismo, di questa parrocchia, hanno pregato per mio figlio.
Ecco, questi erano i segni che mi dicevano come il Signore mi stava vicino e mi stava Amando.
Una luce di speranza cominciava ad intravedersi alla fine del tunnel.
Il buio più scuro, nel quale ero precipitato, si stava allontanando da me e stavo pian piano risalendo verso l’alto, verso la luce.
Questo per sottolineare che ogni cristiano, in ogni situazione in cui si trova, non deve perdere la speranza, ma abbandonarsi nelle braccia del Padre, affidandosi a Lui e guardando con ottimismo al futuro perché Gesù è risorto.
Ora, grazie al Signore, Emanuele sta bene. Dalle analisi che, periodicamente, facciamo, la malattia è stata debellata, anche se a livello terapeutico continuano le cure.
Non mi stancherò mai di ringraziare, insieme con mia moglie, il Signore e i Santi Cosma e Damiano di cui oggi ricorre la festa, affermando che il nostro Dio è un Dio Vivente che opera in ogni momento della nostra vita e ci Ama sempre. Cerchiamolo, finché siamo in tempo.
Grazie ancora a voi tutti ed a tutta la comunità che ci è stata vicina con le preghiere”. 
Marco, con sua moglie Paola, ha voluto ringraziare il Signore e la Comunità parrocchiale, per tutto ciò che era avvenuto.
Questa lettera credo non abbia bisogno di commenti: parla da sola della fede e della croce che a volte, può apparirci più grande delle nostre forze e insopportabile da portare. Invece, con l’aiuto del Signore, tutto è possibile.
Mentre Paola viveva praticamente in Ospedale insieme al bimbo, Marco, prima di recarsi da loro, passava da Gesù Eucaristia a ricordargli del suo bimbo, e di altri bambini come lui che soffrivano in quelle corsie di dolore.
La forza della fede, anche nei momenti di buio più profondo, è stata sempre il loro sostegno.
Ora il piccolo Emanuele ha ripreso a giocare ed a sorridere come un tempo.
L’Emmanuele si è chinato su di lui, e sui suoi genitori, per riportarlo alla vita quotidiana quale testimonianza del suo Amore per tutta l’umanità.
Questa "Lettera" è stata ripresentata a tutti coloro che passano per queste pagine, per espressa volontà di Marco, che nello scorso 26 settembre, compleanno di Emanuele, ha ricordato questo evento ed ha ringraziato ancora il Signore per la grazia che è stata concessa, e ringrazia tutti delle preghiere per il suo figliolo. Dagli ultimi controlli fatti ormai il nostro "Chicco Chicco", come affettuosamente lo chiamiamo in famiglia, è definitivamente fuori pericolo.
Questo articolo è stato pubblicato in molti siti internet in seguito proprio all'evento straordinario di cui si parla.
Ringraziamo Marco e Paola per la loro fede e per avercelo fatto riproporre, ma ringraziamo il Signore perché le Sue Opere sono così grandi che nessuna mente umana le può neppure immaginare.

01/10/07
La foto  è di Emanuele, in braccio al papà Marco, mentre Giovanni Paolo II lo benedice!

Essere “strumenti “del Signore nel matrimonio


La scelta del matrimonio, come abbiamo già detto altre volte, non deve essere una 'scelta qualsiasi', ma essere frutto di un'accurata meditazione e di un profondo discernimento.
Il matrimonio è una vocazione alla quale si risponde come per le altre vocazioni: con amore, generosità, fede e sacrificio.
Nulla, nella vita spirituale dell'uomo, può essere esente dal fare sacrifici e dal portare, con Gesù, la croce di ogni giorno.

Francesco d'Assisi parla spesso di essere 'strumenti' del Signore, chiede al Signore di essere lui stesso suo strumento per portare pace, amore, concordia, perdono, consiglio, ecc...

Abbiamo mai pensato a come tutto questo si potrebbe applicare bene alla vita coniugale?

Innanzitutto bisogna partire dal comprendere cosa significhi essere 'strumenti' del Signore.
Lo strumento serve per fare qualcosa, viene adoperato, di solito, dall'uomo per poter portare a termine un'opera.
Il contadino usa quegli strumenti adatti per dissodare il terreno, per poterlo smuovere e poi poterlo coltivare.
Il Signore ha noi come suoi strumenti, non siamo mossi da mano d'uomo (altrimenti saremmo delle cose) ma da Mano Divina, per realizzare sulla terra il Suo Piano Celeste.

Allora, come si potrebbe essere strumenti del Signore nella vita matrimoniale?
Vivere il matrimonio come sacramento significa camminare insieme, marito e moglie, verso la stessa meta: il Signore.
Questa meta deve essere raggiunta da entrambi, e ciascuno deve aiutare l'altro a superare gli ostacoli che, inevitabilmente, si porranno davanti durante il cammino.

Il marito diventa strumento del Signore affinché la sua sposa possa andare avanti sulla strada segnata da Gesù; e allo stesso modo la moglie diventa strumento del Signore perché il proprio sposo possa camminare sulla strada che Gesù ha segnato anche per lui.
Ma queste strade non sono separate, bensì convergono perché è 'insieme' che i coniugi debbono camminare, sostenendosi a vicenda, per portare a compimento la missione loro affidata.

Camminando per raggiungere la meta, gli sposi cristiani mettono a disposizione loro stessi, la loro vita, la loro volontà, per il Regno di Dio: diventano 'strumento', l'uno per l'altra, per la comune santificazione.
E, proprio come strumenti di Dio, sono veicolo della fede anche per i loro figli, di cui hanno la responsabilità, e di coloro coi quali vengono a contatto ogni giorno.

Essendo strumenti del Signore, diventano Suoi annunciatori su questa terra, Suoi apostoli e seguaci, in quella vocazione particolare e piena di responsabilità, soprattutto nei tempi attuali, che è il matrimonio.

E, camminando insieme, mano nella mano, accettando di essere ciascuno strumento di Dio per sostenere l'altro, percorrono quella via che è stata preparata per la loro salvezza eterna.

TESTIMONIANZA: La Storia di Annalisa e Mauro

La storia che viene raccontata, di seguito, dai diretti interessati, è "speciale" perché tale è il percorso che è stato fatto alla luce della fede e della Parola di Dio.
Annalisa e Mauro, prima in crisi e poi separati.........percorrono vie diverse, fino a quando il Signore fa' loro comprendere che il matrimonio è sacramento e non appartiene solo a loro due, ma a Cristo stesso.
Il momento culminante è il ritornare a vivere insieme, come sposi che si amano e vogliono vivere fino in fondo la loro vocazione matrimoniale. Anche se a volte ci sono dei problemi, da questa storia vera possiamo comprendere come nulla sia impossibile a Dio: basta affidarsi a Lui e riempire i nostri cuori del suo Amore.
Annalisa e Mauro hanno dato la loro autorizzazione affinché la storia di questo giorno speciale potesse essere messa in comune con gli altri e di questo li ringraziamo infinitamente.



Annalisa e Mauro


Annalisa:   Mi è difficile raccontare quanto il Signore ha fatto per me perché non riesco a tenere conto di tutto, temo di tralasciare cose grandissime.
   Sono convinta che il Signore abbia tanto dato a noi due proprio perché,nella nostra storia impossibile, si rivelasse appieno la sua Gloria.
   Ci siamo sposati ventuno anni fa, abbiamo avuto due figli quasi subito e quasi subito -se non da prima- sono incominciate le nostre incomprensioni,la mia insoddisfazione, i miei problemi…credevo che mio marito fosse un dio,e ne sono rimasta delusa…
    Ci siamo trascinati così, peggiorando sempre di più, finchè dieci anni fa ho chiesto la separazione e poi il divorzio.
    Ero così esasperata che non sono mai riuscita a prendere in considerazione l’idea di poterci riconciliare.
    Ero sempre insoddisfatta. Ho invece cercato ciò che poteva veramente farmi felice.
    Il Signore mi ha “recuperata” prima che potessi cacciarmi in qualche altro guaio..
    Ha cominciato col darmi suoi discreti testimoni, poi un direttore spirituale,poi è arrivato Lui e si è fatto conoscere: mi ha riempita del suo amore, mi ha conquistata.
     Come se ci fosse un solo Dio, e solo per me.
     Ho sognato di poter chiedere “l’annullamento”,di potermi risposare,ho cominciato a camminare nel gruppo del Rinnovamento, ho conosciuto la Comunità delle Beatitudini,
ho conosciuto l’Amore.
     Mi riusciva difficoltoso però credere che come Gesù voleva bene a me, ne volesse altrettanto a Mauro (di più!);offrendo la mia vita e la mia disponibilità al Signore, non avrei mai pensato che potesse chiedermi di riconciliarmi con mio marito: mi sarebbe stato impossibile!
     E poi è arrivato il momento…Un brutto periodo per Mauro, e ricomincia a frequentare la nostra casa, i ragazzi che non si stupiscono che sia lì -dopo dieci anni- e io che mi stupisco di come lo abbia fatto entrare…
    Mauro: la storia del nostro matrimonio è già stata descritta da Annalisa. Io, dopo la separazione ed il divorzio, ho vissuto allo sbando per alcuni anni.
 Poi ho conosciuto una donna, con la quale ho convissuto per alcuni anni, per poi sposarla civilmente. Nel frattempo, i rapporti con Annalisa si erano deteriorati fino al punto che mi creava un enorme fastidio anche la sola idea di doverle parlare al telefono. Mi aveva chiesto di collaborare per l’annullamento del matrimonio, ma io, pensando che fosse solo un motivo per farmi del male, avevo rifiutato.
 Il matrimonio civile è durato poco più di un anno, poi è finito anche quello, spiazzandomi completamente (il brutto periodo al quale fa riferimento Annalisa).
 Non sapendo cosa fare né a chi rivolgermi, ho cominciato a frequentare quella che, oggi, posso ancora ritenere la mia famiglia. Francamente non pensavo che potesse essere una cosa possibile: io che parlavo con Annalisa dei miei problemi, ed ancora più incredibile, lei restava ad ascoltarmi. Non solo, mi consigliava, mi rincuorava e mi aiutava senza che io le avessi chiesto nulla.
 Ero letteralmente frastornato: come era possibile?
 Mi raccontava di quello che le era capitato, del Signore, dei suoi incontri di preghiera con un gruppo del Rinnovamento, cose che in quel momento non mi interessavano, ma che era comunque bello ascoltare.
 Un sabato di marzo, non sappiamo ancora bene come è successo, lei mi aveva invitato (?) ad andare a Sovere, alla Comunità delle Beatitudini, ed io avevo accettato (?????).
 Lo spirito con cui ho affrontato la cosa era di passare un pomeriggio diverso dal solito, giusto per svagarmi.
 Insieme a noi due, tra l’altro, sono venute anche tre sorelle del gruppo (strane persone…).
 Quel sabato a Sovere, c’era l’Adorazione, la santa Messa, e poi ancora Adorazione Eucaristica.
 Erano all’incirca dieci anni che non entravo in una chiesa; beh, ho passato tre ore mezza in chiesa senza fatica, e senza nemmeno sentire il bisogno di uscire.
 Tornando, ho cominciato a sentire, dentro di me, una tranquillità, una pace, una serenità e non riuscivo a capire da che parte venissero. Devo dire che la cosa mi aveva completamente spiazzato.
 Non mi riconoscevo più. Non avevo più paura. Soprattutto di me.  
 Annalisa:e io che non mi riconosco e non mi avrebbe riconosciuta nessuna delle persone che mi sono vicine: non provo segnali di evidente disagio –anche fisico- alla sola sua vista,lo ascolto e, per di più, ne provo compassione: è Gesù!
   E il cuore mi parla: è Gesù!
   In cielo non ci posso più andare da sola…E grido al mio Dio:< Ma Tu sai che cosa stai facendo?>  E neanche il dono dell’ incoscienza…
    Vedo ingigantiti i miei svantaggi, avrei tutte le ragioni di “questo mondo”, è impossibile, non sono neanche innamorata, e con tutto il male che ho detto di lui, e non si scherza con queste cose,e non mi deve vedere fragile…ma è Gesù!
    Piano piano, un passo per volta,ma nel Signore: è stato possibile. E’ meraviglioso stare col Signore. Ha voluto conservare una cosa solo sua. Il nostro matrimonio.
    Ha ristabilito, ha creato cosa nuova di noi, il passato è alle spalle, non si ricorda,ha ricostruito dalle fondamenta; davanti, come guida,la sua Luce.
    Mi chiedo quante persone hanno pregato per noi, quante ci sono state vicine, quante hanno offerto sofferenze e quante altre abbiamo fatto soffrire.
 Mauro: dopo quella che in seguito ho capito è stata la mia esperienza di Dio, ho passato una settimana riflettendo su quanto era successo e mi ero reso conto che il desiderio di Annalisa  di essere libera era dettato da una sua esigenza spirituale e quindi io ero disposto ad assecondarlo, ma contemporaneamente il Signore mi ha fatto capire che il matrimonio era solo Suo. Non ero ancora d’accordo: le mie priorità erano diverse, avevo altri progetti.
 Questo combattimento con il Signore è durato circa una settimana, nella quale sono stato malissimo. Alla fine ho accettato la Sua volontà chiedendoGli di aiutarmi perché da solo non avrei potuto farcela.
 D’improvviso, tutto è diventato semplice, facile; non più ostacoli, non più timori. Ogni tessera del mosaico, che era la mia vita fino ad allora, è stata messa nel posto giusto.
 Dal Signore.
 Una vita nuova, una rinascita, un nuovo battesimo.
 Il Signore ha fatto meraviglie; le meraviglie del Signore non sono finite. Noi siamo convinti che ha appena cominciato.

Eccoci, vieni Signore Gesù.